L’accordo raggiunto alla COP28 e il nostro futuro
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Un accordo storico e altrettanto deludente. La COP28, la Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite di Dubai, dà ragione ai movimenti per il clima: la crisi del clima è la crisi dei combustibili fossili. Ma i paesi che hanno sottoscritto l'accordo non vanno poi fino in fondo rispetto a questa ammissione. Un accordo storico, perché appunto per la prima volta si indicano i combustibili fossili come causa principale della crisi del clima; deludente e devastante per gli impegni presi, anzi non presi. Con vincitori e vinti.
Vince l’industria del petrolio e del gas che gioisce perché non c’è un obbligo chiaro di “abbandono dei combustibili fossili” e ci sono tante scappatoie per poter continuare a esistere; vincono gli Stati Uniti e la Cina, i due principali emettitori mondiali che possono continuare a produrre petrolio e a costruire centrali a carbone; vince Sultan Al Jaber, il presidente dei COP28 e della società petrolifera statale degli Emirati Arabi, che ha ottenuto un accordo ritenuto da tanti come il migliore che si potesse ottenere, e potrà continuare a estrarre petrolio; vincono le società di energia pulita dopo che 118 Stati si sono impegnati a triplicare la capacità di energia rinnovabile nel mondo entro il 2030.
E poi c’è chi perde: perdono i piccoli Stati insulari, i più vulnerabili all’innalzamento del livello del mare: per loro l’accordo è “una litania di lacune” e poco si fa nella prevenzione; perde la giustizia climatica: i paesi ricchi e più industrializzati non pagano abbastanza per gli effetti della crisi climatica; perde l’Accordo di Parigi del 2015 che prevedeva azioni per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sopra i livelli preindustriali, rimasto in vita formalmente, ma stroncato dalla mancanza di urgenza nel testo finale; perdono la biodiversità e le generazioni future, le maggiori vittime della crisi climatica restano sottorappresentate nei processi decisionali; perdono gli scienziati del clima: “L'accordo tiepido raggiunto alla COP28 costerà a tutti i paesi, sia ricchi che poveri. Perdono tutti”, ha dichiarato Friederike Otto, dell'Imperial College di Londra e cofondatrice del gruppo World Weather Attribution. “Ogni promessa vuota nel testo finale significherà milioni di persone in più maggiormente esposte al cambiamento climatico”.
La prossima COP si terrà a Baku, in Azerbaijan, nel novembre 2024. Le date sono ancora in via di definizione, ma la scelta ha destato qualche perplessità perché ancora una volta il paese ospitante sarà uno Stato fortemente legato ai combustibili fossili (in questo caso il gas), come è stato per gli Emirati Arabi Uniti.
In ogni caso, scrive Francesco Suman in un articolo pubblicato su Valigia Blu e Il Bo Live, "il velo di ipocrisia è stato levato, l’elefante nella stanza è stato visto e additato da tutti. È ancora un compromesso politico rispetto alle indicazioni ben più drastiche che arrivano dalla comunità scientifica, ma era difficile immaginare che i combustibili fossili venissero individuati come problema da cui liberarsi per la prima volta alla COP ospitata da un petro-Stato. Probabilmente però è avvenuto proprio grazie a questa costante e crescente attenzione dell’opinione pubblica e alla pressione degli attivisti per il clima". Quegli stessi attivisti, soggetti a una crescente criminalizzazione in tutto il mondo, che manifestano da tempo in modo non violento eppure sono arrestati, portati a processo, sui media se ne parla come eco-vandali.
Dell'accordo di Dubai, dell'eredità di COP28, del futuro che ci attende e della repressione dei movimenti non violenti per il clima abbiamo parlato in "Che clima che fa", il podcast di Valigia Blu dedicato alla crisi climatica, a cura di Angelo Romano, con Arianna Ciccone, e con i contributi di Ferdinando Cotugno, giornalista freelance, si occupa di clima, ambiente, ecologia, foreste, per Domani cura la newsletter sull’ambiente “Areale” (qui per iscriversi), e di Marisandra Lizzi, giornalista e imprenditrice, madre di una degli attivisti fermati a Venezia alcuni giorni fa.
Musica: Billie Eilish - All the good girls go to hell (brano in apertura); The 1975 - The 1975 (brano in chiusura)
Regia: Vudio
Immagine in anteprima via elettricomagazine.it