La polemica su reddito di cittadinanza e ‘voto di scambio’ è ridicola e strumentale
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Non ci sono state grandi sorprese nei risultati della tornata elettorale di domenica 25 settembre. Come previsto Fratelli d’Italia è risultato primo partito, con il PD in seconda posizione. I due risultati più inaspettati, per così dire, riguardano la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte.
Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle si tratta di un netto recupero rispetto alle previsioni estive. Nel corso della campagna elettorale, si è assistito a una crescita dei consensi che ha interessato in particolare il Sud. Le urne hanno certificato queste previsioni: il Movimento 5 Stelle è addirittura riuscito a strappare alla destra alcuni collegi uninominali, in particolare in Campania, Calabria e Sicilia, nonostante il limite imposto dalla legge elettorale che nella parte uninominale avvantaggia le grandi coalizioni.
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Questa rimonta ha spinto alcuni osservatori e avversari politici a parlare di un vero e proprio “voto di scambio”. Nel corso della campagna, infatti, Giuseppe Conte ha puntato molto sui traguardi raggiunti dal Movimento e dai governo da lui guidati nel corso della precedente legislatura, in particolare il reddito di cittadinanza e il Superbonus 110%.
Dopo la chiusura dei seggi e i risultati si è parlato con ancora più insistenza del rapporto tra i voti al Movimento 5 Stelle e il reddito di cittadinanza. In un articolo sul Sole 24 Ore si confrontavano il numero di beneficiari del Reddito di Cittadinanza su 100 mila persone e la percentuale di voti ottenuta dal Movimento 5 Stelle. A seguire, il deputato Luigi Marattin di Italia Viva ha rilanciato in un tweet la presunta correlazione tra i due.
Grafico senza commento. pic.twitter.com/pW5Ayn6dVg
— Luigi Marattin (@marattin) September 27, 2022
Il grafico condiviso da Marattin, però, non può che lasciare perplessi, già da un punto di vista tecnico. Quel tipo di grafico è infatti utilizzato per le serie storiche (ovvero osservazioni ripetute nel corso del tempo) mentre in questo caso siamo in un contesto di dati che non variano dal punto di vista temporale (cross sectional), ad esempio l’altezza dei bambini di una classe nello stesso giorno. Dal grafico sembra emergere una correlazione tra le due grandezze.
Questa relazione c'è?
Per comprendere se ci sia una relazione tra voti al Movimento 5 Stelle e Reddito di Cittadinanza è necessario fare una premessa. Non si tratta di questioni di lana caprina, ma di informare a una corretta lettura dei dati e dei nessi causali, tenendo sempre presente che i dati, se torturati abbastanza, possono dire quello che vogliamo.
Prima di tutto, non è possibile stabilire un nesso causale tra i voti al Movimento di Conte e l’erogazione del reddito di cittadinanza. Questo perché il rapporto causa-effetto è diversa dalla correlazione. Ci sono siti web appositi che mostrano correlazioni alquanto improbabili, tra cui la famosa “Numero di Morti annegati in una piscina e Film a cui ha partecipato Nicholas Cage”.
Fatte le necessarie precisazioni, che cosa ci dicono davvero i dati? Il risultato del modello adottato (regressione lineare) lo si vede nel primo grafico qui riportato. In particolare abbiamo preso il numero di beneficiari del Reddito di Cittadinanza per 100 mila abitanti, e il numero di voti ogni 100 mila elettori preso dal Movimento 5 Stelle alle elezioni.
Quindi pare esserci una relazione, con tutti i se e i ma del caso. Va fatto presente però che utilizzando solo dati a livello regionale si rischia di cadere in quella che si chiama “ecological fallacy”, cioè pensare che la relazione su base regionale (regioni con maggior incidenza di Reddito di Cittadinanza) possa valere anche su base individuale (individui con il reddito di cittadinanza tendono a votare Movimento 5 Stelle).
Ma il reddito di cittadinanza è distribuito secondo criteri stringenti. Questi criteri sono influenzati, ovviamente, dalla povertà e dalla situazione economica più precaria. D’altronde, come mostrano i dati OECD riportati da OpenPolis il Reddito di Cittadinanza raggiunge oggi il 70% delle famiglie povere.
Cosa signifca tutto ciò? Che dobbiamo chiederci se in realtà non siano la povertà e il disagio economico a influire sui voti del Movimento 5 Stelle.
A tale scopo ho costruito un dataset con i dati ISTAT tenendo in considerazione le seguenti variabili su base regionale:
- Età Media;
- Percentuale di immigrati sulla popolazione residente;
- Percentuale di Uomini nell’elettorato.
Questo ci permette di “pulire” l’effetto degli indicatori economici. Per quanto riguarda le variabili economiche utilizzate, abbiamo:
- Tasso di Disoccupazione;
- Povertà Assoluta;
- NEET (giovani che non studiano e non lavorano) in percentuale.
Questi indicatori sono stati presi in considerazione in maniera separata per evitare problematiche (in gergo tecnico: collinearità).
I risultati di questi modelli - in dettaglio alla fine dell’articolo - sull’elettorato del Movimento 5 Stelle mostrano una correlazione, ovvero più è elevato il tasso di disoccupazione, più è elevata la percentuale di voti ricevuta dal Movimento 5 Stelle. Lo stesso vale per la percentuale di NEET. Sulla povertà assoluta: anche qui c’è correlazione una volta che si toglie dal calcolo la percentuale di immigrati. Quindi il voto al Movimento di Conte è legato, anche tenendo conto di aspetti demografici e sociali, a situazione di povertà.
D’altronde anche l’affluenza mostra una forte correlazione con le variabili viste in precedenza.
Quel poco quindi che possiamo trarre da questa analisi, sicuramente limitata, è che il voto al Movimento 5 Stelle è prima di tutto un voto di rappresentanza politica.
Che lezione trarre?
Non è un caso isolato: vari studi hanno mostrato il rapporto tra voto e disagio economico (per una breve panoramica si veda il paragrafo due di questo lavoro degli economisti Dani Rodrik e Charle Sabel).
Il nostro paese, d’altronde, rappresenta un caso interessante. In un’analisi svolta su un arco temporale che va dal dopoguerra fino ai nostri giorni, si nota un cambiamento delle divisioni nette all’interno dell’elettorato, che spingono a votare un partito oppure un altro. Nel resto del mondo i partiti progressisti sono votati dalle fasce più povere, e da quelle più istruite. In Italia le fasce più povere non votano più i partiti di centrosinistra.
Gli elettori non decidono il loro voto sulla base di un’analisi oggettiva, quanto su bisogni materiali e valori condivisi. Il voto al Movimento 5 Stelle durante queste elezioni è un esempio lampante di ciò: quelle zone che vivono in una condizione economica di povertà e disoccupazione hanno sostenuto chi, nel bene o nel male, ha centrato una parte del suo programma e dell’azione di governo al contrasto di questi fenomeni. Chiamare “voto di scambio” questa relazione è prima di tutto un modo per stigmatizzare questa parte di elettorato, e per occultarla nel dibattito pubblico.
Il Reddito di Cittadinanza, infatti, ha contribuito nel contrasto alla povertà, fallendo invece sul lato delle politiche attive. Non solo: ha avuto anche effetti positivi, secondo alcuni studi, sulla natalità e sul benessere degli individui.
In un momento storico in cui la disaffezione degli elettori nei confronti della politica, ritenuta distante dai problemi delle persone, è sulla bocca di tutti (si pensi all’elevato astensionismo) la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle, con tutti i suoi limiti, mostra che soprattutto i partiti progressisti possono rilanciare la loro azione politica puntando sui temi che la popolazione sente più vicini: quelli della povertà, della disoccupazione, del disagio lavorativo. Più che cambiare gli elettori, perennemente colpevolizzati nell’analisi della sconfitta, la riflessione dovrebbe essere sul cambiare la proposta politica.
C’è un altro insegnamento, che deriva proprio dalle considerazioni appena fatte, e riguarda la crociata svolta insistentemente in questi mesi contro il Reddito di Cittadinanza, in particolare dagli esponenti del Terzo Polo come Renzi, Calenda e Marattin. Non si tratta di una valutazione oggettiva o “tecnica”, come si usa dire - altrimenti sarebbero state raccolte le raccomandazioni della commissione Saraceno - quanto di differenti visioni ideologiche. Mentre proposte come il Reddito di cittadinanza, per quanto gioverebbe riformarlo, tentano di intervenire sulla questione sociale sempre più evidente nel paese, la visione del Terzo Polo e della destra è quella di mantenere pressoché inalterato un sistema-paese che ha smesso di creare ricchezza per tutti e non cresce da anni.
Non solo: c’è un’evidente disparità di trattamento. Nel caso del reddito di cittadinanza si è parlato appunto di voto di scambio, ma per altre proposte attuate o promesse da parte, ad esempio, del governo Renzi o dei governi centrodestra o Draghi no. Basti pensare ai vari condoni, al taglio delle tasse per le imprese - l’abolizione dell’IRAP è nel programma della maggior parte dei partiti - o agli 80 euro di Renzi che, secondo un recente paper, hanno effettivamente avuto un impatto sulle precedenti elezioni.
Questa disparità fa trasparire l’atteggiamento pregiudiziale nei confronti di una certa parte del paese - in questo caso il Sud - contrapposto alla narrazione di Nord produttivo. Si tratta di una divisione che esiste, ma non si deve all’atteggiamento del Sud (lo stereotipo del pigro meridionale che percepisce il reddito e sta sul divano), quanto a questioni più profonde che interessano strutturalmente il nostro paese.
Come ormai dimostra il dibattito accademico e non solo, il tema dell’equità dovrà essere al centro dell’agenda politica in una situazione delicata come quella che stiamo vivendo. Proposte come il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa dovrebbero essere un caposaldo del programma dei partiti progressisti, anche in virtù del fatto che, nei paesi in cui queste misure sono presenti, non si è assistito a una virata verso regimi socialisti come paventata da alcuni. Il problema sarà, ovviamente, la volontà politica.
I dettagli dei calcoli effettuati sono disponibili a questo link
(Immagine anteprima: ANSA)