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La deportazione degli afgani dal Pakistan: centinaia di migliaia di persone rischiano nuove violenze

10 Novembre 2023 5 min lettura

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La deportazione degli afgani dal Pakistan: centinaia di migliaia di persone rischiano nuove violenze

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Najmuddin Torjan è in Pakistan da 40 anni. È fuggito dall’Afghanistan durante l'invasione sovietica. In Pakistan, anche se senza mai registrarsi, si è sposato, ha avuto dei figli, poi anche dei nipoti. Pur sentendosi sempre precario, in una terra presa in prestito, a tempo determinato. Ora dopo quattro decenni, quel tempo è scaduto. A sorpresa, all’inizio di ottobre il governo pakistano ha dichiarato che tutti i cittadini afgani senza documenti avrebbero dovuto lasciare il paese entro il 1° novembre per presunte minacce alla sicurezza nazionale. Secondo le autorità pakistane, alcuni di loro sarebbero stati coinvolti in attacchi di militanti islamici e in crimini che hanno minato la sicurezza del Pakistan negli ultimi anni.

Temendo di essere arrestato, Najmuddin e la sua famiglia hanno impacchettato tutto: i vestiti, le pentole, le padelle. Dopo aver smantellato le travi di legno del soffitto, gli infissi e le porte, quel luogo che chiamavano casa da tre generazioni, sono saliti su un camion e si sono uniti al flusso di afghani diretti al confine. 

In realtà, l’ordine sta riguardando anche decine di migliaia di famiglie afghane che si erano stabilite in Pakistan nel giro di decenni, e rischia di ledere i diritti fondamentali di chi cerca asilo e protezione. Nel paese vivono infatti 3,7 milioni di afgani giunti a varie ondate dagli anni ‘70 in poi, prima per cercare migliori condizioni economiche, poi per sfuggire dall’occupazione dell’Unione Sovietica negli anni ‘80, dagli attacchi degli Stati Uniti dal 2001 in poi dopo l’attacco alle Torri Gemelle, dai Talebani negli anni ‘90 e dal 2021 in poi. In Pakistan queste persone sono cresciute, hanno messo su famiglia e avviato attività commerciali, pur senza ottenere o cercare una registrazione ufficiale presso le autorità. Molti nuovi arrivati non sono in stati in grado di ottenere documenti d'identità riconosciuti a causa dei notevoli ritardi nel processo di registrazione, sottolinea Amnesty International. 

Molti afgani arrivati in Pakistan dopo la presa del potere dei Talebani nell’agosto 2021 erano stati incoraggiati a fare domanda per programmi di reinsediamento in vari paesi tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Germania, ma sono rimasti in uno stato di limbo con i visti pakistani scaduti e il processo di reinsediamento nei paesi terzi procrastinano, e ora rischiano la detenzione e alla deportazione. “La maggior parte di questi processi di visto richiedono il trasferimento in un paese terzo. Per un visto americano [temporaneo], ho dovuto trasferirmi in Pakistan. Da allora, ho aspettato 15 mesi senza alcun progresso da parte dell’ambasciata americana, e ora il Pakistan vuole deportarmi in Afghanistan”, spiega Elias Shafaee, che in precedenza ha lavorato per un progetto finanziato dagli Stati Uniti in Afghanistan.

In totale, si stima che siano 1,7 milioni gli afgani senza documenti presenti nel paese. Tra questi, ci sono persone che hanno lasciato l’Afghanistan per le politiche discriminatorie contro le donne da parte del nuovo regime o da chi era un potenziale bersaglio da parte delle nuove autorità perché ex membri di intelligence, scrive Giuliano Battiston sul Manifesto. Per loro e per i più vulnerabili, dovrebbe essere prevista una deroga. 

Sebbene i Talebani abbiano promesso un'amnistia per coloro che hanno lavorato per le forze internazionali, in molti temono ripercussioni. All'inizio dell’anno, un rapporto delle Nazioni Unite ha affermato che centinaia di ex funzionari governativi e membri delle forze armate sono stati uccisi nonostante i Talebani avessero assicurato un’amnistia nei loro confronti. 

“Non ho niente lì. Ho perso tutto. Se torno in Afghanistan, non c’è alcuna garanzia per me di rimanere in vita”, afferma a Human Rights Watch Nazir Ahmadi, negli ultimi 18 mesi in Pakistan dopo aver lavorato a progetti finanziati dalla NATO in Afghanistan. “Se torno in Afghanistan, rischiamo la morte”, dice Rehman [ndr, nome di fantasia] che alla BBC ha raccontato di aver fatto parte delle forze afghane e di aver lasciato il paese dopo essere stato picchiato dai rappresentanti del governo dei Talebani quando questi ultimi sono saliti al potere. “Le nostre vite sono in pericolo. Viviamo qui con un'unica speranza: che l'UNHCR trovi una soluzione. Siamo qui senza un destino e con un futuro sconosciuto”.

Donne e ragazze hanno paura di tornare in Afghanistan per la rigida interpretazione dell’islam imposta dai Talebani, come ad esempio il divieto di andare a scuola. “Noi resteremo qui perché in Afghanistan non potrei andare a scuola”, ha detto ad AFP una ragazza afgana di quattordici anni che vive con la famiglia a Peshawar. Il 31 ottobre alcune scuole frequentate da bambini e ragazzi afgani nella capitale Islamabad sono rimaste chiuse perché gli alunni temevano di essere arrestati e deportati, hanno dichiarato gli insegnanti ad AFP.

Le espulsioni sono iniziate all’inizio di novembre, ma già in precedenza alcuni afgani senza documenti avevano iniziato a lasciare il Pakistan dopo l’ordine di rimpatrio entro il primo novembre diramato lo scorso ottobre. Come la famiglia di Najmuddin Torjan.

Alcune famiglie afgane hanno segnalato che la polizia pakistana aveva cominciato a ricercare e arrestare le persone senza documenti prima della scadenza del termine dato, denunciando maltrattamenti anche nei confronti di chi aveva ottenuto lo status di rifugiato e aveva, dunque, il diritto di rimanere nel paese. 

La decisione del governo pakistano è stata criticata da diversi gruppi per la difesa dei diritti umani, dalle ambasciate occidentali e dalle Nazioni Unite, che hanno espresso preoccupazione per la sicurezza dei bambini, delle donne e delle famiglie colpite dall'espulsione e temono ripercussioni e una possibile crisi umanitaria, con l’inverno alle porte, in un paese già in gravi condizioni, dopo i terremoti che hanno colpito l'Afghanistan. “Abbiamo appena avuto il terremoto, che sta avendo un forte impatto sulla situazione in Afghanistan, e in più si sta avvicinando l'inverno, quindi non è la stagione migliore per far tornare le persone in un Paese che è già in una situazione molto fragile”, ha detto alla BBC Philippa Candler, rappresentante dell'UNHCR in Pakistan. “Non vogliamo certo assistere a un peggioramento della situazione umanitaria in Afghanistan a causa del rientro forzato di un gran numero di persone”.

L'Afghanistan è stato spinto al collasso economico quando i Talebani hanno preso il potere nel 2021 e i fondi stranieri che venivano dati al precedente regime sono stati congelati. Secondo la Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato dal periodo immediatamente precedente la presa di potere dei Talebani al giugno 2023. 

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Queste deportazioni violano gli obblighi del Pakistan in quanto parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e secondo il principio consuetudinario del diritto internazionale di non respingimento, spiega Human Rights Watch. Il respingimento si verifica non solo quando un rifugiato viene respinto o espulso direttamente, ma anche quando la pressione indiretta è così intensa da portare le persone a credere di non avere altra scelta se non quella di tornare in un paese dove corrono un serio pericolo.

Ma il Governo pakistano prosegue per la sua strada: chiede anzi alla comunità internazionale di sostenere di più, finanziariamente, l’accoglienza degli afghani e accusa l’Afghanistan di non aver fatto pressione sul Tehreek-e-Taliban Pakistan, i Talebani pachistani, che godrebbero di sostegno e ospitalità sul territorio afghano, spiega ancora Battiston. Kabul ha negato ogni complicità e ha definito irresponsabile la decisione del Pakistan. 

Immagine in anteprima: frame video BBC

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