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La proposta Schlein su congedo paritario e non trasferibile: una tutela per la madri lavoratrici

17 Marzo 2023 8 min lettura

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La proposta Schlein su congedo paritario e non trasferibile: una tutela per la madri lavoratrici

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Un congedo paritario e non trasferibile di almeno tre mesi, per contrastare la crisi della natalità, favorire l’occupazione femminile e redistribuire il carico di cura dentro le famiglie. È la proposta della nuova segretaria del Partito democratico Elly Schlein che ne ha parlato durante il question time alla Camera del 15 marzo. Rivolgendosi alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, Schlein ha detto: “Mi stupisce che non vediate il nesso tra la crisi della natalità e la precarietà in cui versano moltissime donne. Questo mi spinge a chiederle: perché non approviamo subito un congedo paritario pienamente retribuito e non trasferibile di almeno tre mesi? Questa sì che è una misura che aiuterebbe le donne”.

Per prima cosa, bisogna tener conto della differenza che c’è in Italia tra congedo obbligatorio e congedo parentale. Il primo è un periodo di astensione dal lavoro obbligatorio, che attualmente ha una durata diversa tra madre e padre: per le donne, il congedo di maternità dura cinque mesi, da modulare prima e dopo il parto, e consiste in un’indennità pari all'80% della retribuzione. Questa somma è erogata dall’INPS e anticipata dal datore di lavoro. Per gli uomini, invece, il congedo di paternità obbligatorio è di soli dieci giorni, non necessariamente consecutivi e retribuiti al 100%. Il congedo di paternità è stato introdotto in Italia in via sperimentale solo nel 2012: inizialmente aveva una durata di un giorno, per essere aumentato negli anni fino agli attuali dieci. Per la prima volta, la legge di bilancio 2022 ha reso strutturale il congedo di paternità, in modo che non sia più necessario rinnovarlo di anno in anno.

La proposta di Elly Schlein nasce proprio per eliminare le disparità che vengono create da un congedo obbligatorio così concepito: l’idea è sostanzialmente quella di estendere a tre mesi gli attuali dieci giorni di congedo di paternità, rendere questo periodo di astensione dal lavoro “pienamente retribuito” per entrambi i genitori, dunque pari al 100% del salario, e “non trasferibile”, ossia obbligatorio sia per la madre sia per il padre, senza che ci sia la possibilità di “trasferirlo” all’altro genitore.  Non si parla più di congedo di maternità o di paternità, quindi, ma di congedo paritario.

Non è la prima volta che viene lanciata una proposta del genere: già nel gennaio dell’anno scorso è stata depositata una proposta di legge, nata in seno all’associazione Movimenta, che chiedeva l’estensione del congedo di paternità a tre mesi. Ma la norma non ha mai visto la luce. A giugno 2022 è stato approvato anche il decreto legislativo 105, che recepisce la direttiva europea 2019/1158, conosciuta come “direttiva work-life balance”: la norma introduce alcune novità per migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori, ma non va a toccare la durata del congedo obbligatorio.

La nostra legislazione prevede poi il congedo parentale, che si distingue dal primo in quanto è facoltativo: esso si somma a quello obbligatorio e viene concesso ai genitori per prendersi cura del bambino nel suo percorso di crescita, tanto che se ne può usufruire fino al compimento del dodicesimo anno di età. Attualmente il congedo parentale è pagato al 30% (all’80% nel primo mese) e ne possono usufruire entrambi i genitori, per un massimo di sei mesi per le madri e di sette mesi per i padri (e fino a un massimo di undici mesi totali, frazionati o continuativi): un mese in più per i padri è stato aggiunto nella scorsa legge di bilancio, voluto dal governo Meloni per incentivare gli uomini lavoratori ad occuparsi dei figli.

In Italia l’utilizzo dei congedi penalizza le donne che lavorano

Nel 2021 le donne che hanno beneficiato del congedo di maternità sono state 203.168, contro i 158.636 uomini che hanno usufruito del congedo di paternità. Questo squilibrio è evidenziato anche nell’indagine Papà, non mammo, realizzata da WeWorld insieme a IPSOS su un campione di mille genitori di bambini e bambine under 18: l’uso del congedo di paternità è diffuso soprattutto tra i padri più giovani (sono sei su dieci a farvi ricorso), mentre un padre lavoratore su quattro dichiara di non averne usufruito perché non aveva intenzione di farlo. Nove uomini su dieci ritengono che un papà che può permettersi di prendere il congedo per occuparsi dei figli sia fortunato, e sei su dieci pensano che dieci giorni siano troppo pochi. Comunque, vi è ancora una scarsa conoscenza del congedo di paternità: solo il 22% degli intervistati sa che dura dieci giorni, e solo il 37% sa che è obbligatorio. Più di sei genitori su dieci pensano che sia prevista una retribuzione inferiore all’80%, mentre con l’attuale normativa lo stipendio resta in realtà completo.

Maternità e lavoro: ripensare la condivisione della cura

Anche i dati sull’effettivo ricorso ai congedi parentali sono emblematici di un’organizzazione familiare ancora centrata su un maggiore impegno femminile nel lavoro di cura. Nonostante la normativa preveda che possano essere utilizzati da entrambi i genitori, ha usufruito dei congedi parentali il 68,6% delle donne, a fronte del 26,9% degli uomini. C’è una forte differenziazione tra settore pubblico e privato: il 19,8% dei lavoratori uomini nel privato ne ha beneficiato, contro 34,1% nel pubblico. Queste differenze possono essere riconducibili a diversi elementi. In primis, il fatto che l’indennità sia pari al 30% della retribuzione spinge a usufruirne il lavoratore o la lavoratrice con la paga più bassa della famiglia: di solito si tratta delle donne. Inoltre, il minor uso dei congedi nel settore privato, in particolare per gli uomini, può essere imputabile a una cultura aziendale che ancora considera la genitorialità come una prerogativa delle donne, influenzando così le scelte dei padri.

Le ripercussioni di tutto questo sull’occupazione femminile sono tangibili. L’ultimo Rapporto Plus dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) riporta dati sconcertanti: oggi in Italia quasi una donna su cinque (il 18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la nascita di un figlio. E solo il 43,6% permane nell’occupazione, percentuale che scende al 29% nel sud e nelle isole. La motivazione prevalente è la conciliazione tra professione e lavoro di cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o dal licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%). La quota di quante non lavoravano né prima né dopo la maternità è del 31,8%, mentre solo il 6,6% ha trovato lavoro dopo la nascita del figlio. Nelle famiglie monogenitoriali, sono più elevate le quote di uscita dall’occupazione dopo la maternità: 23% contro 18% tra le coppie. Nelle coppie, invece, è maggiore la permanenza nella non occupazione: 32% contro il 20% tra i genitori soli.

La scelta di essere madri e i sostegni alla genitorialità

Tra le difficoltà che devono affrontare le madri lavoratrici dopo la nascita di un figlio, c’è anche la poca accessibilità, anche economica, degli asili nido. “Il nostro paese resta caratterizzato da forti disparità in termini di implementazione dei servizi offerti, soprattutto a livello territoriale”, si legge nel rapporto INAPP. “Tale ritardo risulta essere confermato dalla percentuale di persone occupate che dichiara di non aver mandato i propri figli in età compresa tra 0 e 36 mesi all’asilo nido, pari al 56,3%”. Tra coloro che invece mandano i figli al nido, poco meno della metà (48%) ha usufruito del servizio pubblico, mentre il 40% ha utilizzato un asilo nido privato: al crescere del reddito, aumenta il ricorso ai servizi di asilo nido privati. 

I congedi parentali in Europa 

Il congedo obbligatorio paritario è già presente in altri Stati in Europa: nei paesi scandinavi, ad esempio, ricorrere al congedo di paternità è comune già da molti anni. In Svezia, dal 1974 il congedo di maternità è stato sostituito con un congedo parentale che può essere preso da entrambi i genitori: oggi lo Stato garantisce congedi parentali della durata di oltre un anno, per un totale di 480 giorni, di cui 60 riservati alla madre e 60 al padre, mentre i restanti possono essere divisi liberamente tra i genitori. In questo tempo, lo Stato paga l’80% dello stipendio.

La vicina Norvegia è il primo paese al mondo ad aver previsto un congedo parentale non trasferibile per il padre. Introdotto nel 1993 per incoraggiare gli uomini a partecipare alle cure dei propri figli durante il primo anno di vita, il congedo è stato aumentato da sei a dieci settimane nel 2009. Oggi i genitori norvegesi, se lavorano entrambi, possono scegliere se prendere un totale di 46 settimane di congedo, mantenendo il 100% del salario, oppure 56 settimane all’80% del salario. I due possono liberamente dividersi il periodo, ad eccezione delle prime sei settimane dopo la nascita, che sono riservate alla madre, e di dieci settimane successive, riservate al padre.

Anche in Finlandia c’è parità tra uomo e donna: 160 giorni di congedo parentale per la madre, 160 giorni di congedo parentale per il padre. E per i genitori single sono concessi tutti i 320 giorni riservati alle coppie. Ma non sono solo i paesi del nord Europa ad aver sperimentato il congedo paritario. Nel gennaio 2021, anche la Spagna ha esteso il periodo di congedo a 16 settimane sia per i padri che per le madri, remunerate al 100% del salario e non trasferibili. Di queste, le prime sei sono obbligatorie subito dopo la nascita del bambino, mentre le successive dieci sono facoltative e i genitori potranno scegliere se utilizzarle a tempo pieno o part time.

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In altri paesi, invece, la legislazione non è così avanzata. In Germania si ha diritto a dodici mesi di congedo parentale, che diventano quattordici se ne beneficia anche il padre (per almeno due mesi) e con una retribuzione che va dal 65% al 67% dello stipendio. A differenza di quanto accade nei paesi scandinavi, però, sono ancora pochi gli uomini che decidono di beneficiare della misura oltre ai canonici due mesi: più spesso sono le donne a usufruire del congedo, rinunciando al lavoro per un periodo più prolungato di tempo. La Francia dal 2021 ha un congedo di paternità di 28 giorno, di cui solo i primi sette sono obbligatori. Una riforma definita “insufficiente” da molti osservatori, dal momento che le madri hanno invece 16 settimane di maternità.

“In una cultura patriarcale non è libero nessuno, neanche gli uomini, che subiscono la pressione di dover dimostrare la propria virilità: i compiti di cura sono considerati appannaggio delle donne”, ha spiegato ad Altreconomia l’economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics all’Università Unitelma Sapienza di Roma, membro del board della European Women Association. “I congedi sono fondamentali per portare il cambiamento, ed è importante che siano obbligatori per entrambi i genitori: questi passaggi fondamentali di progresso non possono essere delegati alla buona volontà di ciascuno. Una riforma di questi strumenti dovrebbe andare nella direzione di un congedo di paternità obbligatorio e lungo tanto quanto quello di maternità: questo sarebbe fondamentale affinché i lavoratori uomini e le lavoratrici donne venissero considerati alla pari, sia al momento della selezione, sia successivamente nelle scelte di promozione e carriera”.

Immagine in anteprima via strali.org

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