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Elezioni interne, crisi politiche e stanchezza di guerra: l’impatto sul sostegno all’Ucraina

26 Ottobre 2023 10 min lettura

Elezioni interne, crisi politiche e stanchezza di guerra: l’impatto sul sostegno all’Ucraina

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Dal punto di vista diplomatico, le ultime settimane sono state le più complesse della resistenza ucraina contro l’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022. Mentre la situazione sul campo stenta a raggiungere punti di rottura decisivi, è passata inosservata la dichiarazione dello scorso 11 ottobre del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “È l'ultima fase della guerra. Le paure che abbiamo sono tante: i soldi, le armi, ma siamo nell'ultima parte, la più dura” ha detto Zelensky in un’intervista alla tv rumena Digi 24, aggiungendo, in modo criptico, che nessuno può però conoscere la data esatta della fine dei combattimenti, “forse solo Trump”.

Le presidenziali americane del novembre 2024 sono diventate già un fattore cruciale nelle sorti dello sforzo militare e umanitario ucraino, con Joe Biden e Donald Trump che hanno fatto già intendere di voler perseguire politiche di segno opposto in relazione all’Ucraina. Sebbene sia ancora impossibile fare previsioni sull’esito delle elezioni, il sondaggio dell’ABC di fine settembre in cui Trump è stato dato in vantaggio di ben nove punti percentuali sull’attuale presidente degli Stati Uniti ha sorpreso gli osservatori, e allarmato la coalizione internazionale di supporto all’Ucraina.

Il caos dei Repubblicani al Congresso che hanno bloccato gli aiuti militari a Kyiv

Pochi giorni dopo la rilevazione dell’ABC, lo scorso 30 settembre, il Congresso statunitense ha approvato alcune leggi sui finanziamenti provvisori, tenendo però fuori da essi i fondi legati al sostegno a Kyiv. Un totale di 24 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina era stato inserito a luglio dall’amministrazione Biden nella omnibus spending bill, la legge di bilancio annuale americana.

La decisione di escludere i fondi per l’Ucraina è stata fondamentale per evitare uno shutdown governativo e la sospensione dei pagamenti degli stipendi ad alcune categorie di dipendenti pubblici. Un pericolo tutt’altro che ipotetico, dopo la pressione alla Camera dei rappresentanti di una parte del Partito repubblicano contraria agli aiuti all’Ucraina; in Senato, invece, la proposta avrebbe incontrato pochi ostacoli. Allo stesso tempo, l’approvazione di una stopgap bill (in sostanza estendendo il limite temporale di spesa dei fondi) ha concesso al governo altri 45 giorni (cioè fino a metà novembre) per direzionare i fondi a Kyiv attraverso nuove strade.

Al momento, al Dipartimento della Difesa restano 1,6 miliardi di dollari per sostituire le armi inviate in Ucraina e circa 5,4 miliardi di dollari utilizzabili dalla Presidential Drawdown Authority. Sono soldi rimasti nelle casse presidenziali dopo alcuni errori di sovrastima riguardanti ordini precedenti: 200 milioni sono stati approvati lo scorso 11 ottobre come prima misura in seguito alle diatribe interne al Congresso. Decisamente poco per le necessità di Kyiv alla vigilia dell’inverno (ribadite da Zelensky in una visita al quartier generale della NATO), mentre alcune controffensive locali sono state riprese dai russi, come ad Avdiivka (già rallentata dall’esercito ucraino).

Diversi parlamentari repubblicani vicini a Trump hanno poi chiesto le dimissioni dello speaker Kevin McCarthy, anch’egli membro del Great Old Party, maggioranza nella camera bassa. McCarthy è stato accusato dai suoi stessi compagni di partito di aver siglato un “accordo segreto” con la Casa Bianca e i democratici per sbloccare l’assistenza all’Ucraina con una votazione successiva. Una circostanza poi smentita dal repubblicano, che nonostante ciò è stato sollevato dall’incarico di speaker della Camera il 3 ottobre con 216 voti a favore (208 democratici e 8 repubblicani, tutti filo-Trump).

A dispetto dei pronostici, che davano favorito Jim Jordan, uno dei repubblicani più anti-Ucraina nel Congresso, dopo quattro votazioni è stato eletto il collega Mike Johnson. Considerato un trumpiano di ferro, Johnson nel 2022 ha votato a favore dell''Ukraine Democracy Defense Lend-Lease Act, un provvedimento per agevolare l'invio di aiuti militari in Ucraina. Negli ultimi tempi, tuttavia, ha assunto posizione più scettiche, votando due volte contro l'invio di aiuti.

Finora, il ministro degli Esteri ucraino Dmitrij Kuleba ha cercato di riconciliare gli animi parlando, in relazione alla stopgap bill, di “incidente” piuttosto che di un episodio sistemico di un nuovo corso americano nei confronti dell’Ucraina. Queste dichiarazioni hanno però preceduto di pochi giorni lo scoppio di nuove ostilità fra Israele e Palestina, in seguito alle quali una crescente fetta di membri repubblicani – già ostili nell’aumentare i fondi a Kyiv – ha chiesto di dirottare gli aiuti militari dall’Ucraina a Israele. E proprio Tel Aviv negli scorsi giorni ha rifiutato la proposta di Zelensky di una visita in Israele, rimarcando la divergenza di interessi fra i due paesi.

In meno di un mese, lo speaker del Parlamento canadese Anthony Rota (prima volta dal 1986) e quello della Camera bassa americana Kevin McCarthy (prima volta nella storia) si sono dimessi per motivi politici legati all’Ucraina, seppur in contesti molto diversi. La visita di Zelensky in Nord America ha subito risvolti fortemente contrastanti con quelli dell’inverno 2022, squarciando il velo sulle divisioni politiche interne nel supporto all’Ucraina di alcuni dei suoi principali garanti, una spaccatura che nel caso statunitense è tale pure a livello di opinione pubblica da qualche mese, segnalando una solidarity fatigue all’interno della popolazione.

Anche nel blocco politico dell’Europa centro-orientale - con l’eccezione dell’Ungheria uno degli assi portanti della diplomazia filo-Kyiv sin dall’inizio dell’invasione russa - si sono avvertiti dallo scorso settembre i primi scricchiolii. Essi si sono legati a due campagne elettorali concomitanti, quella di fine settembre in Slovacchia e di metà ottobre in Polonia. In altri paesi dell’area in cui non sono previste elezioni imminenti, come la Repubblica Ceca, gli stati baltici e la Romania visitata la scorsa settimana da Zelensky, è stato invece ribadito il sostegno incondizionato alla resistenza ucraina.

Le elezioni in Slovacchia e la nuova coalizione di governo anti-Ucraina

A metà settembre, Slovacchia e Polonia si sono unite all’Ungheria sancendo il blocco alla vendita e al transito del grano ucraino all’interno dei propri confini. I due paesi sono così entrati in contrasto con l’Unione Europea e con l’Ucraina stessa, con quest’ultima sorpresa dalla decisione unilaterale di alcuni dei suoi alleati più stretti. Se la Polonia era stata fra i principali sostenitori dell’Ucraina dal punto di vista militare, anche la Slovacchia nel suo piccolo aveva trasferito a Kyiv la quasi totalità del proprio armamentario bellico di epoca sovietica, tra cui diversi jet Mig-29.

Il paese dell’Europa centrale, che condivide il suo confine orientale con l’Ucraina, si trova senza un governo politico in seguito alla caduta a inizio 2023 dell’esecutivo filoccidentale e pro-ucraino di Eduard Heger, sostenuto dai conservatori di OL’aNO e dai Democratici.

Nonostante le politiche estere dei precedenti governi, la Slovacchia è uno dei paesi con maggiore incidenza di propaganda filorussa nei media dell’intera Unione Europea. Le campagne di disinformazione sono spesso eterodirezionate dalla stessa ambasciata russa a Bratislava che ha contribuito a immettere nel dibattito pre-elettorale diverse notizie false, come la distruzione di un piccolo cimitero della Prima Guerra Mondiale con soldati russi, episodio in realtà mai avvenuto. La polarizzazione della società slovacca provocata dal Cremlino è stata evidenziata dalla stessa presidente Zuzana Čaputová.

Quest’ultima, però, ha bloccato la scorsa settimana l’invio di un pacchetto di aiuti a Kyiv preparato dal governo tecnico guidato da Ľudovít Ódor. Nonostante la posizione filoucraina di Čaputová, questa decisione è legata al rispetto dello Stato di diritto, poiché “i partiti politici che stanno oggi negoziando [le dichiarazioni sono antecedenti alla firma ufficiale di un accordo di coalizione, NdA] la formazione di nuovo governo si sono inequivocabilmente opposti a questi aiuti” ha dichiarato il portavoce presidenziale.

Robert Fico, il cui partito di sinistra populista SMER ha conquistato il primo posto alle elezioni con il 23% delle preferenze, ha infatti costruito uno dei capisaldi della propria campagna elettorale attorno al “non inviare una singola cartuccia” a Kyiv.

L'11 ottobre Fico ha poi firmato un memorandum che ha delineato la prossima coalizione di governo, che include Hlas, il partito social-democratico di Petro Pellegrini (che condivide le posizione anti-immigrazione di SMER ma non il taglio agli aiuti all’Ucraina) e il Partito Nazionale Slovacco, piattaforma populista di estrema destra ancor più intransigente di Fico nei rapporti con Kyiv. Sebbene in seguito all’accordo i tre partiti abbiano messo per iscritto di non voler cambiare l’orientamento della politica estera verso UE e NATO, il nuovo governo di Bratislava - Fico si è insediato come primo ministro lo scorso 25 ottobre, decretando lo stop degli aiuti militari all'Ucraina - sembra avvicinarsi alle posizioni di Viktor Orban (che nel frattempo in Cina ha incontrato Putin per la prima volta dall’invasione su larga scala) sulla questione ucraina.

Le manipolazioni politiche e la sconfitta elettorale di PiS in Polonia

Accogliendo milioni di migranti ucraini, donando aiuti umanitari alla popolazione e soprattutto trasferendo circa tre miliardi di dollari in armamenti, la Polonia del presidente Andrzej Duda e del primo ministro Mateusz Morawiecki si è posizionata sin dal febbraio 2022 come una delle avanguardie antirusse all’interno dell’Unione Europea.

La buona pubblicità derivante dal sostegno a Kyiv ha occultato parzialmente la deriva autoritaria del partito di destra populista Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) alla guida del paese. Anche la Polonia ha trasferito perlopiù vecchie armi di produzione sovietica, sostituendole con nuovi arrivi aderenti agli standard NATO: l’enfasi sull’aiuto all’Ucraina è stata funzionale anche per modernizzare il proprio esercito.

La Polonia ha speso nel sostegno militare all’Ucraina meno di Danimarca, Norvegia e soprattutto un sesto della Germania. Quest’ultima è stata spesso criticata ferocemente dallo stesso governo polacco per lo scarso decisionismo, o persino apertamente accusata di compiacenza verso Mosca. Eppure, Varsavia è stata quella che ha tratto i maggiori benefici dalla concessione di armi a Kyiv, divenendo un hub logistico della NATO e accelerando un processo che mira a dotare il paese dell’esercito più potente d’Europa.

Durante la fase più calda della campagna elettorale conclusasi lo scorso 15 ottobre con la sconfitta sostanziale di PiS, il governo polacco ha scoperto definitivamente le carte iniziando a sfruttare la questione ucraina come strumento di propaganda elettorale, di fatto voltando le spalle a Zelensky in un momento cruciale della guerra. Come la Slovacchia, la Polonia ha rifiutato (a differenza di Bulgaria e Romania) la direttiva comunitaria riguardante il ripristino del transito di grano ucraino per violazione dei regolamenti di libero commercio.

L’enfasi sulla questione agraria è stata inevitabilmente legata al desiderio di PiS di non disperdere il voto dei contadini nelle aree rurali, conteso anche dall’estrema destra di Konfederacija e dalla piattaforma centrista Terza Via, composta Polska 2050 e dal Partito Popolare Polacco (PSL), tradizionalmente legato alla rappresentanza delle campagne e del primo settore.

Anche in questo caso il ministro degli Esteri ucraino Kuleba aveva cercato di gettare acqua sul fuoco, parlando pure di un’altra questione al centro delle relazioni ucraino-polacche: la pulizia etnica in Volinia, oggi Ucraina occidentale, condotta dai nazionalisti ucraini contro i polacchi locali nel 1943-44. “L’Ucraina rappresenta una percentuale di voti alle elezioni polacche. La questione ucraina è divisa in due parti: grano e Volinia. In Polonia, chi utilizzerà correttamente il tema Volinia e il tema grano in Polonia, riceverà il maggior numero di voti. Questa è la loro logica interna”, aveva dichiarato Kuleba alla vigilia delle elezioni, rimarcando come fosse “nell’interesse di entrambe le parti non parlare fino al 15 ottobre: ciò avrebbe reso più agevole uscire fuori da questa situazione dopo le elezioni”.

In quello che è sembrato essere un all-in pre-elettorale per dimostrare ai propri cittadini di anteporre gli interessi polacchi a quelli ucraini, il primo ministro Morawiecki aveva dichiarato lo scorso 21 settembre che Varsavia non avrebbe più trasferito nuove armi a Kyiv, al di fuori di quelle già promesse nei precedenti accordi. “La priorità” ha detto Morawiecki, “è diventata proteggere la sicurezza della Polonia stessa”.

Successivamente, diversi ministri e parlamentari di PiS hanno attaccato l’Ucraina per non aver invitato rappresentanti polacchi all’incontro dei ministri degli Esteri dell’UE a Kyiv lo scorso 2 ottobre, segnalando una contrazione dei rapporti ucraino-polacchi. In realtà, sembrerebbe che siano stati proprio i polacchi a declinare l’invito ufficiale a Kyiv per il forum.

La strategia non ha avuto gli esiti positivi sperati. Il PiS si è confermato primo partito con poco meno del 36% delle preferenze, ma con 198 parlamentari su 450 non riuscirà a formare una coalizione, nemmeno accordandosi con l’estrema destra di Konfederacija, che in ogni ha caso ha formalmente escluso possibili alleanze.

Il presidente Andrzej Duda, legato strettamente a PiS, con ogni probabilità concederà ugualmente un primo tentativo al partito vincente, cioè PiS, di formare un governo. Ciò nonostante l’eterogenea coalizione virtualmente guidata da Donald Tusk, composta dal partito liberale di centro-destra Coalizione Civica (Koalicja Obywatelska, KO), dalla sinistra Nowa Lewica (NL) e dalla piattaforma centrista Terza Via (Trzecia Droga, TD) disponga già adesso di una maggioranza larga di 248 deputati alla Camera bassa (e una ancora maggiore al Senato). In ogni caso, la tattica politica di Duda rimanderà l’insediamento di un esecutivo formato dalle forze dell’opposizione al più fino a metà dicembre.

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Un probabile governo a guida Tusk, ex presidente del Consiglio europeo tra il 2014 e il 2019 ed europeista convinto, proverà a ricucire i rapporti con Bruxelles, Berlino e Kyiv. Durante la campagna elettorale, Tusk ha criticato il deterioramento delle relazione con l’Ucraina imputandolo alle manipolazioni strumentali di PiS, definite da Tusk “l’affondo di un coltello politico nella schiena dell’Ucraina, nel momento in cui quest’ultima decide la sua sorte nelle battaglie in prima linea”.

In prospettiva, pure il ripristino di un dialogo polacco-tedesco più sereno è fondamentale per la tenuta della coalizione di supporto militare e diplomatico all’Ucraina. L’Unione Europea sta discutendo, con difficoltà e da mesi, l’adozione di un pacchetto da 20 miliardi in aiuti militari per Kyiv nei prossimi quattro anni. Ciò richiede l’approvazione dei 27 Stati membri, improbabile da raggiungere entro il 2023 (tenuto conto pure del quasi certo veto ungherese). Una Polonia al fianco delle politiche europee e della resistenza ucraina senza ambiguità è però un tassello fondamentale in questo difficile percorso.

Immagine in anteprima: frame video cpac via YouTube

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