“Le fiamme dell’odio si placheranno e ci sarà spazio per la riconciliazione e la vita”. 15mila palestinesi e israeliani insieme per “cercare di spezzare la catena della vendetta e dell’odio”
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Nel gennaio 2007, la figlia di 10 anni di Bassam Aramin viene uccisa dai soldati israeliani. Era appena uscita a comprare dei dolci con la sorella e due amiche. Aramin era devastato. Solo due anni prima, aveva iniziato a collaborare con attivisti pacifisti israeliani per fondare Combatants for Peace, un movimento in cui palestinesi e israeliani lavorano insieme per promuovere un'azione non violenta contro “l'occupazione israeliana e tutte le forme di violenza” in Israele e nei territori palestinesi e chiedono la fine della seconda occupazione israeliana delle terre palestinesi conquistate dal 1967.
L’idea di fondare Combatants for Peace era maturata quando aveva 17 anni, dopo essere stato arrestato per aver lanciato una granata contro soldati israeliani insieme a un gruppo di combattenti palestinesi a cui si era associato. In carcere, Aramin vide il film Schindler's List che lo portò a pensare all’Olocausto sotto una luce diversa e a rifiutare la violenza a favore della pace.
Nonostante l’uccisione di sua figlia, Aramin non ha abbandonato il suo attivismo, il suo impegno per costruire ponti e a trasmettere il messaggio che le persone possono mettere da parte l'odio e lavorare insieme per porre fine all'occupazione, non è stato scoraggiato. A fine aprile, Aramin, che ora ha 55 anni, ha contribuito a organizzare la Giornata della Memoria congiunta nel Parco Ganei Yehoshua di Tel Aviv - una commemorazione di tutti i palestinesi e gli israeliani morti dal 1947, quando le milizie israeliane iniziarono a espellere almeno 750mila palestinesi dalle loro case e dalle loro terre, uccidendone almeno 15mila. I palestinesi ricordano questo evento come la Nakba, la catastrofe.
Organizzato da Combatants for Peace e Parents Circle – Family Forum (PCFF), il Joint Memorial Day è un'alternativa al Memorial Day di Israele, che si tiene per commemorare tutti i soldati israeliani morti dalla fondazione di Israele. Il Giorno della Memoria in Israele è un evento, imposto in tutto il paese dal tramonto del giorno precedente, con una sirena di un minuto, fino alla fine del giorno successivo. La mattina dopo suona una sirena più lunga, le persone visitano le tombe dei loro cari mentre soldati e politici israeliani partecipano a eventi e funzioni commemorativi.
Durante il Joint Service, i partecipanti si riuniscono per piangere i loro cari e celebrare la loro decisione di coltivare la pace. Quest'anno, israeliani e palestinesi che hanno perso un familiare a causa del conflitto hanno condiviso sul palco dell'evento la loro storia di perdita, riconciliazione e speranza per il futuro. Come Yuval Sapir, israeliano di 53 anni, che è riuscito finalmente a parlare della perdita della sorella Tamar, uccisa a causa di un attentato suicida su un autobus a Tel Aviv nel 1994. Da allora, ha detto Sapir sul palco, ha chiuso tutte le emozioni per affrontare il trauma, “buco nero” che lo ha seguito per decenni. Al Joint Memorial Service, ha sottolineato la sua convinzione che, attraverso il dialogo e il riconoscimento, “le fiamme dell'odio si placheranno e ci sarà spazio per la riconciliazione e la vita”.
“Il mio cuore è sempre stato qui, ma in realtà questa è la mia prima volta", ha detto Einav Oren, 38 anni, del Kibbutz Revadim. "È davvero emozionante essere qui, vedere la gente. Qui c'è una tranquillità particolare”.
“La Cerimonia commemorativa congiunta offre un'opportunità unica a israeliani e palestinesi di piangere insieme e di chiedere con forza la fine della violenza in corso. Nel piangere insieme, cerchiamo di non equiparare le narrazioni, ma piuttosto di trasformare la disperazione in speranza e di costruire ponti di compassione. Ricordiamo a noi stessi e alla società che l'occupazione, l'oppressione e la violenza non sono inevitabili”, si legge sul sito del Combatants for Peace.
“Siamo tutti vittime di questo conflitto e il modo migliore per farlo finire è riconoscere il dolore che tutti noi proviamo quando questo conflitto continua. Il prezzo pagato per l'uccisione di una persona cara è troppo alto e se non facciamo tutto il possibile per porre fine a questo conflitto, siamo colpevoli di crimini contro la nostra stessa umanità”, scrive l’attivista politico e ricercatore Gershon Baskin su The Jerusalem Post. “È possibile usare il nostro dolore in modo diverso. Non solo per continuare a preparare i nostri figli a uccidere e a essere uccisi”, spiega Aramin ad Al Jazeera pur affermando che “è molto chiaro” che l'occupante è responsabile dell'occupazione.
Come già accaduto negli anni precedenti, la presenza delle famiglie palestinesi all'evento ha richiesto una battaglia legale da parte di Combatants for Peace e del PCFF. Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva rifiutato il permesso di viaggio richiesto dai partecipanti palestinesi provenienti dalla Cisgiordania occupata ma, anche questa volta, la Corte Suprema ha annullato la decisione. “Ogni persona dovrebbe osservare il Giorno della Memoria secondo le proprie convinzioni”, ha scritto il giudice Isaac Amit nella sentenza. “Ogni persona porta il proprio dolore, la propria sofferenza e la propria rottura, ognuno a modo suo”.
Mohammed Abu Rnan, un 27enne palestinese membro del PCFF di Ramallah, ha dichiarato ad Al Jazeera di aver voluto partecipare perché “la pace tra arabi [palestinesi] ed ebrei è la cosa più importante al mondo”. Ma per molti palestinesi o israeliani, spiega Aramin, l'idea di riconoscere la sofferenza di entrambe le parti sullo stesso palco è inaccettabile. “Ho amici a casa che non mi capiscono”, ha aggiunto Yousef Abu Ayyash, ventenne residente a Hebron. “Ho parenti che sono stati uccisi a causa dell'occupazione. Ma se voglio promuovere la pace, questo è il modo migliore per farlo. Qui incontro israeliani che vogliono la mia stessa cosa”.
Yusra Mahfuz, che vive in un campo profughi adiacente a Ramallah, ha parlato della morte del figlio Ala'a, avvenuta nel 2000. “All'inizio, dopo aver perso mio figlio, ho sentito il bisogno di vendicarmi. All'inizio rifiutavo l'idea stessa di sedermi faccia a faccia con il nemico che mi aveva portato via mio figlio, ma lentamente il desiderio di vendetta è stato sostituito dal desiderio di pace e di un futuro migliore”, ha detto. “Mi rivolgo alle madri israeliane che mi stanno guardando: il nostro lutto è lo stesso, il nostro dolore è lo stesso. Oggi più che mai possiamo capire quanto sia importante lavorare insieme. E metteremo fine allo spargimento di sangue. Quando è troppo è troppo”.
Durante l'evento, manifestanti israeliani di destra sono rimasti fuori, urlando “vergogna” e “traditori di sinistra”. “Stanno organizzando una Giornata della Memoria per i nazisti palestinesi”, ha gridato un manifestante attraverso un megafono proprio mentre parlava Yuval Sapir. Tuttavia, racconta Uri, un ventenne israeliano di Tel Aviv, il modo in cui l'evento è continuato nonostante le urla dei manifestanti gli ha dato speranza e ha rafforzato il suo “impegno a lottare per la giustizia e l'uguaglianza”.
Mentre aumenta la tensione a Gaza, "la cerimonia di Ganei Yehoshua potrebbe essere stata la cerimonia commemorativa più unificante di tutte", commenta Ran Shimoni su Haaretz.
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