Disegno di legge italiano sulla carne sintetica e Unione Europea: un flop annunciato
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Aggiornamento 2 febbraio 2024: Come preventivato, la Commissione Europea ha bocciato la notifica della legge del nostro governo che vieta la carne coltivata perché «Il testo è stato adottato dallo Stato membro prima della fine del periodo di sospensione di cui all'articolo 6 della direttiva (UE) 2015/1535». Pertanto, l’Italia ha violato la cosiddetta procedura Tris, la normativa UE che regola l'iter di approvazione di leggi che possano essere in contrasto con il mercato interno europeo. Una figuraccia che si poteva evitare.
La disciplina UE prevede che se uno Stato membro intende introdurre leggi che potrebbero creare ostacoli al mercato interno – come la normativa sulla carne coltivata, che vieta tra le altre cose di «vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare» tale alimento – deve notificare il disegno di legge alla Commissione e agli altri Stati membri.
Dalla data della notifica, l’iter nazionale di approvazione della legge è sospeso per tre mesi affinché sia valutata la sua compatibilità con il diritto dell'UE. Nel caso in cui emergano motivi di contrasto con il diritto europeo, la Commissione e gli Stati membri inviano le proprie osservazioni, sotto forma di “parere circostanziato”, e la sospensione è prorogata fino a sei mesi. A quel punto, lo Stato interessato «deve tener conto del parere circostanziato e rispondere, spiegando gli interventi che intende compiere per conformarsi a esso».
Il testo sulla carne coltivata era stato notificato alla Commissione UE l'1 dicembre 2023, dopo la sua approvazione in Parlamento, il 16 novembre, ma prima della firma del Presidente della Repubblica, quando ancora era un disegno di legge. Pertanto, la direttiva sulla procedura Tris era stata formalmente rispettata. Tuttavia, nella stessa giornata della notifica all’UE, il Presidente della Repubblica aveva firmato la legge, ultimo atto dell’iter di approvazione, insieme a una nota in cui il Quirinale dava conto dell’impegno del Governo di adeguarsi a eventuali osservazioni dell’UE.
Il disegno di legge era quindi divenuto una legge vera e propria, violando però la procedura Tris che – come detto – vieta l’approvazione di un progetto di legge durante l'iter di valutazione. Di qui l'archiviazione della Commissione Europea.
Sul sito del ministero, il ministro Lollobrigida aveva pubblicato una dichiarazione in cui affermava:
"La Commissione europea ha chiuso la procedura Tris, avviata a seguito della notifica della legge sulla carne coltivata. La chiusura comporta che sia stata definitivamente accertata, da parte della Commissione europea, la compatibilità della legge con i principi del diritto della UE in tema di mercato interno. Diversamente, la Commissione avrebbe proceduto con un parere circostanziato, a prescindere dalle modalità di notifica. Non ci sarà pertanto nessuna procedura di infrazione, né richiesta all'Italia di abrogare la legge. La Commissione chiede solo di essere informata sull'applicazione della legge da parte dei giudici nazionali. Come per tutti i provvedimenti che entrano in vigore in Italia, spetta ai giudici nazionali, in sede di applicazione, l'ulteriore vaglio di compatibilità con il diritto unionale".
Ma la Commissione ha successivamente precisato di non aver fatto osservazioni nel merito della legge e che la chiusura della notifica è stata fatta perché la legge è stata adottata in violazione del fermo che si applica in base alla direttiva Tris.
Aggiornamento del 17 novembre 2023: La Camera ha dato ieri il via libera definitivo, con 159 voti a favore, 53 contrari e 34 astenuti, al disegno di legge nazionale sulla carne coltivata. Il provvedimento, come già segnalavano, rischia però di essere un flop annunciato, poiché prima di tutto è inapplicabile. Non soltanto non c’è stata la notifica all’Unione Europea ai sensi della procedura TRIS per le regolamentazioni tecniche che potrebbero limitare la circolazione di prodotti della società dell’informazione.
Il provvedimento va di fatto a vietare qualcosa che è già vietato, poiché non ancora autorizzato dalla Commissione Europea. Nel caso in cui la Commissione lo autorizzasse, inoltre, il divieto resterebbe comunque inapplicabile, poiché entrerebbe in contrasto con il principio di libera circolazione delle merci, che è uno dei principi fondanti dell'Unione Europea.
Si potrebbe definire come un flop annunciato il ritiro da parte del governo della notifica alla Commissione europea del progetto di legge relativo al “divieto di produzione e immissione sul mercato” della cosiddetta carne coltivata, nonché al “divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali”.
Per capire in cosa consista il ritiro della notifica e quali ne potrebbero essere le cause, serve chiarire la disciplina che la prevede, nonché il quadro normativo generale in cui si inserisce il tema in discorso. Può essere anche utile esporre le obiezioni che al disegno di legge italiano sono state fatte da parte di alcune associazioni, nell’ambito dell’istruttoria in sede europea.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Il mercato unico
Il mercato unico dell’Unione Europea è uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Il Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE, articoli 34 e 35) vieta agli Stati membri restrizioni quantitative all'importazione o all'esportazione o misure di effetto equivalente. Tuttavia, possono essere ammessi “divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita (…)” (art. 36, TFUE).
Qualora uno Stato membro intenda introdurre regolamentazioni tecniche che potrebbero comportare limiti alla libera circolazione di prodotti e servizi della società dell'informazione, la disciplina europea (direttiva 2015/1535) prevede che sia effettuata un’apposita notifica alla Commissione e agli altri Stati membri (la cosiddetta procedura TRIS). Restrizioni alla libera circolazione possono essere ammesse solo se necessarie “per soddisfare esigenze imperative e se perseguono un obiettivo di interesse generale di cui costituiscono la garanzia basilare”.
La procedura di notifica è finalizzata a consentire alla Commissione e agli altri paesi membri di valutare la compatibilità dei progetti legislativi con la legislazione dell’Unione Europea. Dalla data della notifica inizia un periodo di sospensione di tre mesi, durante il quale si svolge l’esame della Commissione e degli Stati, anche mediante la consultazione di associazioni private. Qualora emergano profili di incompatibilità con il diritto europeo, Commissione e Stati possono presentare un parere circostanziato su tali profili, e la sospensione viene prorogata per altri tre mesi, nei quali lo Stato notificante deve fornire spiegazioni. Decorso questo periodo, se la Commissione non blocca il progetto, tale Stato può procedere alla sua adozione.
Il 27 luglio scorso, il ministero delle Imprese e del Made in Italy e il ministero dell'Agricoltura e della sovranità alimentare hanno notificato in sede UE – in base alla normativa sopra indicata - il progetto di legge contenente il divieto di attività relative all’utilizzo della carne coltivata.
La normativa sui cibi innovativi
La commercializzazione della carne coltivata necessita di essere autorizzata dalla Commissione europea ai sensi della disciplina UE sui cosiddetti novel food (regolamento n. 2283/2015). Si definiscono come tali gli alimenti o gli ingredienti alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo “significativo” all’interno dell’UE al 15 maggio 1997, data del primo regolamento (n. 258).
Si tratta di prodotti derivati da piante, alghe, funghi e insetti, ma anche ottenuti da nuove tecnologie, come nanotecnologie e ingegneria genetica. L’autorizzazione alla messa in commercio di un novel food da parte della Commissione richiede una valutazione da parte dell’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) sotto il profilo dei rischi per la salute umana. Nel procedimento è previsto possano intervenire anche gli Stati membri, qualora intendano avanzare obiezioni sulla pericolosità dell’alimento stesso.
Le obiezioni al DDL sulla carne coltivata
Il disegno di legge nazionale, teso a imporre una serie di divieti relativi alla carne coltivata (importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare e altro), era immediatamente parso privo di ogni fondamento. Infatti, il consumo di questa carne è già vietato, non essendo stato autorizzato ai sensi del citato regolamento sui novel food. Ma anche in uno scenario futuro, qualora ne fosse consentita dalla Commissione Europea la messa in commercio, i divieti italiani non avrebbero senso, poiché in contrasto con quel principio della libera circolazione delle merci che è fondante per l’UE, come visto.
Inoltre, il principio di precauzione (art. 7, regolamento Ue n. 178/2002) posto a base della proposta normativa viene distorto per giustificare preventivamente il divieto di alimenti da colture cellulari. In base a tale principio, una misura restrittiva della libera circolazione può riguardare un prodotto già in uso, qualora si dimostri un rischio relativo a tale prodotto che, pur se non pienamente comprovato da elementi definitivi, appaia tuttavia supportato dai dati scientifici disponibili. Invece, il progetto italiano invoca il principio di precauzione per un prodotto non ancora in uso, in quanto non ancora autorizzato, assumendo che non vi sia - e non vi potrà essere - sufficiente certezza della sua non pericolosità, anche ove fosse autorizzato, e che comunque esso metta a rischio il patrimonio alimentare italiano.
L’assenza di una normativa UE
Queste ed altre obiezioni sono state sollevate da associazioni private che si sono espresse nell’ambito dell’istruttoria avviata a seguito della notifica italiana in sede UE. L’attenzione delle stesse si è concentrata, tra gli altri profili, sul fatto che il progetto di legge italiano è motivato dai ministeri notificanti con la “assenza, al momento, di una normativa specifica in campo europeo”. Assenza che avrebbe indotto il governo nazionale a intervenire “a livello nazionale per tutelare interessi che sono legati alla salute e al patrimonio culturale”, sulla base del principio di precauzione.
Alcune associazioni fanno notare che non è vero manchi una normativa dell’UE, come invece sostiene l’Italia. In particolare, il regolamento sui novel food, come chiarito dalla Commissione (interrogazione parlamentare E‐ 001778/2023), mira “ad affrontare possibili problemi di sicurezza (…) anche per i prodotti a base cellulare”. Peraltro, la disciplina sui cibi innovativi costituisce espressione proprio del principio di precauzione.
La Commissione UE ritiene che le norme attuali siano “sufficienti per prendere decisioni informate sull’autorizzazione della produzione di carne coltivata in laboratorio”. Pertanto, se uno Stato membro reputi che il quadro normativo dell'UE sia insufficiente a garantire la sicurezza dei nuovi prodotti alimentari per i consumatori europei – continuano le associazioni - “dovrebbe rivolgersi alla Commissione europea» per modificare le norme vigenti, «piuttosto che emanare proprie leggi nazionali, il che comporta il rischio di frammentare il mercato unico dell'Ue creando distorsioni nella concorrenza”.
Le associazioni osservano ancora che, se un prodotto a base di carne coltivata fosse valutato come sicuro e aggiunto all'elenco dei nuovi alimenti approvati dall’UE, “non sarebbe possibile sorvegliarne l'importazione verso l’Italia senza causare incertezza economica. Ciò è dovuto all’assenza di controlli alle frontiere interne dell’Ue per le importazioni tra Stati membri, secondo il principio fondamentale della libera circolazione delle merci nel mercato unico”.
Inoltre – affermano le associazioni - “Il principio di precauzione si applica solo alla salute pubblica e alla protezione dell'ambiente. Il diritto dell'UE (…) non prevede l'applicazione del principio di precauzione per proteggere il patrimonio culturale”, come invece pretenderebbe di fare il governo italiano, con l’ennesima distorsione di tale principio.
Il divieto di denominazione
Un altro degli aspetti valutati dalle associazioni riguarda il divieto, sancito dal disegno di legge italiano, di denominazioni riferite alla carne per i prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. Alcune associazioni rilevano che questi ultimi sono etichettati secondo il regolamento europeo relativo alle informazioni alimentari da fornire ai consumatori (n. 1169/2011): ciò escluderebbe vi possano essere rischi di confusione con i prodotti di origine animale, come l’Italia pare ipotizzare, essendo tale normativa finalizzata alla massima trasparenza. Peraltro, nel 2020 il parlamento europeo ha riconosciuto il diritto di utilizzare nomi come “hamburger”, “cotolette”, “polpette di verdure” e altro sull'etichetta di prodotti a base vegetale, in quanto riferiti a una ricetta e/o a una forma di presentazione di un alimento, non all'origine della materia prima. Questi nomi, quindi, non darebbero luogo a rischi di incomprensione, anche perché sono sempre seguiti dalla specificazione “vegetale”.
Inoltre, la questione della denominazione di tali prodotti dovrebbe essere affrontata a breve dalla Corte di giustizia europea, che deciderà se l’Ue dovrà adottare un approccio armonizzato alle etichette degli alimenti a base vegetale o se ogni paese continuerà ad avere la possibilità di dettare regole proprie. Dunque, sarebbe meglio attendere la pronuncia della Corte prima di emanare norme che potrebbe essere difformi rispetto a quanto disporrà la pronuncia stessa.
Infine, i prodotti a base vegetale non hanno nulla a che fare con alimenti costituiti da, isolati da o prodotti da colture cellulari o tessuti derivati da animali vertebrati. Dunque, in un progetto di legge sulla carne coltivata il divieto di denominazioni che rimandano alla “carne” per prodotti contenenti proteine vegetali non sembra avere molto senso.
Conclusioni: la miopia di norme dannose per l’Unione e l’Italia
Le associazioni, i cui contributi sono stati pubblicati a margine della notifica del disegno di legge sulla carne coltivata, evidenziano non solo criticità rilevanti in punto di diritto, ma anche una certa miopia nazionale nel dettare norme che danneggiano il mercato unico europeo e l’Italia.
Infatti, la mole delle sanzioni a fronte della violazione dei divieti previsti dal disegno di legge “soffocherebbe l'innovazione nell'industria e nel mondo accademico e impedirebbe all'Italia, con implicazioni più ampie nell'Ue, di beneficiare economicamente della crescita delle industrie di carne coltivata e di origine vegetale. Le start-up italiane di carne coltivata saranno costrette a trasferirsi all’estero e gli investitori interessati hanno già iniziato a ritirarsi dai tavoli delle trattative, con la distrazione di capitali ad altri paesi. Inoltre, chiudere l'Italia a un mercato in crescita che impiega professionisti altamente specializzati, tra cui biotecnologi, ingegneri e chimici, peggiorerà ulteriormente la fuga dei cervelli dall'Italia, che, negli ultimi dieci anni, è stata in costante crescita”.
Dunque, al di là degli elementi di incoerenza sul piano giuridico rispetto alla disciplina europea, il disegno di legge nazionale mostra di non essere stato oggetto di una preventiva valutazione di impatto, per verificarne non solo gli effetti diretti, ma anche quelli a più ampio raggio indotti dalla sua adozione. Effetti oltremodo negativi.
Non è dato sapere se i pareri della Commissione Europea e degli altri Stati membri sul progetto italiano fossero orientati nella medesima direzione di quelli delle associazioni citate. Di conseguenza, non è nemmeno possibile conoscere i motivi effettivi del ritiro della notifica in sede UE, e quindi se di fatto si siano voluti evitare ulteriori rilievi al disegno di legge. Di certo, le critiche già ricevute mostrano che l’Italia non si è distinta per la fondatezza della regolamentazione notificata.
Pare, tuttavia, che “la notifica ritirata sarà rinotificata all’esito dell’approvazione parlamentare”. Non resta che augurarsi una revisione, da parte del Parlamento, idonea a rendere il testo più consono alla normativa europea e, quindi, a evitare che in sede UE vi siano bocciature che possano nuocere alla credibilità del paese.
Immagine in anteprima: World Economic Forum, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons