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Hamas e la violenza sessuale come arma di guerra. Cosa dicono le inchieste

3 Gennaio 2024 5 min lettura

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Hamas e la violenza sessuale come arma di guerra. Cosa dicono le inchieste

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Stupri, abusi, mutilazioni. Sono le atrocità emerse dall’inchiesta del New York Times sulla violenza sessuale utilizzata da Hamas come arma di terrore nell’attacco dello scorso 7 ottobre. L’inchiesta, condotta in un arco di tempo di due mesi e pubblicata il 28 dicembre, rivela nuovi dettagli e porta alla conclusione che le violenze contro le donne non siano stati solo eventi isolati: c’è stato un “broader pattern”, un quadro più ampio, scrive il New York Times. Dall’indagine sono emerse almeno sette località nelle quali le donne israeliane sono state vittime di violenza sessuale o sono state mutilate. I giornalisti si sono basati su riprese, fotografie, dati dei GPS dei telefoni cellulari e interviste a oltre 150 persone, compresi testimoni, personale medico e paramedico, soldati e consulenti esperti di casi di stupro.

Il simbolo di queste violenze è diventata “la donna vestita di nero”: la si vede in un video sgranato, riversa sulla schiena, il volto carbonizzato, il vestito strappato, le gambe divaricate e le parti intime in vista. Il video, girato nelle prime ore dell’8 ottobre e considerato autentico dal team investigativo del NYT, è diventato virale: all’inizio migliaia di persone hanno temuto che si trattasse della loro sorella, amica o figlia scomparsa, fino a che la donna non è stata identificata. Si trattava di Gal Abdush, madre di due bambini, proveniente da una cittadina del centro di Israele, scomparsa quel giorno insieme a suo marito. Quando i militanti di Hamas l’hanno catturata mentre cercava di scappare in auto, la donna ha spedito un ultimo messaggio su WhatsApp alla sua famiglia: “Non potete capire”.

Quattro testimoni hanno descritto di aver assistito allo stupro e al massacro di donne in due luoghi diversi lungo la Strada 232, la stessa dove è stato trovato il corpo di Abdush. Il NYT ha intervistato alcuni soldati, volontari e sanitari che nel complesso hanno recuperato più di una trentina di corpi di donne nella stessa area: erano in condizioni simili a quelle di Abdush, a gambe divaricate, con i vestiti strappati, e segni di violenza nella zona dei genitali.

Sapir, una giovane ragioniera di 24 anni, è diventata una delle testimoni chiave. Alle 8 di mattina del 7 ottobre racconta di essersi nascosta sotto i rami bassi di un albero, poco distante dalla Strada 232: ha detto di aver visto un centinaio di uomini radunati, che hanno stuprato e ucciso diverse donne davanti ai suoi occhi. Una è stata “fatta a pezzi”: “Uno di loro continuava a stuprarla – racconta – e gli altri si tiravano il suo seno, l’hanno lanciato fino a quando è caduto a terra”.

Nonostante le tante testimonianze, la vera dimensione dei crimini sessuali commessi da Hamas potrebbe non essere mai conosciuta. “Le informazioni pubblicate finora sono solo parziali, sia perché manca un'analisi sistematica delle prove degli abusi sessuali, sia per le condizioni di alcuni corpi delle vittime, il loro grande numero, l'urgenza di identificarli e poi sotterrarli o bruciarli”, si legge nel report Violenza sessuale e di genere come arma di guerra, pubblicato da Physicians for Human Rights, un'importante organizzazione israeliana per i diritti umani che ha documentato i fatti accaduti il 7 ottobre. La polizia israeliana ha ammesso anche al New York Times che, nello shock e nella confusione generale, gli agenti non si sono adoperati per raccogliere campioni di liquido seminale dai corpi delle donne, né per richiedere autopsie o esaminare da vicino le scene dei crimini.

Dalle testimonianze menzionate nel report di Physicians for Human Rights - di cui ci siamo occupati lo scorso novembre - tra le vittime c'erano anche ragazzine e anziane. A dicembre, invece, Associated Press riportava la testimonianza di un medico che ha assistito gli ostaggi rilasciati. Di questi, secondo il medico, almeno 10 tra uomini e donne hanno subito violenze sessuali. Anche la BBC ha denunciato le violenze sessuali, dopo aver avuto accesso a diversi video e testimonianze: uno in particolare, girato da un testimone oculare, mostra uno stupro di gruppo, seguito dalla mutilazione e dall'omicidio di una donna. "Si ritiene che poche vittime siano sopravvissute per raccontare le proprie storie", conclude BBC. Secondo USA Today, le violenze sessuali non sarebbero avvenute solo nella giornata del 7 ottobre: un funzionario e due medici israeliani hanno confermato che alcuni ostaggi liberati hanno rivelato di aver subito violenze sessuali anche durante la detenzione a Gaza.

 

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Dopo la pubblicazione dell’inchiesta del NYT, Hamas ha subito respinto le accuse: uno dei leader del gruppo, Basem Naim, ha scritto che i media e le agenzie di stampa occidentali sono “prevenuti nei confronti di ciò che la propaganda israeliana dice [in termini di] bugie e calunnie contro i palestinesi e la loro resistenza”. Descrivendo le azioni avvenute il 7 ottobre come “gloriose”, Naim scredita le accuse dicendo che l’inchiesta si baserebbe su testimonianze fornite indirettamente da “donne che hanno detto di aver sentito altre donne ripetere queste accuse”, ma non ci sono “prove certe” che gli stupri siano effettivamente avvenuti. Eppure, le violenze sessuali sono state filmate con le bodycam e raccontate dalle stesse vittime e da testimoni oculari.

Per settimane le Nazioni Unite non hanno condannato pubblicamente quanto accaduto: solo il 29 novembre il Segretario Generale Antonio Guterres si è espresso pubblicamente contro le violenze sessuali avvenute durante gli attacchi del 7 ottobre, affermando che devono essere indagate e perseguite con forza. Nel frattempo, diverse organizzazioni di donne di altri paesi hanno provato a minimizzare – e in alcuni casi anche a negare – i crimini sessuali commessi da Hamas. “Lo screditamento delle accuse di violenza sessuale non è certo un fenomeno nuovo”, ha scritto Tamar Herzig, docente di storia alla Tel Aviv University e Principal Investigator dell’ERC Advanced Grant Project Female slavery in mediterranean catholic Europe. “Quello che lascia sbalorditi è la volontà delle attiviste e delle organizzazioni femministe di abbandonare quello che era considerato il sacrosanto motto del #MeToo, ovvero «Io ti credo»”.

Come scritto da Jill Filipovic in un editoriale pubblicato sul NYT lo scorso 13 dicembre, "gli orrori di questa guerra non dovrebbero riguardare una parte sola":

Si può sia affrontare la montagna di prove della violenza sessuale del 7 ottobre, sia confrontarsi con lo sconcertante bilancio delle vittime palestinesi: persone che non sono state semplici danni collaterali, ma individui a cui è stata brutalmente strappata la vita, mentre molti altri porteranno con sé questo sradicamento, questa perdita e questo trauma per il resto della vita. Si può cercare di capire il contesto in cui nasce un gruppo come Hamas e frenare l'impulso di trasformare dei fondamentalisti apertamente misogini in combattenti per la libertà. Si può nutrire un profondo disprezzo per questo governo israeliano di destra e opporsi a questa guerra con ogni fibra del corpo. Si può fare tutto questo senza lasciare che il disprezzo si estenda alle donne israeliane e senza permettere che l'opposizione alla guerra si cristallizzi nel rifiuto di vedere o ascoltare qualsiasi cosa che possa suscitare simpatia per gli israeliani innocenti, o che sia in conflitto con ciò che ardentemente si desidera per vero. L'unico modo per opporsi veramente alla disumanità di questa guerra è affrontare e condannare gli atti disumani, chiunque li commetta.

Immagine in anteprima: screenshot New York Times

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