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Un anno dopo l’uccisione di Dom Phillips e Bruno Pereira, l’Amazzonia è ancora sotto minaccia. Il governo Lula deve proteggere la foresta e il suo popolo

6 Giugno 2023 6 min lettura

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Un anno dopo l’uccisione di Dom Phillips e Bruno Pereira, l’Amazzonia è ancora sotto minaccia. Il governo Lula deve proteggere la foresta e il suo popolo

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Più o meno un anno fa, il 15 giugno 2022, venivano ritrovati i corpi senza vita del giornalista del Guardian, Dom Phillips, e di Bruno Pereira, l’esperto brasiliano dell’ente di protezione dei popoli indigeni. Erano scomparsi una decina di giorni prima nella valle del Yavarí, nella foresta amazzonica, durante un viaggio per indagare sullo sfruttamento della foresta e sulle crescenti minacce a cui sono sottoposte le popolazioni indigene.

A un anno di distanza, le loro uccisioni sembrano essere sempre più collegate agli interessi di gruppi dediti ad attività illegali su cui i due stavano indagano. La valle del Yavarí – uno dei luoghi più isolati del pianeta, una riserva di 85mila chilometri quadrati coperta dalla foresta amazzonica, senza strade, dove ci si sposta navigando il fiume e al cui interno vivono circa 23 gruppi indigeni che non hanno contatti esterni – è infatti un territorio ambito per la pesca, la caccia, l’abbattimento degli alberi e l’estrazione mineraria illegale, ed è una zona interessata dalle reti di narcotraffico al confine tra Brasile, Perù e Colombia. 

Il 5 giugno la polizia federale del Brasile ha incriminato quello che si considera il mandante degli omicidi, Ruben Dario da Silva Villar, a capo di un gruppo criminale dedito alla pesca illegale nella foresta amazzonica, e il suo “braccio destro”, Jânio Freitas de Souza, accusato di essere coinvolto anche nell’occultamento dei corpi di Phillips e Pereira. I due erano stati seguiti per giorni dall’organizzazione criminale guidata da Silva Villar prima di essere uccisi.

“Le loro uccisioni sono state le conseguenze delle politiche promosse da Jair Bolsonaro, un presidente che è stato senza dubbio il peggiore degli ultimi decenni in materia di ambiente”, commenta in un articolo sul Guardian Beto Marubo, coordinatore tecnico dell’“União dos Povos Indígenas do Vale do Javarii” (Univaja), la principale associazione di nativi della regione. Dopo aver lavorato per anni con l’ente nazionale per protezione dei popoli indigeni, la FUNAI, nel 2019 Pereira aveva lasciato l’ente, stravolto dai tagli dei fondi e dei dirigenti da parte di Bolsonaro, per collaborare proprio con Univaja e aiutare l’organizzazione indigena a formare le squadre di vigilanza territoriale per documentare e denunciare la pesca e la caccia illegali. 

Tra il 2019 e il 2022, sotto l'allora presidente Jair Bolsonaro, il disboscamento in Brasile ha subito un'impennata. La nuova amministrazione di Luiz Inácio Lula da Silva ha promesso di limitare la deforestazione.

La causa principale di disboscamento è l'allevamento del bestiame. Secondo un nuovo rapporto del Bureau of Investigative Journalism (TBIJ), in appena sei anni sono stati abbattuti più di 800 milioni di alberi per soddisfare l'appetito del mondo per la carne bovina brasiliana, nonostante gli avvertimenti sull'importanza della foresta nella lotta alla crisi climatica.

L'industria della carne bovina in Brasile si è sempre impegnata a evitare gli allevamenti legati alla deforestazione, riporta il Guardian. Tuttavia, i dati suggeriscono che 1,7 milioni di ettari di Amazzonia sono stati distrutti in prossimità di impianti di carne che esportano carne bovina in tutto il mondo.

“La valle del Javari è al centro di una convergenza di interessi, tra traffico di droga, pesca illegale, disboscamento illegale e attività minerarie”, spiega l'ex capo della polizia Alexandre Saraiva, che ha lavorato in Amazzonia dal 2011 al 2021. “Ho sperimentato come lo Stato abbia perso il controllo della sicurezza pubblica a Rio de Janeiro. Oggi in Amazzonia - se non si fa nulla in termini di sicurezza pubblica - ci troviamo di fronte a una Rio de Janeiro grande come un continente, con l’aggravante dei confini con i principali produttori di droga e un contesto di giungla straordinariamente difficile”.

I dati raccolti dal progetto Bruno e Dom del Forum brasiliano sulla sicurezza pubblica (FBSP) sull’impatto della criminalità organizzata nell’Amazzonia sono disarmanti: 

  • Nel 2022, con oltre 8.000 morti, il tasso di omicidi nei nove Stati dell'Amazzonia brasiliana è stato superiore di oltre il 50% rispetto al resto del paese, raggiungendo un livello simile a quello del Messico.
  • Nello Stato di Amazonas, dove sono stati uccisi Bruno Pereira e Dom Phillips e altre 1.430 persone lo scorso anno, il tasso di omicidi è stato del 74% superiore alla media nazionale. Il 2021 è stato ancora più violento, con 1.571 vittime e un tasso di morte violenta di 36,8 ogni 100.000 abitanti, cinque volte superiore a quello degli Stati Uniti.
  • Il numero di persone uccise dalla polizia militare e civile è cresciuto del 71% in Amazzonia tra il 2016 e il 2021, rispetto al 35% nel resto del Brasile. La popolazione carceraria dell'Amazzonia è cresciuta del 35,1% tra il 2016 e il 2022, rispetto al 14,1% del resto del paese, aiutando le fazioni gestite dai centri di detenzione a prosperare nelle carceri sovraffollate.
  • Le due fazioni criminali più potenti del Brasile - il PCC (Primo Comando della Capitale) di San Paolo e il CV (Comando Rosso) di Rio - operano oggi in tutti e nove gli Stati dell’Amazzonia. Oltre a loro ci sono almeno altri 15 gruppi criminali regionali.

Se è vero che la violenza è stata a lungo “un tratto distintivo dell'occupazione predatoria dell'Amazzonia”, ha detto la ministra dell'Ambiente, Marina Silva, ricordando gli assassinii di attivisti come Chico Mendes, nel 1988, e Suor Dorothy Stang nel 2005, la “sovrapposizione di molteplici forme di criminalità” nella regione rende ora necessaria una maggiore presenza dello Stato nelle regioni colpite. “Se lo Stato brasiliano non interviene con urgenza e fermezza, avremo [intere] regioni gestite dai narcotrafficanti”, commenta Beto Marubo.

Di questo passo, aggiunge Saraiva, l’Amazzonia sarà territorio “di grandi conflitti tra gruppi che si contenderanno aree di estrazione illegale di oro e legname. In mezzo a tutto questo, ci saranno vittime indigene. E dovremo affrontare immense difficoltà logistiche per combattere tutto questo”.

Una volta eletto, il presidente Lula ha cercato di coinvolgere Univaja. A febbraio, i leader indigeni si sono incontrati con il ministro di Lula per i popoli indigeni, con alti funzionari dell'ambiente e con le autorità di polizia presso la sede dell'organizzazione per lavorare insieme al “recupero della valle del Javari”.

“È stato un incontro importante, ma non ha ancora prodotto azioni efficaci”, commenta ancora Beto Marubo. “Una squadra della polizia federale è stata inviata nella regione, ma non ha le risorse necessarie per operare in quest’area così difficile. Noi leader indigeni chiediamo - e speriamo di vedere - l'agenzia per l'ambiente, l'Ibama, l'esercito, la marina e le altre forze di sicurezza intraprendere un'azione coraggiosa, chiara e coordinata. Il lavoro di Lula nel Javari deve andare oltre le ‘buone intenzioni’, proprio come ha fatto di fronte alla situazione critica del territorio Yanomami più a nord”.

Intanto, colleghi e amici di Dom Phillips e Bruno Pereira stanno cercando di portare a termine il lavoro rimasto interrotto del giornalista del Guardian e dell’attivista ambientale brasiliano. Tra questi, il giornalista esperto di ambiente e clima, Jonathan Watts, Eliane Brum (autrice e cofondatrice di Sumaúma, un sito di informazione sull’Amazzoni), Tom Phillips (corrispondente dall'America Latina per il Guardian), Jon Lee Anderson (scrittore del New Yorker), Katia Brasil (fondatrice di Amazônia Real) e Andrew Fishman (presidente e cofondatore di Intercept Brasil). 

“Dom è stato assassinato mentre raccontava la storia dei difensori dell'Amazzonia che vengono uccisi. Lasciare il suo libro incompiuto significherebbe lasciare che i distruttori dell'Amazzonia vincano senza combattere. Sarebbe un disservizio per la sua eredità e per tutto ciò in cui crediamo come giornalisti”, ha detto Fishman.

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La sorella di Phillips, Sian Phillips, ha dichiarato che il progetto non è solo un tributo duraturo al lavoro di una vita del fratello, ma anche una risorsa di fondamentale importanza per continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle minacce che incombono sulla foresta amazzonica e sulle popolazioni indigene che la proteggono: "Se Dom e Bruno non fossero stati uccisi, il libro sarebbe stato importante per la conservazione dell'Amazzonia. Ma ora, grazie al clamore internazionale suscitato dagli omicidi, il potenziale del libro è maggiore perché molte più persone lo leggeranno", ha detto.

Il 5 giugno, a un anno esatto dalla loro scomparsa, sono stati organizzati diversi eventi di commemorazione. Gli attivisti dell’Equipe de Vigilância da Univaja (EVU), il gruppo di monitoraggio indigeno che Pereira ha contribuito a creare, hanno percorso il fiume Itaquaí per innalzare una croce di sequoia nel punto in cui  Dom Phillips e Bruno Pereira sono stati uccisi.

Immagine in anteprima: Frame video Euronews via YouTube

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