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Come è cambiato il rapporto tra Russia e Cina dopo la guerra in Ucraina

20 Settembre 2022 8 min lettura

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Come è cambiato il rapporto tra Russia e Cina dopo la guerra in Ucraina

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Il summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), l’organismo che raccoglie l’altra parte di mondo, quella dell’Eurasia, e che rappresenta circa il 40% della popolazione mondiale, si è da poco concluso a Samarcanda, in Uzbekistan. A fare gli onori di casa il presidente uzbeko, Shavkat Mirziyoyev, ma gli occhi della comunità internazionale sono stati rivolti tutti ai protagonisti di questo meeting: Xi Jinping e Vladimir Putin. Come è stato più volte ricordato nelle cronache di questi giorni, i presidenti rispettivamente di Cina e Russia non si incontravano dal 4 febbraio, il giorno di inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Pechino, e per il presidente Xi quello di Samarcanda è stato il primo viaggio fuori dalla Cina dallo scoppio della pandemia a inizio 2020. L’incontro in presenza dei due leader è stata l’occasione per comprendere a che punto siano le relazioni tra Cina e Russia, in un momento in cui Putin appare in difficoltà rispetto alla controffensiva guidata da Kyiv che ha portato alla riconquista di circa 8.000 chilometri quadrati di territorio ucraino e ha costretto i russi ad una rovinosa ritirata. 

Innanzitutto c’è una prima cosa che non è cambiata nel rapporto tra Pechino e Mosca – fa notare la direttrice di The Diplomat, Shannon Tiezzi – Xi e Putin si presentano ancora come vicini alleati, partner strategici uniti nel cercare di instaurare un nuovo ordine mondiale più “democratico” e “giusto” che prenda il posto di quello a guida statunitense. Eppure gli equilibri sembrano essersi spostati sempre più in favore di Pechino. “La Cina lavorerà con la Russia per adempiere alle proprie responsabilità di paesi principali e svolgere un ruolo di primo piano nell’infondere stabilità in un mondo di cambiamenti e disordine” – si legge nel comunicato diffuso dal ministero degli Affari Esteri cinese a seguito dell’incontro bilaterale dei due presidenti. Rispetto alle dichiarazioni precedenti, come quella pubblicata il 15 giugno scorso in occasione di una chiamata tra Xi e Putin – prosegue Tiezzi – il comunicato di Pechino appare più tiepido. Il riferimento all’“adempimento delle proprie responsabilità” può essere anzi visto come una critica a Mosca che con la guerra in Ucraina non sta contribuendo alla stabilità. Secondo Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali all’Università Renmin di Pechino, sentito dal New York Times, questa è “la dichiarazione più prudente o più sommessa degli ultimi anni da parte di Xi sulle relazioni strategiche tra i due paesi”.  

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Ci sono poi altri due aspetti di questo incontro che hanno colpito gli analisti. Nel comunicato diffuso dal Cremlino si legge: “Apprezziamo la posizione equilibrata dei nostri amici cinesi in relazione alla crisi ucraina. Comprendiamo le vostre domande e le vostre preoccupazioni al riguardo. Durante l'incontro di oggi spiegheremo sicuramente in dettaglio la nostra posizione sul tema, anche se in passato ne abbiamo già parlato”. Quel “comprendiamo le vostre domande e preoccupazioni” lascia intendere che Pechino nei mesi scorsi ha dimostrato le proprie rimostranze rispetto alle decisioni prese dal Cremlino nel portare avanti la guerra in Ucraina. Come ha sottolineato lo studioso Jakub Jakóbowski su Twitter, che Putin abbia espresso le “preoccupazioni” della Cina è un segnale “imbarazzante” che indica chi sia in una posizione di forza tra i due. 

L’altro elemento chiave è l’assenza da parte cinese di qualsiasi riferimento alla guerra in Ucraina o, nella formula più generale, alle “legittime preoccupazioni russe rispetto alla sicurezza del paese” – come si leggeva nei precedenti comunicati. Al contrario, il comunicato russo cita espressamente la guerra in Ucraina e “condanna le mosse provocatorie dei singoli paesi su questioni riguardanti gli interessi fondamentali della Cina”, ovvero l’isola di Taiwan considerata da Pechino parte integrante del territorio della Repubblica Popolare Cinese. Insomma, la Cina incassa il sostegno della Russia su Taiwan, senza mai sbilanciarsi sulla guerra in Ucraina che potrebbe costargli sanzioni secondarie da parte dell’Occidente. Una simile dinamica era già avvenuta qualche giorno prima con la visita in Russia del numero tre del Partito Comunista Cinese, Li Zhanshu. Nel comunicato dell’agenzia Xinhua nessun riferimento alla guerra in Ucraina, mentre in quello del Cremlino viene precisato come la “Cina comprenda e supporti la Russia sulle questioni che ne rappresentano gli interessi fondamentali, in particolar modo la situazione in Ucraina”. Putin ha bisogno di Xi e vuole dimostrare all’Occidente che non è isolato e che un paese grande e potente come la Cina sta dalla sua parte. Anche perché Mosca è diventata sempre più dipendente dalla Cina anche dal punto di vista economico. 

Le importazioni di petrolio di Cina e India stanno compensando le perdite delle vendite in Europa

Con un volume pari al 19% delle importazioni totali di greggio, la Russia è diventata la principale fornitrice di petrolio della Cina tra i mesi di maggio e luglio di quest’anno. Anche le importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) sono aumentate. Nei primi sei mesi dell’anno si è riscontrato un incremento del 26% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Secondo una stima elaborata da Reuters, la Cina ha risparmiato tra i mesi di aprile e luglio circa 3 milioni di dollari acquistando dalla Russia petrolio a un prezzo inferiore rispetto agli altri esportatori. Di media una tonnellata di greggio proveniente dalla Russia è costata 708 dollari contro gli 816 a cui la vendono altri paesi. Come ha riportato recentemente anche il Financial Times, i dati doganali dimostrano come le importazioni di petrolio dalla Russia da parte di Cina e India abbiano compensato il crollo di vendite in Europa, con le importazioni dell’India che sono schizzate dalle 0,66 milioni di tonnellate del primo quadrimestre alle 8,42 milioni del secondo.

Alexander Gabuev, membro del Carnegie Endowment for International Peace, ha spiegato al quotidiano finanziario come India e Cina stiano usando in “modo cinico e pragmatico la situazione nel loro migliore interesse”. Ovviamente, però, i due paesi creano in questo modo un flusso di cassa che aiuta il Cremlino in un momento in cui le esportazioni verso l’Europa sono state ridotte”. Sempre il Financial Times, ha recentemente intervistato il presidente dell’Indonesia, Joko Widodo, che ha ammesso di essere pronto a valutare “tutte le opzioni”, ovvero di seguire le altre economie asiatiche e aumentare le importazioni di petrolio dalla Russia. Nonostante l’Indonesia abbia adottato una posizione neutrale rispetto alla guerra in Ucraina e non abbia mai importato quantità significative di petrolio dalla Russia – ha dichiarato il presidente  – il governo è sempre più sotto pressione per frenare l’aumento dei costi tra cui i prezzi del carburante saliti del 30% solo nell’ultimo mese. D’altronde Putin è dall’inizio dell’invasione che utilizza la massiccia disponibilità russa di fonti energetiche fossili come arma di ricatto, ma il summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai ha reso evidente un ulteriore aspetto critico per il capo del Cremlino: la Russia sta perdendo influenza proprio in quei paesi che ha sempre considerato come il proprio cortile di casa e che in questi giorni hanno ospitato gli Stati membri della SCO. 

L’Asia Centrale non più cortile di Mosca

Xi Jinping, prima di atterrare in Uzbekistan, è andato in visita in Kazakhstan, anch’esso membro della SCO,  dove ha firmato insieme al presidente Kassym-Jomart Tokayev accordi di cooperazione nel settore energetico, logistico e agricolo dal valore di 15 miliardi di dollari. Agli analisti non è sfuggita una frase pronunciata dal presidente Xi Jinping durante il colloquio con il presidente kazako: “Non importa quanto la situazione internazionale cambi, noi continueremo a supportare fermamente il Kazakhstan nella protezione della propria indipendenza, sovranità e integrità territoriale”. Insomma, la Russia è un alleato utile per la narrazione anti-occidentale, lo diventa meno se la posta in gioco è l’influenza nell’Asia centrale. 

Da anni ormai la Cina investe in diverse infrastrutture e progetti in Asia Centrale che hanno, però, subito notevoli ritardi per via dell’opposizione di Mosca. Tra le più strategiche per Pechino c’è il Trans-Caspian International Transport Corridor, un corridoio commerciale che collega l’Asia Centrale al Caucaso fino ad arrivare in Europa e il passaggio ferroviario tra la regione autonoma cinese dello Xinjiang con Kirgistan e Uzbekistan. Come sottolinea Evan A. Feigenbaum, vicepresidente del Carnegie Endowment for International Peace, in una sua analisi, i paesi dell’Asia Centrale che facevano parte dell’Unione Sovietica sono particolarmente inquieti per quello che sta accadendo in Ucraina. Sentono costantemente la pressione di Mosca, per questo vogliono porre una distanza che gli permetta di creare un’area protetta dove non sentirsi minacciati dal Cremlino. Il suggerimento di Feigenbaum nel suo articolo, “The Wrong Way to View the Xi-Putin Meeting” pubblicato alla vigilia del summit della SCO, era quello di non guardare all’evento solo in chiave Russia-Cina. La Cina è una potenza molto più forte della Russia e ha interessi più globali e maggiormente sfaccettati. Negli anni ha inoltre puntato molto ad accrescere la propria influenza tra i membri della SCO, al contrario della Russia che non gode di alcuna forza attrattiva vista la condotta aggressiva scelta dal suo presidente anche in passato. Nel 2008, durante il summit della SCO a Dushanbe, in Tagikistan, l’allora presidente Dmitri Medvedev tentò invano di convincere gli altri presidenti dell’organismo a sostenere le azioni della Russia in Georgia. Ci fu un rifiuto unanime con la Cina a guidare l’opposizione. In parole povere, i paesi membri della SCO ne hanno fatta di strada e guardando tutto attraverso la sola lente Pechino-Mosca verrebbero ignorati due decenni di relazioni e investimenti cinesi in Asia Centrale, verrebbe minimizzata la posta in gioco per Xi Jinping e si perderebbero di vista gli interessi che la Cina sta cavalcando dal 24 febbraio. 

Immagine in anteprima: Kremlin.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

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