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Cina: le più grandi manifestazioni di dissenso dell’ultimo decennio e il silenzio dei media cinesi

30 Novembre 2022 7 min lettura

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Cina: le più grandi manifestazioni di dissenso dell’ultimo decennio e il silenzio dei media cinesi

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La Cina adotta un livello di censura online di “emergenza” sulle proteste contro le politiche di zero Covid mentre vengono allentati i lockdown

Aggiornamento 2 dicembre 2022: Le autorità cinesi hanno avviato il più alto livello di controllo online per fermare l’accesso a reti virtuali private (VPN) che i manifestanti usavano per accedere a social, app e siti di notizie non cinesi e poter avere informazioni sulle proteste contro le politiche zero-Covid, aggirando così il cosiddetto “Grande Firewall”.

Le direttive dell’amministrazione cinese del cyberspazio, pubblicate e tradotte anche dal China Digital Times, un sito di notizie con sede negli Stati Uniti che si occupa di censura cinese, ordinano alle piattaforme online cinesi di rafforzare i controlli per monitorare, identificare e comunicare rapidamente le informazioni su quelli che sono stati definiti “disturbi offline” e “recenti eventi di alto profilo in varie province”. L’amministrazione ha anche ordinato alle piattaforme di e-commerce di eliminare app, prodotti e “contenuti dannosi” progettati per aggirare le restrizioni di Internet, come VPN e router che aggirano i firewall.

Il giro di vite sulle proteste, che include anche il controllo e l'interrogatorio dei manifestanti, si affianca all'allentamento delle restrizioni per la pandemia di questi giorni.

Dallo scorso weekend in Cina sono in corso ingenti proteste contro le politiche zero-Covid adottate dal presidente Xi Jinping per contrastare l’aumento dei contagi, pilastro della politica interna anche dopo il recente Congresso nonostante nei mesi scorsi avessero provocato importanti fratture tra il Partito Comunista e la popolazione.

Le proteste sono iniziate lo scorso venerdì dopo un incendio in un appartamento a Urumqi, nella regione occidentale dello Xinjiang, che ha provocato la morte di almeno dieci persone. Buona parte dei 4 milioni di abitanti di Urumqi sono stati sottoposti a uno dei lockdown più lunghi del paese, con il divieto di lasciare le loro case per un periodo di 100 giorni. E per questo, in molti hanno ritenuto che senza il lockdown per il Covid il numero delle vittime sarebbe stato più basso. Subito dopo l’incendio, i funzionari di Urumqi hanno tenuto una conferenza stampa per negare che le misure anti-Covid avessero ostacolato le operazioni di salvataggio degli abitanti dell’appartamento.

Ma le proteste non si sono fermate e nei giorni successivi si sono estese ad altre città come Shanghai, Pechino, Chengdu, Wuhan e Guangzhou. Un’ondata di disobbedienza civile senza precedenti nella Cina continentale nell’ultimo decennio. Sui social cinesi è accaduto quel che finora non si era mai visto: condivisioni di foto e video di proteste e, su WeChat, anche indicazioni su come organizzarsi per manifestare, racconta Simone Pieranni nel podcast Altri Orienti.

A Shangai centinaia di persone sono scese nelle strade con dei fogli A4 bianchi in mano in segno di protesta contro la censura che il Partito Comunista in Cina usa sistematicamente per tenere sotto controllo l’opinione pubblica. I manifestanti hanno detto ai giornalisti che il gesto ricorda una battuta dell'epoca sovietica secondo cui non c'è bisogno di dare voce a uno slogan quando “tutti conoscono” il problema. Tuttavia, durante le proteste i partecipanti hanno scandito slogan contro la politica zero-covid, i test di massa e le restrizioni e  il partito comunista. Si è sentito urlare: “No ai test PCR, vogliamo la libertà!” e “Libertà! Libertà!”

“Vogliamo solo rivendicare i nostri diritti umani di base. Non possiamo uscire di casa senza aver fatto un test”, ha detto un manifestante di Shangai. “Le persone qui non sono violente, ma la polizia le arresta senza motivo. Hanno cercato di prendermi, ma le persone intorno a me hanno afferrato le mie braccia con forza e mi hanno aiutato a scappare”.

I manifestanti si sono scontrati con la polizia. Tra questi, un giornalista della BBC, Edward Lawrence è stato ripreso da una telecamera mentre veniva “picchiato e preso a calci dalla polizia” prima di essere arrestato. I filmati diffusi sui social mostrano il giornalista mentre viene trascinato a terra e chiede di chiamare “subito il consolato”.

In un comunicato ufficiale, la BBC si è detta “estremamente preoccupata per il trattamento riservato al nostro giornalista Ed Lawrence, arrestato e ammanettato mentre seguiva le proteste a Shanghai. È stato trattenuto per diverse ore prima di essere rilasciato”.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha detto che la dichiarazione della BBC non corrispondeva a quanto accaduto e alle informazioni in loro possesso. Secondo Zhao, il giornalista non si si sarebbe identificato come reporter né “avrebbe mostrato la sua tessera stampa estera”. La BBC ha dichiarato di non aver ricevuto una spiegazione credibile per la detenzione del suo giornalista. Dopo il suo rilascio, Lawrence ha ringraziato i suoi follower su Twitter e ha affermato di ritenere che “almeno un cittadino cinese è stato arrestato per aver cercato di impedire alla polizia di picchiarmi”. 

Le proteste, come detto, non si sono limitate a Shanghai. I video sui social hanno mostrato centinaia di abitanti scendere in strada a Wuhan, dove la pandemia è iniziata tre anni fa, sfondando barricate di metallo, rovesciando i gazeboi per i test per il Covid e chiedendo la fine delle chiusure. Scene simili sono state viste a Lanzhou, nel nord-ovest, mentre a Pechino, due gruppi di manifestanti, per un totale di almeno 1.000 persone, si sono radunati lungo il terzo anello della capitale cinese, vicino al fiume Liangma.

Nonostante si tratti della più estesa manifestazione di dissenso dell’ultimo decennio, i media cinesi stanno largamente ignorando le proteste. Le prime pagine dei principali quotidiani statali – riporta il Guardian – hanno scelto di concentrarsi su altri argomenti come le elezioni locali di Taiwan, la realizzazione di un impianto solare costruito dalla Cina in Qatar o il numero sempre maggiore di donne cinesi che scelgono di abbronzarsi nei saloni di bellezza. Mentre su Twitter, riporta il Guardian in un altro articolo, bot cinesi hanno inondato il feed del social network nel tentativo di oscurare le proteste contro lo zero-Covid.

Dopo la prima notte di disordini, CCTV ha preferito dedicare la maggior parte della mattinata all'annuncio del lancio della navicella Shenzhou-15 verso la stazione spaziale cinese, previsto per il 29 novembre, mentre i media di Shanghai hanno riportato gli ultimi dati sulle entrate industriali. Nella copertura della Coppa del Mondo di calcio in Qatar, la TV cinese ha evitato di trasmettere le immagini di tifosi che assistono alle partite senza mascherine nel tentativo di nascondere ai cinesi l’esistenza di un mondo che ormai ha rinunciato ai lockdown. Proprio la scorsa settimana, una lettera aperta che metteva in discussione le politiche cinesi di zero-Covid e chiedeva se la Cina e il Qatar fossero “sullo stesso pianeta”, si è diffusa rapidamente sull'app di messaggistica WeChat prima di essere censurata. “Da una parte del mondo c'è il carnevale della Coppa del Mondo, dall'altra ci sono le regole per non visitare i luoghi pubblici per cinque giorni”, ha scritto un utente della piattaforma di social media Weibo. 

Laddove si è parlato di Covid, l’attenzione si è concentrata sulle politiche adottate e sulla minaccia del virus. Un articolo in prima pagina del Global Times ha messo in guardia contro “un inverno estremamente impegnativo” mentre il paese “mette a punto” le sue misure zero-Covid, divenuto “più minaccioso rispetto agli ultimi due anni”. Gli autori dell'articolo citano un imprecisato esperto che preannuncia la possibilità di “misure ancora più stringenti”. Senza queste misure, si legge in un altro articolo pubblicato dall’agenzia di stampa Xinhua, “le conseguenze potrebbero essere disastrose per un paese con 1,4 miliardi di persone, tra cui 267 milioni di persone di età pari o superiore a 60 anni e più di 250 milioni di bambini” e per “un sistema sanitario che attualmente ha molti meno letti di terapia intensiva rispetto a quelli di altri paesi sviluppati”. All’inizio della settimana, la Cina ha registrato un nuovo record giornaliero di nuove infezioni da COVID-19, con 40.347 casi, che hanno portato a ulteriori chiusure nelle città di tutto il paese. 

Proprio l’inefficienza dell’organizzazione e della gestione delle persone che rimangono chiuse in casa o nei covid center è stata alla base delle proteste di questi giorni, spiega ancora Pieranni in Altri Orienti. Le proteste, a dire il vero, non nascono oggi. Già nei mesi scorsi c’era stata una grande manifestazione a Shanghai quando alle persone chiuse in casa non arriva il cibo. Ma questa volta è diverso – prosegue Pieranni – perché non si tratta di eventi locali ma di manifestazioni estese anche a città non in lockdown, a testimonianza che la frustrazione è ormai generale, e che vedono in larga parte la partecipazione dei giovani “che non condividono l’esigenza di ordine e stabilità del partito e stanno vivendo sulla propria pelle il rallentamento economico e l’incertezza che sta dominando le vite dei cinesi”. Il patto sociale “ricchezza a discapito di alcuni diritti” sta saltando e “i giovani adesso iniziano ad accampare diritti di libertà di parola, espressione, associazione”. All'Università Tsinghua, a Pechino, dove gli studenti sono stati in gran parte bloccati per settimane, duemila persone si sono riunite domenica scorsa per chiedere "libertà di espressione", "democrazia" e "Stato di diritto".

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Tuttavia, questi disordini sembrano ancora lontani da quelli del 1989, quando le proteste culminarono nella sanguinosa repressione di Piazza Tienanmen, ha osservato Dan Mattingly, professore di Scienze Politiche all'Università di Yale. Inoltre, commenta Evan Osnos sul New Yorker, “l'eredità di Tiananmen ha addestrato una generazione di leader cinesi a prevenire un altro scenario del genere, evitando soprattutto il tipo di spaccature interne ai vertici del Partito che hanno rallentato la risposta nel 1989 e permesso alle proteste regionali di diventare un fenomeno nazionale”.

La sfida che il Partito Comunista ha di fronte è tripla, conclude Pieranni: affrontare la frustrazione sociale, far ripartire l’economia e non sembrare remissivo di fronte alle proteste.

Immagine in anteprima: Frame video Guardian

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