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In centinaia protestano nel nord della Siria contro i segnali di disgelo tra Ankara e Damasco

3 Gennaio 2023 5 min lettura

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In centinaia protestano nel nord della Siria contro i segnali di disgelo tra Ankara e Damasco

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Lo scorso 28 dicembre, a più di dieci anni di distanza dagli ultimi contatti ufficiali, i ministri della Difesa e funzionari della sicurezza turchi e siriani si sono riuniti a Mosca.

Hulusi Akar, ministro della Difesa turco, e Hakan Fidan, capo dei servizi segreti del paese, hanno incontrato nella capitale russa i rispettivi omologhi siriani, Ali Mahmoud Abbas e Ali Mamlouk, e il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu.

Secondo quanto riferito dal ministero della Difesa turco, durante i colloqui, che si sono svolti “in un clima costruttivo”, sono stati affrontati temi come la crisi siriana e la questione dei rifugiati e si è discusso di sforzi congiunti da mettere in campo per “combattere tutte le organizzazioni estremiste [presenti] in Siria”.

L'appuntamento di Mosca segna una totale inversione di marcia della politica di Ankara che ha sostenuto e addestrato le forze di opposizione al regime nella Siria dilaniata dalla guerra. Il territorio turco, lungo il confine meridionale con la Siria, ha rappresentato spesso un rifugio sicuro per i ribelli durante le prime fasi della guerra civile siriana e ha costituito una via di uscita fondamentale per milioni di civili scappati dalle violenze del conflitto.

I primi segnali ufficiali di distensione tra Turchia e Siria si erano già avvertiti lo scorso agosto, quando il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, aveva dichiarato che con Damasco “i rapporti diplomatici non possono mai essere interrotti”.

Due mesi dopo è stato ancora Erdoğan a rendersi disponibile a un incontro con il leader siriano. “Si può organizzare un incontro con Assad. Non c'è risentimento in politica. Prima o poi, possiamo compiere dei passi”, aveva detto. Cinque anni prima, nel corso di una conferenza stampa, il presidente turco aveva definito Bashar al-Assad “un terrorista” che aveva compiuto terrorismo di Stato, riferendosi alle migliaia di civili uccisi e ai 5,6 milioni di rifugiati fuggiti.

La distensione dei rapporti tra Ankara e Damasco rappresenta motivo di allarme per gli oltre 4 milioni di profughi siriani che hanno trovato rifugio nel paese transcontinentale dal 2011. La Turchia ha recentemente accelerato gli sforzi per aumentare quelli che lo Stato chiama “ritorni volontari”. Solo lo scorso anno 100.000 persone sarebbero state rimpatriate in vari paesi, tra cui la Siria, in un'operazione anti-immigrazione organizzata in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari previste a giugno di quest'anno.

A darne conto Human Rights Watch che ha documentato come le autorità turche abbiano arrestato centinaia di persone nelle loro abitazioni, sul posto di lavoro o per strada, prima di costringerle a firmare moduli di rimpatrio volontario e rientrare in Siria dietro minaccia delle armi.

Ma per Oytun Orhan, esperto di Medio Oriente presso il think tank Center for Middle Eastern Strategic Studies, con sede ad Ankara, l'interesse di Erdoğan a ricucire i legami con il governo siriano andrebbe oltre le elezioni turche. Con la Russia impegnata con l'Ucraina e l'Iran travolto da mesi di proteste, sarebbe questo il momento migliore per spingere Damasco verso un accordo.

«Ankara sta adottando misure per allentare le tensioni, ma sta anche mostrando il bastone», ha spiegato Orhan. Il dialogo, secondo l'esperto, richiederà tempo e progressi potranno essere fatti solo a piccoli passi.

I segnali di disgelo tra Ankara e Damasco hanno provocato la forte reazione di centinaia di siriani nel nord, controllato dai ribelli, che hanno manifestato nelle strade dopo l'incontro avvenuto a Mosca. Le proteste sono scoppiate soprattutto per il timore della brutalità del regime di Assad noto per detenere, torturare e, in alcuni casi, uccidere rimpatriati e sfollati a causa del conflitto, come racconta The New Arab.

Diverse centinaia di manifestanti si sono riuniti ad Al-Bab, una città controllata da fazioni ribelli a lungo sostenute da Ankara, esponendo striscioni con lo slogan: "La rivoluzione è un'idea, non puoi uccidere un'idea", come riferito da un fotografo di AFP.

«Non ci riconcilieremo, non possiamo riconciliarci, non vogliamo riconciliarci», ha dichiarato Sohbi Khabiyeh, un manifestante, che ha definito il presidente siriano Bashar al-Assad un “criminale”.

Per molti siriani, in particolare rifugiati, sfollati e quelli che risiedono nelle aree liberate nel nord del paese, il cambiamento di politica di Ankara è un tradimento sia nei loro confronti che della rivoluzione siriana.

L'Osservatorio siriano per i diritti umani, una ONG con sede nel Regno Unito, ha registrato proteste analoghe in altri distretti della provincia di Aleppo, in mano ai ribelli. Nella città di Idlib, controllata dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), in decine hanno urlato slogan contro Erdoğan.

«Sono venuta a protestare per esprimere la mia contrarietà alle dichiarazioni che chiedono un riavvicinamento con il regime criminale di Assad che ha sfollato tutti», ha detto Salwa Abdel Rahman, una dimostrante. «Anche se il mondo intero dovesse accettare di riconciliarsi con quel regime criminale, noi non ci riconcilieremo», ha aggiunto.

In alcuni post pubblicati sui social media, cittadini siriani hanno scritto che preferirebbero morire piuttosto che accettare la riconciliazione con il regime di Assad e sopportare nuovamente la sua persecuzione.

L'1 gennaio, tre giorni dopo l'incontro in Russia, il quotidiano siriano Al-Watan, noto per la sua vicinanza al governo, citando una fonte anonima di Damasco, ha riferito che i colloqui trilaterali tra i ministri della Difesa turco, siriano e russo hanno portato “alla decisione della Turchia di ritirare completamente le proprie truppe dai territori della Siria nord-occidentale”, come riportato da Middle East Monitor.

Ankara avrebbe inoltre accettato una serie di altre richieste, tra cui il rispetto della sovranità della Siria e la riapertura dell'autostrada M4 che collega Aleppo a Latakia. Damasco e Ankara avrebbero anche convenuto che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e le sue milizie affiliate nel nord-est della Siria siano agenti degli Stati Uniti e di Israele e che rappresentino una grossa minaccia per Turchia e Siria.

Proprio di recente la Turchia ha intensificato gli attacchi alle posizioni curde nel nord-est della Siria, minacciando di lanciare un'offensiva di terra in quelle aree.

Una fonte turca, invece, a conoscenza dei negoziati a Mosca, ha rivelato a Middle East Eye (MEE) che la Turchia avrebbe già respinto la richiesta di Damasco di riconoscere tutti i gruppi ribelli siriani come terroristi.

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Secondo la fonte di MEE il governo siriano avrebbe voluto che le zone controllate dalla Turchia fossero dichiarate “terroriste” ma la richiesta sarebbe stata respinta dalla delegazione turca. Allo stesso modo non si sarebbe raggiunta un'intesa, da parte della Siria, su una posizione comune contraria agli affiliati curdi siriani del PKK.

Una commissione trilaterale sarà costituita a breve per verificare il rispetto di quanto definito a Mosca. Ankara e Damasco dovrebbero incontrarsi nuovamente entro il mese di gennaio.

Immagine in anteprima via @harun_alaswad

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