Condividere le foto dei figli sui social: dubbi e criticità dello “sharenting”
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Il primo giorno di scuola, il momento della merenda, l’espressione buffa durante il pisolino. Per tanti genitori, condividere sui social media le foto dei propri figli è un’abitudine consolidata, talvolta accompagnata da post che contengono anche il nome del bambino, la sua età e dove vive. È lo sharenting, l'abitudine (diffusissima) di pubblicare sui social immagini e foto dei propri figli: la parola viene dall'unione di share, condividere, e parenting, genitorialità. C’è chi mostra anche il viso del bambino, e chi mette sulla faccia uno sticker per renderlo irriconoscibile – ma continua a esporre il suo corpo, che è comunque parte della persona.
Il dibattito si è riaperto lo scorso marzo dopo che Chiara Ferragni, in occasione del sesto compleanno del primogenito Leone, ha immortalato lui e la sorella Vittoria di spalle, per nascondere il loro volto: i bambini mediaticamente più esposti d’Italia per la prima volta non sono stati mostrati. Non si sa se la ragione sia quel diritto alla privacy di cui tanto si sta parlando, o se la scelta sia dovuta alla presunta separazione di Ferragni con Fedez, che l’avrebbe diffidata dal postare immagini dei figli. Fatto sta che a fine marzo è stata depositata alla Camera una proposta di legge intitolata “Disposizioni in materia di diritto all’immagine dei minorenni”, per tutelare maggiormente i minori sul web: se approvata, la norma limiterà fortemente la possibilità di pubblicare video e immagini dei figli, e soprattutto di guadagnarci sopra.
Il tema centrale della proposta, presentata da Alleanza Verdi Sinistra a firma degli onorevoli Angelo Bonelli, Luana Zanella, Elisabetta Piccolotti e Nicola Fratoianni, è l’autodeterminazione personale: ognuno deve poter scegliere qual è l’immagine di sé diffusa in rete. Per questo si chiede l’introduzione del diritto all’oblio: il minore, compiuti 14 anni, potrà chiedere la rimozione dal web e dai motori di ricerca di tutte le immagini, contenuti e dati personali diffusi precedentemente. “Questa è la prima generazione che, una volta cresciuta, dovrà confrontarsi con un archivio digitale della propria vita costruito su centinaia di contenuti che non ha scelto di condividere e commenti da parte di sconosciuti che dovranno essere razionalizzati”, ha spiegato l’esperta di social media Serena Mazzini. “I ragazzi e le ragazze che adesso iniziano ad avere 14-15 anni testimoniano come si sentano profondamente a disagio dai contenuti pubblicati dai loro genitori, perché questi non rispecchiano l’immagine che loro vorrebbero dare di sé”.
Inoltre, la proposta prevede che venga aggiornato il Codice di autoregolamentazione Tv e minorenni, con linee guida per i servizi di piattaforme social per informare sui rischi della diffusione dell’immagine dei minorenni e a “incoraggiare gli utenti a segnalare contenuti audiovisivi con bambini di età inferiore ai quattordici anni che possano ledere la loro dignità o integrità morale o fisica”. Non solo, l’obiettivo è regolamentare lo sfruttamento online dell’immagine dei minori anche a scopo di lucro. Secondo i dati citati da Mazzini, il tasso di interazione di contenuti che hanno come protagonisti i bambini è circa tre volte maggiore rispetto ai contenuti con solo adulti: per questo le immagini dei figli vengono utilizzate spesso anche a fini commerciali. La norma farebbe sì gli introiti vengano versati da chi esercita la responsabilità genitoriale in un deposito bancario intestato al bambino o alla bambina, che rimane inutilizzabile fino alla sua maggiore età. Solo in caso di estrema necessità l’autorità giudiziaria potrà rendere possibili prelievi anche prima di quel momento.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Quanto è diffuso il fenomeno dello sharenting
In Italia, ogni anno i genitori pubblicano in media 300 foto dei figli sui social, quasi una al giorno. E prima del quinto compleanno ne hanno già condivise quasi mille. È quanto rivela uno studio del 2023 della Società Italiana di Pediatria (SIP), che mostra che le piattaforme più popolari sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%). Le tre tipologie di foto che vengono maggiormente pubblicate sono di vita quotidiana (mentre il bimbo dorme, gioca, mangia), di uscite o viaggi, e di momenti speciali (Natale, battesimo, primo giorno di scuola, compleanni).
Il problema non è solo italiano: un’indagine internazionale evidenzia che in media l’81% dei bambini che vive nei paesi occidentali ha una qualche presenza online prima dei 2 anni, percentuale che negli Usa è pari al 92%, mentre in Europa si attesta al 73%. Questa abitudine coinvolge anche bambini molto piccoli: una ricerca del 2017 mostra che, entro poche settimane dalla nascita, il 33% dei neonati ha proprie foto e informazioni pubblicate online. Inoltre, un numero crescente di bambini nasce “digitalmente” ancor prima che realmente, tanto che oggi uno su quattro ha un qualche tipo di presenza online prima di venire al mondo. In Italia, il 14% dei genitori pubblica abitualmente ecografie sui social, percentuale che sale al 34% negli Stati Uniti.
I rischi dello sharenting, dall’impatto psicologico all’adescamento online
Nella maggior parte dei casi, i genitori condividono foto online dei figli per documentare la loro crescita, condividere ansie e preoccupazioni, o ricercare informazioni e supporto. Ma quali sono i rischi? “Spesso i genitori non pensano che quanto condiviso sui social media, a volte anche molto personale e dettagliato, esponga pericolosamente i bimbi a una serie di rischi, primo fra tutti il furto di identità”, ha spiegato il pediatra Pietro Ferrara della SIP, che ha condotto il più recente studio italiano sullo sharenting. “Senza contare che informazioni intime e personali, che dovrebbero rimanere private, possono essere causa di imbarazzo per il bambino una volta divenuto adulto, ad esempio in colloqui di lavoro o test di ammissione all’università. Infine, questo tipo di condivisione da parte dei genitori può inavvertitamente togliere ai bambini il loro diritto a determinare la propria identità”.
Lo sharenting comporta una serie di problemi, insomma, a partire da quelli di privacy, perché manca il consenso da parte del minore. Poi ci sono i rischi legati alla sicurezza digitale e alla mancanza di controllo sull’immagine una volta che viene condivisa in rete: le informazioni personali pubblicate online possono essere utilizzate per dare luogo a truffe, frodi, spam, furti d'identità. Oppure possono finire su siti pedopornografici, e comportare il rischio di adescamenti online e di contatti indesiderati. Un’indagine condotta dall’eSafety Commission australiana ha evidenziato come circa la metà del materiale presente su siti pedopornografici provenga dai social media, dove era stato precedentemente condiviso da utenti per lo più inconsapevoli di quanto facilmente potesse essere scaricato, non solo da amici.
Cosa fare prima di condividere una foto online, allora? La SIP ha elaborato alcuni consigli per i genitori che vogliono farlo in sicurezza: evitare di scrivere il nome completo del bambino, non condividere immagini dei propri figli svestiti o nudi, attivare notifiche che avvisino quando il nome del piccolo appare sui motori di ricerca. Allo stesso modo, l’eSafety Commissioner australiana ha pubblicato una guida dettagliata, con alcune indicazioni pratiche. Tra queste, si suggerisce di evitare di condividere foto e video che contengano dettagli come indirizzi o informazioni che identifichino la scuola, la casa o altri luoghi specifici. Inoltre, è consigliato di restringere la platea di amici che sui social possono vedere certi contenuti, modificando le impostazioni di privacy. E verificare che non vengano pubblicate informazioni sull'ora, la data e le coordinate GPS del luogo in cui è stata scattata la foto.
Ma soprattutto, si invitano i genitori a chiedere il permesso al proprio figlio o figlia, a partire da una certa età, sia per scattargli una foto, sia per condividerla online: “È una dimostrazione di rispetto nei suoi confronti, e può diventare anche un’ottima esperienza di apprendimento”, spiega l’eSafety Commissioner. “Utilizzate questo momento come un’occasione per parlare di quando e cosa è opportuno pubblicare sui social, e perché. Potete anche spiegare come restringere la platea di persone che hanno accesso a quell’immagine, ad esempio condividendole con gruppi selezionati su Facebook o Instagram”.
La protezione dei dati dei bambini nelle legislazioni di vari paesi
Nel nostro ordinamento, l’immagine della persona è tutelata da diverse norme: c’è la legge sul diritto d’autore, che prevede che nessun ritratto di una persona possa essere esposto senza il consenso; c’è la tutela della riservatezza dei dati personali, prevista dal Codice della privacy; c’è l’articolo 10 del Codice Civile, che consente la richiesta di rimozione di un’immagine che leda la dignità di un soggetto, con conseguente possibilità di risarcimento danni. In tutte queste norme, però, quando si parla di minori e consenso, c’è un’ambiguità: il consenso necessario non è quello del minore, ma quello del suo rappresentante legale. Cioè del genitore stesso. Cosa succede quando l’interesse del genitore si scontra con l’interesse del minore?
Ancor prima della normativa, a rispondere è stata la giurisprudenza: nel 2017 il Tribunale di Mantova ha condannato una madre che si rifiutava di eliminare dai social le immagini della figlia. Nel 2021, il Tribunale di Trani ha disposto la rimozione delle immagini di una bambina di 9 anni pubblicate su TikTok da una madre separata, condannandola a pagare 50 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento, con la richiesta che il denaro venisse essere versato su un conto corrente intestato alla figlia.
A novembre 2022 anche la garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti si è espressa sullo sharenting, per chiedere al governo di applicare in merito le disposizioni in materia di cyberbullismo, per tutelare il diritto all’oblio e consentire ai minori di chiedere la rimozione dei contenuti indesiderati al compimento dei 14 anni. Inoltre, rispetto all’uso dell’immagine dei bambini a fini commerciali, la Garante ha sollecitato l’adozione di una disciplina che preveda la verifica dei profitti generati online, estendendo ai cosiddetti baby influencer le tutele già previste per i minorenni che lavorano nello spettacolo e nella pubblicità.
A livello internazionale, nel 2023 la Francia è stata il primo paese che ha provato a vietare lo sharenting, ma la proposta di legge per il momento è ferma in Parlamento. In Europa la legge che regola la complessa materia della protezione dei dati personali (anche dei bambini) è il GDPR, il regolamento dell’Unione sulla protezione dei dati personali entrato in vigore nel maggio 2018. In particolare, in materia di sharenting è centrale l’articolo 17, che regolamenta il diritto all’oblio: nel testo viene stabilito “l’interesse superiore del minore” che, al compimento dei 13 anni di età, può chiedere ai genitori di rimuovere informazioni specifiche su di lui. Anche se il GDPR è valido solo nei paesi dell’UE, l’articolo 17 è emblematico di un trend globale verso una maggiore tutela dei dati dei bambini diffusi online. Anche gli Stati Uniti stanno andando verso un aggiornamento del Children's Online Privacy Protection Act, con sanzioni più severe per la diffusione di informazioni personali senza consenso.
I bambini meritano una protezione speciale per i loro dati, perché potrebbero essere meno consapevoli dei rischi e delle conseguenze del loro trattamento. Per questo, il diritto alla privacy dei minori è sancito anche nell’articolo 16 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che protegge i bambini da interferenze illegali e arbitrarie con la loro privacy, la loro famiglia, il loro domicilio o la loro corrispondenza, comprese le protezioni contro attacchi illegali alla reputazione.
Tutti questi regolamenti mirano a trovare un delicato equilibrio tra i diritti dei genitori, l'accesso dei bambini alle informazioni e all'interazione sociale, ma anche l'importanza di proteggere la loro privacy. Agire sulla normativa è importante, ma non basta: “Bisogna promuovere un’educazione al digitale che aiuti a creare maggiore consapevolezza”, scrive la SIP nelle conclusioni di uno studio pubblicato a gennaio 2024. “I pediatri sono figure centrali per sensibilizzare i genitori sui pericoli associati alla condivisione online. Per proteggere la privacy dei bambini, alle famiglie può essere spiegato quali siano le possibili strategie difensive. È importante supportare le mamme e i papà, bilanciando la naturale inclinazione a condividere con orgoglio i progressi dei figli con l’informazione sui rischi connessi alla pratica dello sharenting”.
Immagine in anteprima: frame video Global News via YouTube