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Organizzazione Meteorologica Mondiale: Come salvare vite umane in caso di eventi meteorologici estremi

26 Maggio 2023 12 min lettura

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Organizzazione Meteorologica Mondiale: Come salvare vite umane in caso di eventi meteorologici estremi

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

La maggiore intensità e frequenza dei fenomeni meteorologici estremi stanno provocando ormai a tutte le latitudini danni ingenti e purtroppo la morte di tante persone colte impreparate da eventi per i quali non eravamo preparati. Lo abbiamo visto anche in Italia, recentemente in Emilia-Romagna per ben due volte a distanza di poche settimane, e lo scorso settembre nelle Marche. Ma sistemi di allerta precoce e di migliore gestione degli effetti devastanti di questi eventi catastrofici possono salvare tante vite umane. Almeno stando a quanto riporta uno studio dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM).

Alluvioni in Emilia-Romagna: un disastro annunciato e perché c’entra anche il cambiamento climatico

Secondo il rapporto, nei paesi più esposti alle conseguenze della crisi climatica, inondazioni, tempeste e incendi hanno causato danni economici per migliaia di miliardi di dollari nell'ultimo mezzo secolo, ma il numero di vittime umane è diminuito drasticamente col passare degli anni. 

Fonte: WMO

Dal 1970, riporta l’OMM, sono morte due milioni di persone a causa di eventi meteorologici estremi. Ma tra il 2019 e il 2021 le vittime sono state 22.608, un numero inferiore rispetto agli anni precedenti. Il costo dei danni causati da questi eventi è invece aumentato di otto volte e ora supera i 4mila miliardi di dollari.

I danni economici maggiori sono stati registrati nei paesi più ricchi. Gli eventi meteorologici estremi sono costati a questi paesi circa 1.700 miliardi di dollari, il 39% del totale globale degli ultimi 51 anni. Tuttavia, i paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari hanno subito costi molto più elevati in relazione alle dimensioni delle loro economie, aggiunge l'OMM.

Via WMO

L'Asia ha rappresentato il 47% di tutte le vittime segnalate a livello mondiale - quasi un milione - con i cicloni tropicali come causa principale. Il Bangladesh ha registrato il più alto numero di morti in Asia dal 1970 (520.758 persone, attribuite a 281 disastri). In Europa, 166.492 persone sono morte in 1.784 disastri, pari all'8% deil totale in tutto il mondo.

La diminuzione del numero di morti - prosegue il rapporto - non ha nulla a che vedere con la minore frequenza o gravità di questi eventi, aumentati di cinque volte. Questo risultato è, dunque, l’esito dei miglioramenti nelle misure di protezione delle popolazioni che abitano i territori più vulnerabili a questi disastri.

“Le comunità più vulnerabili purtroppo sopportano il peso dei rischi legati al tempo, al clima e all'acqua”, ha dichiarato il Segretario generale dell'OMM, Petteri Taalas.

Il ciclone Mocha, la tempesta tropicale che ha colpito parti del Myanmar e del Bangladesh la scorsa settimana, ha provocato distruzioni diffuse, colpendo alcune delle comunità più povere. “Si dice che almeno 800.000 persone abbiano bisogno di aiuti alimentari d'emergenza e di altre forme di assistenza, ma si stima che il numero di morti sia attualmente inferiore a 200. In passato una tempesta del genere avrebbe causato un bilancio di decine o addirittura centinaia di migliaia di morti”, spiega Taalas. “Grazie all'allerta precoce e alla gestione delle catastrofi, questi tassi di mortalità catastrofici sono ormai fortunatamente storia passata”.

Entro il 2027, è il monito dell’OMM, tutti gli abitanti del pianeta dovrebbero essere messi nelle condizioni di ricevere avvisi tempestivi di alta qualità in caso di disastri imminenti.

Nigeria: secondo un rapporto Shell ed ENI dovrebbero pagare 12 miliardi di dollari per ripulire le fuoriuscite di petrolio, ma le due compagnie negano responsabilità 

La Nigeria è il più grande produttore di petrolio dell'Africa e sforna quasi 1 milione di barili di greggio al giorno. Ma le conseguenze degli sversamenti per le comunità locali sono  devastanti. 

La comunità di Oruma, nella regione nigeriana del Delta del Niger, ricca di petrolio, sta ancora soffrendo per la fuoriuscita di petrolio avvenuta nel 2005 da un oleodotto della Shell sui terreni agricoli. La fuoriuscita di greggio ha causato danni estesi agli ecosistemi locali, trasformando la rigogliosa foresta - un tempo principale fonte di reddito per agricoltori e pescatori - in un paesaggio contaminato. Nel 2021 un tribunale olandese ha ritenuto la Shell responsabile del disastro e le ha ordinato di risarcire la comunità di Oruma per i danni subiti.

Recentemente, secondo un rapporto della Commissione petrolifera e ambientale dello Stato di Bayelsa, il volume totale di petrolio fuoriuscito a Bayelsa è stato almeno 10 volte più grande della catastrofe della petroliera Exxon Valdez del 1989, che ha danneggiato circa 1.000 chilometri di costa dell'Alaska, negli Stati Uniti.

Bayelsa è stata la prima area dell'Africa occidentale a produrre quantità commerciali di petrolio alla fine degli anni '50. Da allora, le aziende - principalmente Shell ed ENI - hanno pompato miliardi di barili di greggio da terreni, paludi e corsi d'acqua dello Stato. Le fuoriuscite di petrolio dalle loro infrastrutture hanno trasformato la regione in "uno dei luoghi più inquinati della Terra", si legge nel rapporto.

La Commissione afferma che Shell ed ENI devono pagare almeno 12 miliardi di dollari per la bonifica. Tuttavia, le due compagnie petrolifere hanno sostenuto di non essere responsabili, attribuendo la responsabilità delle fuoriuscite di petrolio a sabotatori e furti di greggio. Ma, secondo il rapporto, le aziende non sono riuscite a "investire, mantenere, gestire e proteggere adeguatamente gli oleodotti" che sviluppano fuoriuscite a un ritmo "senza pari rispetto ad altri grandi paesi produttori di petrolio" e ci sono anche “forti motivi per ritenere che le statistiche ufficiali sovrastimino in modo significativo e sistematico il numero di sversamenti provocati da sabotaggi minimizzando quelli attribuibili ad altre cause”.

L'impatto dell'inquinamento da petrolio non si limita all'ambiente. Gli studi condotti per la Commissione hanno rilevato che "le tossine dell'inquinamento da idrocarburi sono presenti a livelli spesso pericolosi nel suolo, nell'acqua e nell'aria" in tutta Bayelsa e "sono state assorbite nella catena alimentare umana". Il rapporto riporta che sono stati rilevati inquinanti tossici anche nel sangue degli abitanti. Le comunità e gli attivisti accusano da tempo le aziende produttrici di petrolio di non aver provveduto alla sicurezza e alla manutenzione degli oleodotti.

La Commissione ha individuato una serie di interventi che potrebbero rimediare al danno arrecato a Bayelsa e ha raccomandato una revisione delle norme  per consentire sanzioni più pesanti e limitare l'influenza dei produttori dalle attività di controllo e verifica delle fuoriuscite "fondamentalmente compromesso". Allo stato attuale, si legge nel rapporto, i dipartimenti governativi incaricati di far rispettare gli standard ambientali mancano di "capacità, indipendenza e influenza".

Il Parlamento Europeo ha rinviato il voto sulle energie rinnovabili dopo l’opposizione di alcuni paesi europei

Il Parlamento Europeo ha rinviato l'approvazione dei nuovi obiettivi dell'UE in materia di energie rinnovabili, dopo l’opposizione di Francia e altri paesi a ridosso del voto. Il voto, che sembrava una formalità, è stato rinviato a giugno.

La legge, riporta Reuters, prevede l’obiettivo vincolante per l'UE di ottenere il 42,5% dell'energia da fonti rinnovabili entro il 2030. I negoziatori del Parlamento Europeo e degli Stati membri sembravano aver concordato ormai nei dettagli l’accordo finale, ma all’ultimo momento la Francia ha chiesto un maggiore riconoscimento dell'energia nucleare. Inoltre, scrive sempre Reuters in un altro articolo, otto paesi, tra cui l’Italia, "stanno spingendo per indebolire i nuovi limiti di emissione dell'UE per le automobili, sostenendo che sono troppo ambiziosi e poco realistici per le case automobilistiche".

L’Unione Europea sta cercando di approvare anche due leggi importanti sulla natura prima delle elezioni europee del prossimo anno: obiettivi vincolanti per i paesi membri per ripristinare gli habitat naturali danneggiati e il dimezzamento dell’uso di pesticidi chimici entro il 2030. Le leggi incompiute si stanno accumulando. Il loro destino non sarebbe chiaro se il nuovo Parlamento dell'UE avesse una composizione diversa. Negli ultimi due anni sono state approvate molte leggi ambientali dell'UE, ma col passare dei mesi sta aumentando la resistenza di alcuni Stati e dei gruppi di interesse.  Questo mese il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha suggerito una pausa sulla nuova regolamentazione ambientale europea, per dare alle industrie il tempo di assorbire le leggi concordate di recente.

In Asia, acqua ed energia sono a rischio a causa dei cambiamenti climatici

Il sistema idrico dell'Hindu Kush-Himalaya è messo a dura prova dagli impatti del cambiamento climatico, riporta una ricerca del think tank China Water Risk. Lo scioglimento dei ghiacciai e le condizioni meteorologiche estreme stanno mettendo a rischio il progresso economico e la stabilità energetica di 16 paesi asiatici, si legge nello studio.

Gli autori della ricerca affermano che dieci fiumi, tra cui lo Yangtze e il Fiume Giallo in Cina, potrebbero subire “un aggravamento dei rischi idrici senza la riduzione delle emissioni”. Proprio il bacino fluviale cinese dello Yangtze, che sostiene circa un terzo della popolazione del paese e circa il 15% della sua capacità energetica, ha sperimentato lo scorso anno una siccità da record, con un crollo della produzione idroelettrica che ha provocato l’interruzione delle catene di approvvigionamento globali. Dopo la siccità, i governi hanno approvato decine di nuovi impianti a carbone per evitare future interruzioni dell'energia idroelettrica. Tuttavia, anche l'energia a carbone ha bisogno di acqua e l'aumento della capacità in Cina e in India potrebbe aggravare ulteriormente la carenza. 

Il Sin Chew Daily, un quotidiano in lingua cinese della Malesia, riferisce che a maggio si sono verificate “nevicate insolite” in diverse regioni della Cina settentrionale, tra cui Shaanxi, Ningxia e Xinjiang. Secondo gli esperti, quest'anno in Cina sono attese condizioni meteorologiche più estreme a causa del riscaldamento globale, osserva il giornale. Il ministero dell'Ecologia e dell'Ambiente ha annunciato un peggioramento della qualità dell'aria nel paese, con un numero di giorni di “inquinamento atmosferico grave e superiore alla media” più che raddoppiato, passando al 3,6% dall'1,6% dell'anno precedente. Caixin riporta un'analisi secondo la quale, in presenza di “temperature estreme”, le aziende situate a Pechino, Shanghai, Shenzhen e in alcune province dell'entroterra, come il Sichuan e l'Hebei, “potrebbero essere esposte a perdite potenzialmente più elevate”.

Secondo un’analisi del sito britannico Carbon Brief, le emissioni di anidride carbonica (CO2) della Cina sono cresciute del 4% nel primo trimestre del 2023, raggiungendo un livello record per i primi tre mesi dell'anno. In base alle proiezioni su tutto l’anno, le emissioni della Cina raggiungeranno probabilmente il massimo storico nel 2023, superando il precedente picco del 2021. La rapida espansione dell'energia a basse emissioni di carbonio, se sostenuta, potrebbe consentire alle emissioni di raggiungere il picco e di entrare in un declino strutturale, una volta che la ripresa post-Covid si sarà esaurita, conclude Carbon Brief.

In un’intervista a China Electricity and Energy, una rivista supervisionata dal NEA, Lin Weibin, a capo dell'ufficio di ricerca sulla politica energetica della China Energy Research Society, ha affermato che la Cina ha intenzione di realizzare un “nuovo sistema energetico in grado di portare un alto livello di elettrificazione e di raggiungere un alto livello di decarbonizzazione”. Recentemente, stando a quanto riporta il media statale China National Radio, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la Cina ha intrapreso un “percorso unico di conservazione della biodiversità con caratteristiche cinesi” e ha parlato di una “soluzione cinese” e un’“esperienza cinese” per la costruzione di una comunità globale dal futuro condiviso e per la promozione di uno sviluppo umano sostenibile.

Il cambiamento climatico ha già spinto il 9% dell’umanità fuori dalla “nicchia climatica” adatta alla vita umana

Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature, il cambiamento climatico ha già spinto il 9% dell'umanità - più di 60 milioni di persone - fuori dalla "nicchia climatica" in cui la specie umana ha vissuto negli ultimi 300mila anni circa.

Secondo gli autori, della ricerca, le aree con temperature medie annue superiori a 29°C sono fuori dalla nicchia climatica umana. Con le attuali politiche, che stanno portando a un aumento delle temperature di 2,7°C rispetto a quelle preindustriali, circa 2 miliardi di persone, pari al 22% della popolazione prevista per la fine del secolo, rischiano un’esposizione analoga.

Negli “scenari peggiori” di un riscaldamento globale di 3,6 °C, o 4,4 °C, la metà della popolazione mondiale potrebbe rimanere fuori dalla nicchia climatica in cui la specie umana si è evoluta per quello che gli autori della ricerca hanno definito un “rischio esistenziale“.

“I costi del riscaldamento globale sono spesso espressi in termini finanziari, ma il nostro studio mette in evidenza il fenomenale costo umano di non riuscire ad affrontare l’emergenza climatica”, ha detto Tim Lenton, direttore del Global Systems Institute dell’Università di Exeter e autore principale dello studio.

Per ogni 0,1 °C di riscaldamento aggiuntivo rispetto ai livelli attuali, circa 140 milioni di persone in più saranno esposte a un caldo pericoloso.

Tuttavia, riducendo il riscaldamento da 2,7°C a 1,5°C, il numero di persone esposte a un calore senza precedenti diminuirebbe di 5 volte. “Le emissioni di circa 3,5 cittadini medi globali di oggi (o di circa 1,2 cittadini medi statunitensi) espongono una persona futura a un calore senza precedenti entro la fine del secolo”, conclude lo studio.

Come un piccolo sito di notizie ha costruito un progetto di dati innovativo per visualizzare l'impatto del cambiamento climatico sulla capitale dell'Uruguay

La “ciudad sumergida” (La città sommersa), un'inchiesta realizzata dal sito uruguaiano di notizie scientifiche e tecnologiche Amenaza Roboto, ha utilizzato le mappe della capitale dell’Uruguay, Montevideo, per visualizzare, attraverso immagini molto evocative, l'impatto che si prevede avrà l'innalzamento del livello del mare sulla città e sulle sue infrastrutture. L'indagine ha rilevato che le infrastrutture critiche del paese, i quartieri più vulnerabili e quelli più ricchi rischiano di essere inondati se non si prevengono gli effetti del cambiamento climatico.

Uno degli obiettivi dell'indagine è stato calcolare la popolazione esposta al rischio di inondazioni dovute all'innalzamento del livello del mare a Montevideo. Sono stati utilizzati dati scaricati dall'Osservatorio Ambientale Nazionale (Ministero dell'Ambiente dell'Uruguay), dall'Istituto Nazionale di Statistica (INE), dal Ministero dello Sviluppo Sociale, dal Comune di Montevideo, tra gli altri. Le superfici di inondazione sono state estratte dal rapporto del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e alla variabilità delle zone costiere in Uruguay. Il team di Amenaza Roboto ha sviluppato una metodologia di analisi dei dati che ha permesso di scoprire informazioni rilevanti per i cittadini nascoste nei documenti pubblici dello Stato uruguaiano.

Sebbene l'Uruguay abbia già dati governativi aperti, è difficile per i cittadini accedere a banche dati pertinenti e aggiornate. Inoltre, se i dati esistono e sono accessibili (come nel caso della nostra indagine), le capacità tecniche necessarie per elaborarli non sono solitamente disponibili. Se a queste difficoltà si aggiunge l'approccio a questioni complesse come il cambiamento climatico, la missione diventa ancora più difficile. Per questo, il progetto – primo del suo genere per l'Uruguay – è un buon esempio di come i siti di informazione potrebbero indagare e comunicare gli effetti del cambiamento climatico sulle comunità locali. 

Nel Grande Mekong scoperte quasi 400 nuove specie ma sono già a rischio estinzione

Duecentonovanta piante, 20 pesci, 24 anfibi, 46 rettili e un mammifero sono stati scoperti di recente nel corso del fiume Mekong, in Asia.

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«Queste straordinarie specie non sono le ultime e per quanto siano nuove per la scienza in realtà si sono evolute nella regione del Mekong per milioni di anni. Ci ricordano che erano lì molto tempo prima che noi arrivassimo in questa regione», ha detto K. Yoganand, leader del progetto regionale di tutela della fauna selvatica del WWF-Greater Mekong. A partire dal 2021, sono oltre 3.389 le specie conosciute nella regione. «La regione del Mekong è riconosciuta come uno degli hotspot principali della biodiversità in Asia – ha aggiunto Truong Q. Nguyen, vicedirettore presso l'Istituto di ecologia e risorse biologiche dell'Accademia di scienza e tecnologia del Vietnam – Ed è per questa ragione che i naturalisti la scelgono per svelarne i segreti».

Molte delle specie scoperte recentemente sono già minacciate di estinzione a causa della perdita di biodiversità, della deforestazione e del commercio illegale di specie selvatiche. Il WWF chiede ai governi di aumentare la protezione per queste specie rare e di impegnarsi ad arrestare e invertire la perdita della natura.

Immagine in anteprima: frame video RAI via YouTube

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