Fuori da qui Post

Come a Mosca gli enti culturali sono diventati centri per la mobilitazione parziale

23 Ottobre 2022 8 min lettura

author:

Come a Mosca gli enti culturali sono diventati centri per la mobilitazione parziale

Iscriviti alla nostra Newsletter

7 min lettura

di Ksenia Filimonova*

I discorsi sulla cancellazione della cultura russa sono ormai argomento quotidiano dal primo giorno della guerra provocata dalla Russia in Ucraina: vengono sciolti i contratti con l’estero, interrotte le tournée, rotti i rapporti culturali in pubblico e con grande fracasso. Nel mirino vi sono Bulgakov, Puškin, Brodskij e Dostoevskij, e tutti quelli che si può accusare di qualcosa da parte di uno dei lati del conflitto. Proprio la cultura si è trovata a essere un tema soggetto alle speculazioni e alla propaganda per quelli che «non è tutto così univoco». Gli esponenti della cultura si son divisi in due campi: chi è andato via e chi sostiene la guerra. Mosca è al centro di questi processi non solo a causa della sua preminenza mediatica, ma anche perché la cultura moscovita si è trovata inaspettatamente «al fronte», nel mezzo degli eventi legati alla guerra, diventandone non solo uno spazio dei media, ma anche parte dell’infrastruttura bellica. 

È necessario però chiarire che non è stato sempre così, la cultura a Mosca ha avuto alcune chance di trovarsi all’avanguardia dei processi creativi a livello globale. La cultura moscovita contemporanea è il prodotto dell’esperimento di modernizzazione portato avanti dal sindaco Sergei Sobianin e dalla sua squadra di governo. Dal 2011 Mosca ha provato attivamente a essere una città europea: il ministro della cultura [Mosca essendo città federale non ha assessori ma ministri – ndt] dell’amministrazione cittadina, il giovane ed energico Sergei Kapkov, posava con gli hipster per le foto, ha modernizzato i teatri, i parchi e le case della cultura, introducendo le migliori pratiche di management culturale elaborate all’estero. I lavoratori degli enti moscoviti venivano inviati all’estero a studiare per apprendere le altre esperienze, qualcosa che adesso appare impossibile da immaginare con la caccia aperta dalle autorità contro gli agenti stranieri. 

Gli obiettivi di questa volontà modernizzatrice erano come minimo due: il primo era il rinnovamento della capitale, rendendola più attraente e invitante per i turisti, mentre il secondo voleva ridurre ai minimi termini il potenziale di protesta, attivatosi nel 2011 in città con le grandi manifestazioni di piazza Bolotnaja e della prospettiva Sacharov. La logica del governo cittadino era semplice e ferrea: in una città dove vi sono tutti i comfort per vivere, dove la gente ha qualcosa da perdere, la voglia di protestare è poca. 

E così parco Gor’kij è diventato il posto più popolare per le foto su Instagram, e il Gogol center (diretto dal regista Kirill Serebrennikov) è assurto a simbolo della «nuova» Mosca, libera, rinnovata, brillante, europea e dal design moderno e con le prese per i device. Partendo dal presupposto che la cultura non è rappresentata dagli edifici, ma dall’ambiente urbano, il Dipartimento della cultura del governo cittadino aveva adottato all’epoca una nuova strategia, con l’intenzione di far emergere la capitale russa tra i leader globali in quel campo. La Mosca di Sobianin e di Kapkov è diventata così la città dei festival «la migliore città del pianeta Terra» e «la migliore città invernale», centro dello street-food alla moda, con tanto di piste ciclabili e di pattinaggio sul ghiaccio e wifi ovunque, punteggiata di Case della cultura completamente rinnovate, e con biblioteche diventati spazi accoglienti in ogni quartiere. In questo settore si attiravano i migliori dirigenti e impiegati da ogni angolo della Russia, perché l’amministrazione doveva essere esemplare, e i funzionari visibili e vicini alla gente. L’apoteosi, che ora appare come un inconsapevole canto del cigno, dell’accoglienza moscovita è stata con i Mondiali di calcio del 2018, quando per poco è sembrato vedere una Mosca aperta, ospitale, dove per strada ballavano allegramente i tifosi, e gli omon [la celere russa – ndt] sembravano non aver mai picchiato nessuno per le proprie idee politiche.

Con l’avvento della guerra, la cultura moscovita ha iniziato a subire enormi perdite, per utilizzare una terminologia bellica. Il Gogol Center è stato chiuso, non c’è più il centro Mejerchol’d (pensato sull’esempio del Piccolo di Giorgio Strehler), dagli enti vanno via non solo le «stelle» ma anche i semplici impiegati, che rischiano di trovarsi mobilitati e inviati al fronte. Un’emigrazione così massiccia nel campo culturale la Russia non l’aveva conosciuta dai tempi della Guerra civile seguita al 1917, quando fuori dai confini dell’ex impero diventato Unione Sovietica  le arti e la letteratura in esilio hanno dato vita alla cultura dell’emigrazione russa. 

Tutto questo però non è accaduto in un solo istante. Come scrivevano i fratelli Strugackij, idoli dell’intelligencija “tecnica” degli anni Sessanta-Settanta: «Quando trionfano i Grigi, sono sempre i preti a prendere il potere» [nel romanzo da cui è tratta la citazione, È difficile essere un dio, gli autori tratteggiano un mondo fermo al Medioevo - ndt]. Le iniziative modernizzatrici sono terminate in concomitanza con l’annessione della Crimea, quando la cultura è tornata ad adempiere al principale compito a lei assegnato in Unione Sovietica, ovvero provvedere a giustificare nelle retrovie le decisioni discutibili delle autorità, occupandosi della propaganda.  I direttori degli enti son diventati deputati municipali di Russia Unita, sedendo nei consigli dei quartieri di Mosca, togliendo spazio ai candidati indipendenti; la qualità dell’offerta culturale è andata via via peggiorando, ma dal punto di vista “ideologico” tutto rispondeva alle volontà delle autorità. 

La legge sugli agenti stranieri, quella sulle attività culturali e di insegnamento (adottata nel 2021, prevede di “arginare l’influenza delle forze antirusse su studenti e alunni delle scuole”), le norme ufficiali e soprattutto informali di regolamentazione delle attività culturali hanno minato le potenzialità creative della città. La guerra d’altronde richiedeva una risposta ferma, una divisione netta tra favorevoli e contrari.

Quasi subito le facciate di alcuni teatri sono state decorate con la lettera Z. Ed è notizia di qualche giorno fa che il teatro Ermolov, uno dei principali di Mosca e diretto dall’attore Oleg Menshikov, ha firmato un accordo di collaborazione con il Comitato investigativo della Federazione Russa. La foto ufficiale ha fatto il giro dei social per il suo contenuto a dir poco epico: Menshikov, un tempo artista geniale, già sul palco del Globe Theatre a interpretare Sergei Esenin con Vanessa Redgrave nel ruolo di Isadora Duncan, insignito del premio Laurence Olivier della British Academy of Dramatic Arts, firma l’accordo assieme a due persone che indossavano un’uniforme che ricorda molto quelle dell’NKVD [il Commissariato del popolo agli affari interni, sigla con cui negli anni Trenta era conosciuta anche la polizia politica in Urss - ndt]. Al teatro Ermolov hanno espresso la speranza che, «uniti nei propri intenti», le parti potranno «realizzare iniziative artistiche di grande interesse». Le battute sulle «sceneggiature dei processi simbolici» sono apparse subito, anche perché è quasi accaduto, se si ricorda la preparazione del processo ai combattenti del battaglione Azov, da tenere nel Teatro d’arte drammatica di Mariupol’. Il 1937, anno del Terrore staliniano, non è più una semplice metafora, ma un modello stilistico e culturale.

La cultura moscovita ha improvvisamente smesso di sorridere. Nei teatri, nei musei, nei cinema e nelle Case della cultura sono stati aperti punti di reclutamento per la mobilitazione. Il sindaco di Mosca Sergei Sobianin ha annunciato la chiusura dei punti “temporanei”, dichiarando la mobilitazione parziale nella capitale “conclusa”. L’annuncio di Sobianin però non corrisponde al termine della mobilitazione, che può essere deciso solo con un decreto presidenziale. Da questi centri vengono mandati in guerra i moscoviti, fino a qualche tempo fa ancora «cari», cittadini della migliore città del pianeta Terra e di uno dei centri urbani con le infrastrutture più sviluppate a livello globale. 

Il giornale della prefettura del Distretto amministrativo meridionale di Mosca Yuzhnie gorizonty riferisce che «nella capitale hanno aperto i centri temporanei per la mobilitazione. Per la comodità dei cittadini sono stati aperti negli enti culturali della città: VDNKh, Museo di Mosca, Teatro Roman Viktyuk». La burocrazia non è affatto sensibile nei confronti della lingua russa, non si imbarazza a mettere in un solo paragrafo le parole «comodità», «mobilitazione» e «cultura», come se andare a combattere in una terra straniera fosse davvero piacevole.

«Il centro culturale Astakhov in via Lyublinskaya 149 è temporaneamente trasformato in centro di mobilitazione dell’ufficio militare del quartiere di Lyublino. Lì si ammassano i moscoviti mobilitati», comunica il corrispondente dell’Agenzia di notizie cittadine Moskva.  Questo centro culturale fino a poco fa era un modello per la modernizzazione delle altre strutture cittadine. Nel comunicare l’apertura dei centri di reclutamento, l’amministrazione di Mosca utilizza la stessa retorica adottata in precedenza per i servizi culturale: lavoriamo per il comfort dei moscoviti. Così come è piacevole vivere in questa città, lo sarà anche morire, insomma. 

Si tratta di una tesi illustrata ulteriormente dal sito ufficiale dell’agenzia stampa del governo cittadino: «L’apertura di punti temporanei per la mobilitazione permette non solo di organizzare comodamente la ricezione dei visitatori, ma di evitare ulteriori disagi ai moscoviti che vivono vicino agli uffici militari. La scelta dei luoghi per il collocamento dei punti di riserva per la mobilitazione è stata presa tenendo in considerazione tutte le condizioni necessarie per consentire ai visitatori di essere a proprio agio, la possibilità di raggiungerli con il trasporto pubblico e privato e la vicinanza agli uffici militari già in funzione». 

Non vi sono informazioni al riguardo sui siti degli enti culturali «mobilitati», un’omissione quantomeno interessante da parte del Dipartimento della cultura e dell’amministrazione cittadine. Vi sono solo degli avvisi appena visibili sullo spostamento delle attività in altri posti, ad esempio nella piccola Casa della cultura «Berendey», nella zona nord-occidentale di Mosca.

Paradossalmente, uno dei primi punti di mobilitazione è stato aperto nel teatro di Roman Viktyuk, nel quartiere di Sokolniki. Scomparso due anni fa a causa del Covid, Roman Viktyuk era originario di Leopoli, decorato dell’onorificenza di artista del popolo d’Ucraina: una figura complessa, nota per il suo approccio trasgressivo e originale al teatro, e che tanto ha dato anche alla cultura russa. Negli anni Novanta Viktyuk ha allestito spettacoli in grado di sconvolgere il pubblico teatrale, ad esempio la sua rappresentazione de «Le serve» di Jean Genet resta nella storia per stile e originalità. Non vi è nulla di più incompatibile a livello estetico di Viktyuk con la mobilitazione parziale: il regista, personaggio brillante, stravagante e provocatorio, non ha mai avuto paura in passato di dire come la pensasse sul suo paese natale, di cui ha appoggiato i cambiamenti profondi, dichiarando di «non essere al servizio del sistema», eppure oggi è dai locali del teatro da lui animato fino a poco tempo fa che vengono reclutati gli uomini per andar a far la guerra nella patria dell’artista.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Quale sarà la cultura di Mosca in futuro è una domanda difficile, non sappiamo nemmeno quale sarà il nostro comune avvenire, ma a essere sconcertante è come in una megalopoli di circa quindici milioni di abitanti non sia stato possibile trovare altri luoghi per la mobilitazione militare, dovendo ricorrere a musei, centri culturali e biblioteche.

*Ksenia Filimonova insegna Lingua e letteratura russa presso l’Università Orientale di Napoli, si occupa della letteratura concentrazionaria in Unione Sovietica e in passato ha lavorato per il Dipartimento della cultura della città di Mosca. Cura il canale Telegram Non solo Dostoevskij

Immagine in anteprima: Centro di mobilitazione presso il Teatro Viktyuk romano a Mosca via afisha.ru

Segnala un errore

Leave a comment