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Argentina al ballottaggio tra destra estrema e continuità con il governo uscente: sullo sfondo il rischio di esplosioni sociali

23 Ottobre 2023 6 min lettura

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Argentina al ballottaggio tra destra estrema e continuità con il governo uscente: sullo sfondo il rischio di esplosioni sociali

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Come molti sondaggi prevedevano, l’Argentina va al ballottaggio per le elezioni presidenziali. Quel che non era chiaro però era con quali candidati e numeri: Sergio Massa, rappresentante della coalizione peronista progressista Unión por la Patria è in testa con il 36,6% dei voti, mentre Javier Milei, che era arrivato primo alle primarie con il suo messaggio ultraliberale e anticasta, è arrivato secondo con il 30%. È rimasta fuori invece Patricia Bullrich, rappresentante della coalizione della destra tradizionale argentina Juntos por el Cambio, con il 23,8%. Juan Schiaretti, governatore della provincia di Cordoba, a destra del peronismo, ha preso il 6,8%, mentre Myriam Bregman, deputata trotzkista, si è fermata al 2,7%. 

Il risultato del prossimo appuntamento elettorale, il 19 novembre 2023, è tutt’altro che scontato: nel suo discorso dopo lo scrutinio, Bullrich ha aperto di fatto la porta a Milei. Quest’ultimo a sua volta ha fatto riferimento alla necessità di andare alle prossime votazioni uniti “con tutti quelli che vogliono un cambio” contro il kirchnerismo (corrente politica argentina di sinistra che fa riferimento all'azione politica di Néstor Carlos Kirchner, presidente dell'Argentina dal 2003 al 2007 e deceduto nel 2010, e di sua moglie, Cristina Fernández de Kirchner, presidente dal 2007 al 2015). Eppure non tutto l’elettorato di Bullrich andrà a votare per Milei: in particolare il partito radicale, sebbene sia parte della coalizione Juntos por el Cambio, potrebbe costruire alleanza con Massa che, a sua volta potrebbe contare, sulla maggioranza dei voti di Schiaretti e Bregman. 

Inoltre, insieme ai candidati alla presidenza, in queste elezioni si sceglievano anche i governatori delle province di Entre Ríos (aggiudicata dalla destra) e Catamarca (dove ha vinto la coalizione kircnherista), oltre alla provincia e alla città di Buenos Aires. Nella capitale si è affermato Jorge Macri, di Juntos por el Cambio, con il 49,6% mentre a governare la provincia è stato confermato Axel Kicillof, con il 44,9%, già ministro dell’economia con Cristina Kirchner e uno dei volti più benvoluti del kirchnerismo, che ha aiutato anche a spingere il voto nazionale verso Massa.

Rispetto alle primarie dello scorso 13 agosto (alle quali sono obbligati a presentarsi tutti i partiti, anche quelli con un unico candidato), Massa è riuscito sorprendentemente a guadagnare 9 punti percentuali, più di 4 milioni di voti, mentre Milei non è riuscito a sbancare, ripetendo in sostanza lo stesso risultato di tre mesi prima e non riuscendo a convincere nuovi elettori a votarlo nonostante il suo principale oppositore fosse l’attuale ministro dell’Economia, alle prese con un’inflazione sopra il 100%. 

Infine, c’è un 26% di votanti che in questa elezione si è astenuto e che può far pendere l'ago della bilancia per l’uno o l’altro dei due candidati al ballottaggio. L’affluenza alle urne (del 74%) è stata più alta rispetto alle ultime elezioni legislative, nel 2021, dove il voto per scegliere i parlamentari aveva toccato il minimo storico (67,7% alle primarie e 71,4% alle elezioni) ma resta al di sotto della media in un paese in cui il voto è obbligatorio, confermando una progressiva crisi della rappresentazione politica che va di pari passo con una crisi economica in costante crescita, un’inflazione galoppante e un aumento della povertà che quest’anno ha superato il 40% della popolazione.

La storica polarizzazione, che in Argentina chiamano “la grieta”, tra gli interessi del settore agro esportatore e le necessità dell’industria nazionale per il suo sviluppo, ristagna da anni in uno scenario in cui nessuna politica riesce a trovare una strada per uscire dalla crisi, mentre lo schiacciante debito estero, la pandemia e la costante svalutazione della moneta hanno reso sempre più difficili le condizioni di vita della popolazione.

È in questo contesto di esasperazione che, tra le due coalizioni che si sono alternate al potere negli ultimi decenni in Argentina, si è fatta strada una terza opzione, il discorso dell’estrema destra, ultraliberale e almeno a parole “anti casta”, già fenomeno di carattere globale. Gli elettori di Milei sono soprattutto giovani di classe sociale media e bassa che sentono la mancanza di opportunità per il proprio futuro, lavoratori digitali e micro imprenditori che vedono lo Stato come un ostacolo e infine un blocco conservatore a cui il candidato strizza l’occhio con un discorso revisionista che non riconosce i 30mila desaparecidos né la dittatura

Milei – che nel 2021 ha fondato la coalizione La Libertad Avanza per partecipare alle legislative – aveva cominciato a farsi conoscere nel 2016 nei dibattiti televisivi con uno stile rockettaro, i capelli spettinati e una retorica aggressiva e iraconda. In pochi anni ha costruito con successo la sua narrazione “anarcocapitalista” su posizioni di estrema destra, ispirata all’economista statunitense Murray Rothbard e alle figure politiche di Trump e Bolsonaro. Tra i punti di forza della sua campagna elettorale ci sono la dollarizzazione dell’economia argentina e la chiusura della Banca Centrale, insieme alla riduzione della spesa pubblica con il taglio di interi ministeri, fino ad arrivare alla proposta di liberalizzare la vendita di organi, armi, bambini. Proprio quest'ultima proposta ha fatto scricchiolare il consenso dell’establishment nei confronti della sua candidatura.

D’altro canto, nessuno dei volti noti della politica argentina degli ultimi cicli elettorali si è presentato questa volta alla competizione per il governo del paese: né l’attuale presidente Alberto Fernandez né la sua vice, nonché maggiore figura politica del progressismo, Cristina Fernández de Kirchner, e nemmeno Mauricio Macri, esponente della destra che ha governato dal 2015 al 2019 lasciando all'Argentina il maggior debito mai contratto con il Fondo Monetario Internazionale.

Al loro posto, il blocco peronista ha fatto quadrato attorno a Sergio Massa, figura che ha sempre mostrato una grande abilità nel muoversi sullo scacchiere politico secondo l’opportunità del momento: dopo i suoi inizi in un partito liberal-conservatore è passato ai governi di Menem e da lì nel 2003 come funzionario di Nestor Kirchner. Successivamente, durante i mandati di Cristina Kirchner, Massa si è allontanato, ha coltivato il vincolo con Macri durante i primi anni del suo governo per tornare infine alla coalizione kircnherista fino a diventare ministro dell'Economia nel governo guidato da Alberto Fernández. Da quest’ultima posizione si è candidato alle elezioni come prossimo presidente, di stampo conservatore, a capo del peronismo di tutte le sfaccettature ideologiche riunito. 

Sul versante della destra tradizionale si presentavano Horacio Rodriguez Larreta, attualmente sindaco di Buenos Aires, e Patricia Bullrich, ministra della Sicurezza durante il governo Macri e in particolare nell’agosto 2017, quando le forze della gendarmeria uccisero Santiago Maldonado durante la repressione di una comunità mapuche nel Cushamen, nel sud argentino.

La vittoria della Bullrich su Larreta alle primarie di agosto mostrava una tendenza dell’elettorato a privilegiare la mano dura della prima sui metodi conciliatori del secondo, mentre il programma di entrambi proponeva la stessa ricetta del governo Macri, con alcuni aspetti liberalizzazione, apertura del mercato e tagli fiscali, al punto da renderlo compatibile con la visione di Milei. Il suo elettorato giocherà dunque un ruolo importante al ballottaggio, anche se la partita è ancora del tutto aperta.

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Per ora, quel che ha mostrato questa prima tornata elettorale è che la destra estrema in Argentina non ha sedotto la maggior parte della popolazione e anzi, sembra aver raggiunto un tetto nella sua capacità di raccogliere consensi, mentre l’elettorato di sinistra è stato costretto a votare Massa perché orfano di un’opzione progressista (con l’eccezione del trozkismo di Bregman, che però si rivolge a una nicchia specifica di votanti). Nel caso di una vittoria di Milei, lo scenario che si apre potrebbe essere simile a quello già visto nei paesi dove ha governato la destra estrema, come il Brasile: la vita della popolazione subisce una brutale degradazione, aumentano il porto d’armi e gli attacchi al pluralismo e alla diversità, si smantellano la protezione ambientale e le politiche sociali. Inoltre se Milei riuscisse a imporre il dollaro come moneta al posto del peso, la sovranità nazionale dell’Argentina finirebbe nelle mani della Federal Reserve statunitense. 

Se invece dovesse vincere Massa, il rischio è quello di proseguire sulla stessa linea politica dell’ultimo governo che, oltre a peggiorare le condizioni di vita della maggioranza, ha riunito tutti gli ingredienti necessari perché la destra estrema crescesse. Se non avviene un cambio deciso di rotta politica insomma, una nuova esplosione sociale potrebbe esse solo rimandata di un po’.

Immagine in anteprima: frame video Televisión Pública Noticias via YouTube

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