Esercito regolare, volontari, società civile e partigiani nelle zone occupate: la resistenza ucraina contro l’invasione russa
|
Quindici mesi di invasione russa in Ucraina hanno messo in risalto la resistenza del popolo aggredito su tutti i livelli: esercito regolare, volontari, società civile e partigiani nelle zone occupate. Eppure, non sono pochi coloro che, barcamenandosi in dichiarazioni di equidistanza fra Zelensky e Putin, puntano il dito contro la guerra in modo astratto.
In particolare, viene portata avanti l’argomentazione per cui quella in Ucraina sia una guerra di stampo nazionalistico, fra due eserciti i cui obiettivi sono opposti ma complementari. Ogni qual volta sono documentati crimini di guerra dai mercenari della compagnia Wagner, oppure si denota l’influenza dei movimenti imperialisti e panrussi all’interno dell’esercito di Mosca, in un gioco di specchi viene discussa l’ideologia di alcuni battaglioni nazionalisti di Kyiv. La sovraesposizione mediatica di Azov ne è un folgorante esempio, come fu peraltro quella di Pravij Sektor (movimento oggi pressoché scomparso nel dibattito pubblico) durante la prima invasione ibrida nel 2014.
Pure nelle roboanti discussioni scaturite nel clima delle ultime due celebrazioni del 25 Aprile, molti preferiscono mordersi la lingua anziché paragonare la resistenza ucraina a quella partigiana. Così facendo vengono volutamente rimossi aspetti essenziali all’analisi della guerra ucraina. Fra essi, l’opposizione pressoché totale del popolo ucraino all’occupazione russa, evidente – questo soprattutto nei primi mesi di invasione – quando migliaia di civili (in zone tradizionalmente russofone) sono scesi in strada per cercare di fermare le colonne di mezzi militari russe, ignorandone i colpi d’avvertimento sparati ad altezza uomo.
Contemporaneamente, civili di ogni estrazione sociale e fede politica si arruolavano nell’esercito per difendere il proprio paesi dagli invasori, tanto che molti veterani della guerra in Donbas non avevano trovato posto per tornare nelle fila delle Forze armate ucraine durante la prima fase dell’invasione russa, nella primavera del 2022. Chi non si è arruolato si è reso utile in diversi modi: sul fronte informativo, organizzando crowdfunding umanitari e militari, attraverso il volontariato dal basso.
Ma pure nelle trincee la situazione di chi combatte per difendere le oblast’ ucraine sotto attacco è altamente eterogenea, come racconta il poeta e soldato di origini crimeane Igor Mitrov. «Nella mia divisione c’è persino un uomo che nove anni fa manifestò nell’AntiMaidan [le proteste filo-Yanukovich e antieuropeiste esplose in alcune parti dell’Est ucraino in risposta alla Rivoluzione di Maidan del 2014, NdA] ed è convinto che questa guerra sia tutta colpa di chi protestò contro Yanukovich. Eppure, è qui, e combatte contro i russi. Sul fronte c’è un’unica ideologia: ecco lì gli stronzi, e dobbiamo respingerli tutti. Questo non viene messo in dubbio da nessuno» spiega Mitrov.
Se è vero che dal 2014 al 2022 le ZSU (Zborojni syly Ukraïny, Forze armate dell’Ucraina) sono diventate un esercito sempre più professionalizzato, nei vari battaglioni di difesa territoriale e di volontari hanno trovato posto personalità con retroterra culturali, sociali e politici differenti. Da una parte, l’Ucraina non è immune da quella che viene definita dagli studiosi la "politicizzazione" delle forze armate in senso conservatore e nazionalista (un’ideologizzazione anche di rigetto verso la simbologia dell’Armata Rossa, come spiegava Hromadske già nel 2018), così come dall’attrazione di una parte dei battaglioni volontari verso l’ideologia nazionalistica e di estrema destra – pure questa trasversale alle milizie del mondo occidentale, racconta il Financial Times.
Al fianco di Kyiv si schierano anarchici, socialisti e militanti femministe e LGBTQ+
È impossibile negare come, nell’ultimo decennio, una crisi della sinistra si sia verificata anche in Ucraina. Una crisi, quest’ultima, evidente in Occidente e in particolar modo nell’Europa centro-orientale. I motivi di ciò sono differenti: dal populismo tragicomico della politica ucraina fino all’endorsment del putinismo da parte dei principali partiti formalmente di sinistra nella Verkhovna Rada nel 2014. Su tutti, il Partito Comunista Ucraino e il Partito delle Regioni di Yanukovich, e i suoi vari figliastri come il Blocco di Opposizione per la Vita dell’oligarca amico di Putin Viktor Medvedchuk. Se già nei primi Duemila era complesso definire lo spazio politico post-sovietico e ucraino sull’asse destra-sinistra, dopo la Rivoluzione Arancione e quella di Maidan queste distinzioni si sono completamente svuotate di senso.
In una fase di ridefinizione identitaria complicata dalla difficile emancipazione da simbologie e tradizioni politiche sovietiche, la sinistra ucraina è tutt’altro che morta. Lo storico e soldato delle forze di difesa territoriale Taras Bilous, originario del Donbas, in più occasioni ha spiegato alla sinistra internazionale le ragioni della resistenza ucraina. Secondo Bilous, «per i socialisti usare lo scontento popolare per chiedere meno aiuti all’Ucraina e minori pressioni alla Russia significherebbe rinnegare la solidarietà verso gli oppressi». L’invasione su larga scala ha pure cambiato la composizione degli stessi battaglioni di estrema destra, spiega Bilous:
È importante capire che non solo gente di estrema destra si è arruolata nelle unità create dall’estrema destra. (D’altra parte, è possibile trovare l’estrema destra anche nelle unità “regolari”). È difficile parlare di percentuali, ma spesso nelle unità di estrema destra prestano servizio persone apolitiche o centriste, motivate dall’alto livello di addestramento e disciplina di queste unità. Quando ci si arruola in un esercito combattente, si pensa innanzitutto alle proprie possibilità di sopravvivenza, alle condizioni di servizio, alla competenza degli ufficiali e all’affidabilità dei propri compagni. Le opinioni politiche passano in secondo piano.
Vi sono quindi due dinamiche parallele e solo apparentemente inconciliabili. La già accennata politicizzazione dell’esercito in quanto fenomeno di default, e una depoliticizzazione, in senso lato, di una parte delle nuove reclute - specie quelle volontarie - in seguito all’invasione del 24 febbraio 2022. Né per i soldati né per gli attivisti la martellante propaganda russa fa, ovviamente, distinzione, arrivando a definire «un nazionalista di estrema destra» l’attivista antifascista e antirazzista ucraino Maksym Butkevych, condannato a 13 anni di reclusione nei territori occupati del Donbas.
Euronews ha raccontato del plotone anarchico fra le fila delle unità di difesa territoriale ucraina, ispirati alla figura di Nestor Makhno. In un reportage del Guardian un combattente anarchico sottolinea il paradosso per cui la presunta autodeterminazione dei popoli del Donbas sia stata gestita politicamente da estremisti di destra e imperialisti, come il mercenario russo Igor Girkin, che hanno determinato il divieto della libertà di parola e di associazione nei territori occupati.
L’appropriazione da parte del Cremlino della parola antifascista, divenuta equivalente a filorusso in Ucraina dal 2014, sta però facendo i conti con la nuova realtà del 2022-2023, in cui sono caduti i simulacri ideologici. I concetti stessi di “nazista” (diventato sinonimo di anti-russo) e comunista hanno col tempo assunto significati diversi nello spazio post-sovietico, rispetto all'Europa occidentale. Il partito comunista russo di Zjuganov, ad esempio, si è fatto portavoce di un'ideologia patriottica che ha sostenuto il neo-imperialismo di Russia Unita. Gli anarchici russi si sono invece schierati con Kyiv e contro il proprio paese d’origine.
Messe da parte le visioni politiche all’interno dei reggimenti e plotoni, ancora Bilous spiega come ci siano «alcune distinzioni piuttosto evidenti nelle nostre e nelle loro visioni del futuro dell’Ucraina postbellica. Ovviamente, la sinistra vuole un paese più socialmente orientato, più pluralista, più democratico, più inclusivo, mentre l’estrema destra, i liberisti e i conservatori sostengono posizioni opposte».
Ma nessuna di queste differenze può prescindere dalla resistenza all’invasione di Mosca, come sostiene il manifesto delle femministe ucraine The right to resist, pubblicato la scorsa estate. Mentre le donne ucraine combattono a tutti i livelli per la propria libertà, l’esercito russo è espressione del machismo derivante dallo stesso culto personalistico putiniano.
Anche in risposta a un’altra ossessione dell’autocrazia russa, la crociata omofoba, la società civile ucraina ha compiuto, in pochi mesi, un balzo in avanti nel mainstreaming dei diritti della comunità LGBTQ+ ucraina. Come sottolinea un articolo dell’Economist, i soldati omosessuali hanno trovato un’occasione di combattere sia contro Mosca, sia per i propri diritti. Nel suo podcast Stories Cecilia Sala ha raccontato di un militante LGBTQIA+ di Kherson le cui azioni durante l’occupazione russa, attraverso la collaborazione con i servizi segreti ucraini, sono risultate fondamentali per la liberazione della città.
Stranieri in patria e piccole guerre di liberazione nazionale
Contemporaneamente alla pluralità della società civile riflessa in chi combatte per la libertà di Kyiv, vi sono altre due categorie di attori sottovalutate. I foreign fighters provenienti dallo spazio post-sovietico (quelli tradizionalmente intesi, spesso estremisti di destra, sembrano equamente distribuiti fra gli eserciti). In Ucraina, quest’ultimi conducono anche la propria personale battaglia di liberazione, mentre coloro che al momento si sentono stranieri sulla propria terra – cioè gli ucraini residenti nelle zone occupate dai russi, nel 2014 e nel 2022 – conducono azioni di guerriglia urbana e sabotaggio ai soldati di Mosca.
Come a Kyiv e Kherson fino alla liberazione, nelle città tutt’oggi sotto occupazione, come Melitopol, Berdyansk e Nova Kakhovka, continuano la resistenza partigiana (fra i più noti, il movimento definitosi Nastro giallo) e la circolazione di giornali samizdat come La voce del partigiano. In alcuni territori ciò avviene dal 2014: nelle oblast’ di Luhansk, Donetsk e in Crimea. In quest’ultima, sono circa settemila i partigiani tatari, ucraini e russi di ATESH, che oggi opera anche in territorio russo. ATESH ha rivendicato, a inizio maggio, l’attentato allo scrittore nazionalbolscevico Zakhar Prilepin.
Ad aiutare le forze di Kyiv ci sono anche soldati volontari provenienti da nazioni coinvolte nel conflitto: quelli russi, la cui ideologia però è estremamente fluida (nell’incursione a Bryansk, ad inizio marzo, si è vista pure la comparsa di ex nazionalisti russi ed estremisti di destra), e soprattutto bielorussi, per i quali la guerra in Ucraina è una potenziale guerra di liberazione nazionale dal regime di Lukashenka.
Per i combattenti provenienti da altre regioni dell’ex Unione Sovietica questa guerra è pure l’occasione di saldare alcuni conti in sospeso con ciò che hanno fatto i russi nella propria patria d’origine. I battaglioni di volontari più numerosi sono infatti quelli formati da georgiani e ceceni anti-Kadyrov. Il battaglione intitolato all’ex presidente ichkero Dzhokhar Dudayev è stato decisivo nella battaglia di Kyiv contro i kadyrovtsi.
Infine, anche minoranze come quella rom, fortemente presente nella regione della Transcarpazia, e i discendenti della secolare diaspora ebraica si sono uniti allo sforzo di difesa dell’Ucraina contro l’invasore russo.
Pur composto da uno zoccolo duro di soldati professionisti, senza i quali la resistenza all’esercito russo sarebbe stata assai più complessa, le voci politiche e sociali all’interno delle varie divisioni dell’esercito ucraino sono molteplici e frammentate, seppure alcune facciano più notizia di altre. Al contempo mescolato ideologicamente e culturalmente, il quadro di chi combatte per Kyiv è ricco di storie che mettono in luce la complessità del paese e, in generale, dello spazio post-sovietico, riflettendone la trasformazione negli ultimi decenni.
Immagine in anteprima: Foto di Luaks Johnns via Pixabay