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Inflazione alle stelle e salari sempre più bassi. È ora di decidere dove intervenire: sul mercato del lavoro o sull’andamento dei prezzi globali

5 Dicembre 2022 8 min lettura

Inflazione alle stelle e salari sempre più bassi. È ora di decidere dove intervenire: sul mercato del lavoro o sull’andamento dei prezzi globali

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Bisogna risalire all’agosto 1983 per trovare una crescita dei prezzi del “carrello della spesa” su base annua superiore a quella di ottobre 2022, che ha registrato un +11,8% su base annua e un +3,4% su base mensile. Il traino sono i prezzi dei beni energetici: +71% su base annua (contro il +44,5% di settembre), regolamentati e non. Mentre i beni alimentari hanno visto nell’ultimo mese i loro prezzi salire del 13,1% su base annua. 

Lo scrive nero su bianco Istat nella nota sui prezzi di consumo di fine ottobre 2022.  La crescita dei prezzi al consumo continua ad accelerare, con più veemenza fra le famiglie più povere, come è sempre stato. Il differenziale inflazionistico tra le famiglie meno abbienti e quelle con maggiore capacità di spesa continua ad allargarsi. 

Nel frattempo i salari italiani sono fermi. Secondo l’Employment Outlook 2022 di OCSE, negli ultimi 30 anni, l’Italia è stato l’unico Paese OCSE dove i salari si sono ridotti (parliamo dello -0,1% annuo tra 1990 e 2020). Si stima che nel 2022 il valore dei salari reali in Italia si ridurrà del -3,1% (la media dei paesi OCSE è del -2,3%). I giovani sono stati particolarmente colpiti dalle prime devastazioni della crisi. Entro il primo trimestre del 2022, in media nell'area OCSE, i giovani avevano recuperato gran parte del terreno perduto, ma erano ancora in ritardo rispetto agli adulti più anziani.

L’impatto negativo dell’inflazione sulla povertà sembra battere l’impatto positivo della crescita economica. I tassi di inflazione sono asimmetrici: alimentari, luce e gas, che sono le spese che difficilmente possono essere ridotte, pesano 16 punti percentuali in più sul bilancio familiare del quintile più povero (per il 36% del loro reddito) rispetto a quello più ricco (il 20% del loro reddito).  Sono le stime del Rapporto Think Tank “Welfare, Italia" di Ambrosetti, che ha provato a calcolare il numero di famiglie che si potrebbe trovare in povertà assoluta rispetto al periodo pre-conflitto. Nel 2021 il 7,5% delle famiglie Italiane era in povertà assoluta (2 milioni di famiglie, ovvero 5,6 milioni di persone). Con  un’inflazione media pari al 6,6%, e in assenza di integrazioni da parte dello Stato  potrebbero essere oltre 300 mila nuove famiglie in povertà assoluta, raggiungendo un tasso dell’8,8%. Sempre Ambrosetti su dati Istat stimava una variazione dei prezzi al consumo pari al +9,7% per il quintile più povero e al +5,6% per il quintile più ricco. 

Ecco: se queste stime valgono con un tasso di inflazione del 6,6%, pensiamo a che cosa può significare in un contesto come quello reale di Ottobre 2022 dove l’inflazione è dell’11,8%.

Non stiamo ancora parlando di famiglie “in difficoltà”, ma di povertà assoluta, che Istat definisce in modo molto preciso come il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all'età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. Una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario (qui il calcolatore a seconda del tipo di nucleo familiare) Per non parlare dei costi di mantenimento dei figli. L’OCSE stima che l’Italia è uno dei paesi con il tasso più alto del reddito familiare necessario per la cura di un figlio a carico: il 27% del reddito, contro il 25% del Regno Unito, il 20% degli USA, il 15% della Francia e della media UE e arridittura il 2% della Germania.

Boom di energia, tracollo del PIL 

Al centro del motore inflazionistico vi sono i beni energetici, esplosi dopo il conflitto in Ucraina: in meno di 12 mesi i prezzi del gas naturale sono aumentati vertiginosamente, anche se pare che la parabola potrebbe iniziare a essere discendente, stando alle parole espresse a fine ottobre da Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Nel frattempo, le bollette devono essere pagate.

L’inflazione ha impattato anche i costi delle materie prime (alimentari e non). Stando alle elaborazioni del Rapporto di Ambrosetti, fatto 100 il valore medio nel periodo 2014-2016, ad agosto 2022 le materie prime necessarie per i processi produttivi come alluminio, ferro, rame, stagno, zinco, registravano valori compresi tra il 129 del rame e il 175 dello zinco. Lo stesso per le materie prime alimentari, con valori pari a 119 per la carne, 165 per il grano e 177 per il mais. 

Per quanto riguarda l’impatto dell’inflazione sui risparmi delle famiglie (monete e depositi, obbligazioni), un tasso d’inflazione del 6,6% nel 2022 significherebbe far perdere un valore pari a 121 miliardi di Euro.

I forti rincari hanno condotto a una revisione al ribasso del PIL italiano. Se prima del conflitto la stima di crescita annua per il 2022 era compresa tra il +3,8% (dato di Banca d’Italia) e il +4,7%  (dato del Ministero dell’Economia e delle Finanze), a seguito dell’invasione dell’Ucraina tali tassi sono diminuiti: +3,2% (dato di Banca d’Italia) e +3,3% (dato del MEF). Se guardiamo le stime per il 2023 contenute nei documenti programmatici del Governo italiano, il Documento di Economia e Finanza (DEF) del 6 aprile prevedeva una crescita del +2,4%, mentre la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) del 28 settembre 2022 prevede una crescita del +0,6%, con un ulteriore ribasso di 1,8 punti percentuali. 

Quanto guadagnano gli italiani?

Secondo la nota di Novembre 2022 dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato di INPS, la retribuzione media annua nel 2021 è stata pari a 21.868 euro, anche se risulta molto differenziata sia per età, sia per area geografica che per genere. Fra i 55-59 enni, gli uomini hanno una retribuzione media di 25.224 euro, le donne di 17.316 euro. Per retribuzione INPS intende l’imponibile previdenziale comprensivo dei contributi a carico del lavoratore. Il numero di giornate regolarmente retribuite fra nord e sud varia di circa 30 giorni nel 2021: 249 a nord Ovest e 211 nel Meridione, mentre la retribuzione complessiva al Sud è quasi della metà: 15.842 euro contro i quasi 25 mila euro annui del nord. Il numero medio di lavoratori full time nel Nord-ovest è quasi il doppio rispetto al Sud più le Isole; al contrario il numero medio di lavoratori con part time orizzontale nel Sud più le Isole è maggiore rispetto al Nord-ovest. 

Fra i giovani liberi professionisti e libere professioniste le cose non vanno molto meglio. Il reddito medio dei professionisti e delle professioniste è calato negli ultimi 15 anni. Fra chi svolge attività libero professionale senza iscrizione all’albo, i lavoratori parasubordinati, il reddito medio è di 24.499 euro (per i collaboratori) e di 15.701 euro (per i professionisti), e di 16.255 euro fra le donne e e 29.409 fra gli uomini (dati dell’Osservatorio sui lavoratori parasubordinati, ottobre 2022). All’interno del gruppo dei professionisti con albo (avvocati, medici, giornalisti, psicologi, ecc), fra i 30 e i 40 anni le donne dichiarano 18 mila euro annui, contro i 28 mila euro dei coetanei; fra i 40 e i 50 anni le donne 26 mila euro e gli uomini 44 mila (dati Adepp sulla previdenza privata). La metà delle libere professioniste sia circa 24 mila euro, la metà di loro ha un reddito inferiore ai 16.500 euro. Per contro la metà degli uomini ha un reddito inferiore ai 26.000 euro. Fra 16 mila e 26 mila euro annui la differenza è la possibilità di essere indipendenti.

Pensioni, part time e lavoro femminile

Il problema di fondo del futuro del welfare state e del suo finanziamento sono i cambiamenti demografici che comportano una riduzione della forza lavoro e l'invecchiamento della popolazione. Questo, al netto di nuovi eventi epidemici rilevanti a livello globale. 

Due fra i perni fondamentali saranno: primo, far sì che le pensioni (e quindi i redditi) delle generazioni che ora compongono la forza lavoro siano commisurate al reale costo della vita, e secondo, che anche le donne contribuiscano in maniera più massiccia di quanto accade oggi al mercato del lavoro.

Ai tassi attuali, nel 2035 l’Italia potrebbe avere 20,9 milioni di pensionati e 20,5 milioni di occupati, con un rapporto fra occupati e pensionati inferiore a 1.

Stando al XXI Rapporto Annuale di INPS (luglio 2022), il 32% dei pensionati attuali riceve meno di mille euro al mese; il 40% se consideriamo solo gli importi delle prestazioni al lordo dell’imposta sul reddito personale, senza forme di indennità. La stima di INPS è che se le cose andranno avanti così i lavoratori nati tra il 1965 e il 1980, che hanno versato 9 euro l’ora per 30 anni di lavoro, andranno in pensione a 65 anni con appena 750 euro al mese. La forza lavoro straniera sarà sempre più determinante per riuscire a fare girare questa pesante ruota, ma anche qui la chiave sono i salari.

Il tema del part-time è centrale, perché oggi un contratto a tempo parziale salvo i casi di redditi medio-alti, non è sufficiente per far fronte a una vita autonoma che preveda di mantenere se stessi (ancor prima che una famiglia), una casa, un’auto, specie in questo periodo di forte inflazione, e significa una pensione futura esigua. Il part time è invece ancora molto diffuso, specie fra le donne, per le ragioni che sappiamo, in primis la difficoltà spesso di trovare servizi di supporto nella gestione familiare. Dove solo un bambino su sei ha accesso al nido è ben vano parlare di lavoro femminile. Al Sud meno di un bambino su sei con meno di 3 anni potrebbe avere accesso al nido, al nord uno su tre. Fra le 110 province italiane sono 30 quelle che hanno una copertura media dei posti rispetto ai bambini tra 0 e 2 anni uguale o superiore al 33%. Lo rileva un rapporto di inizio settembre 2022 frutto del lavoro congiunto fra il Dipartimento delle Politiche per la famiglia, l’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) e l’Università Ca’ Foscari Venezia.

Nel 2021, rileva INPS, il 21% di lavoratori maschi nel privato che ha avuto almeno un rapporto di lavoro a tempo parziale mentre tra le femmine siamo al 50% delle impiegate. Nelle tre forme di part-time - orizzontale verticale e misto - la componente femminile nel 2021 rappresenta rispettivamente il 66,7%, il 63,3% e il 69,8% del totale. 

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E poi ci sono le giovani casalinghe. L’agenzia Randstad ha rilevato che oggi 4 donne su 10 fra i 35 e i 44 anni non lavorano e non cercano lavoro, contro il 15% degli uomini. Se consideriamo il tasso di attività e non di occupazione, cioè consideriamo anche le donne che stanno studiando, emerge che tre su dieci sono  inattive, cioè si dedicano unicamente a casa e famiglia. Chiaramente esiste il fenomeno dei lavori saltuari in nero, ma che non prevedono certo il diritto alla pensione o la disoccupazione. Se consideriamo tutte le 30-69 enni, sono ben 7,5 milioni le donne che non lavorano, cioè il 42% del totale, con un picco del 58% nel Meridione.

Che cosa sarà più gestibile: lavorare sull’assetto del mercato del lavoro o incidere sulle dinamiche globali che determinano l’andamento dei prezzi?

La Commissione Europea entro la fine del 2022 ha annunciato la pubblicazione dei risultati di un gruppo di lavoro (l’High Level Group on the future of social protection and of the welfare state in the EU) - composto da 12 membri, fra cui due docenti universitari italiani: Elena Granaglia e Pasqualino Albi - su come rafforzare i sistemi europei di protezione sociale e welfare: l'istruzione, l'inclusione sociale, la disabilità, l'assistenza sanitaria e l'assistenza a lungo termine. 

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