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Egitto, Alaa Abd-el Fattah, l’attivista simbolo della Primavera araba, è vivo. Il silenzio angosciante sulle sue condizioni di salute e la terribile situazione delle carceri egiziane

2 Agosto 2022 6 min lettura

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Egitto, Alaa Abd-el Fattah, l’attivista simbolo della Primavera araba, è vivo. Il silenzio angosciante sulle sue condizioni di salute e la terribile situazione delle carceri egiziane

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Una situazione al limite nel cosiddetto carcere modello di Wadi al-Natrun, in pieno deserto egiziano, a un centinaio di chilometri di distanza dal Cairo. Una situazione che ha portato quasi alla rivolta del carcere, o meglio, alla minaccia di suicidio di massa dei detenuti, moltissimi giovani uomini in carcere da quando erano minorenni. Alaa Abd-el Fattah, il prigioniero di coscienza più noto in Egitto e all’estero, da quattro mesi in sciopero della fame, è stato colui che in questa situazione incandescente si è ritrovato nel ruolo di negoziatore tra le istanze dei detenuti e le autorità competenti. Che, però, non sono stati funzionari del carcere, bensì gli ufficiali della sicurezza dello Stato, una conferma di come il regime egiziano abbia ceduto alla sicurezza dello Stato alcuni dei settori più importanti e delicati della gestione del sistema statuale.

Questa è la ragione per cui Alaa Abd-el Fattah, non si è presentato per giorni ai colloqui concessi a sua madre, la professoressa Laila Soueif. La sua assenza aveva preoccupato i suoi familiari, al punto di chiederne conto alle autorità carcerarie e alla procura generale, attraverso richieste scritte sia da parte di una delle sorelle e della madre, sia da parte dei suoi avvocati.

Leggi anche >> Il mondo si mobilita per salvare Alaa Abd-el Fattah, l’attivista simbolo della Primavera araba in carcere in Egitto

Per giorni, la folta comunità che a livello internazionale segue con apprensione la vicenda di Alaa Abd-el Fattah si è chiesta se il protagonista della rivoluzione del 2011, la rivoluzione di Piazza Tahrir, fosse addirittura ancora vivo. Alaa è infatti, oggi 2 agosto, in sciopero della fame da 123 giorni. Oltre quattro mesi senza alimentarsi, salvo – da poche settimane – introdurre nel suo corpo un centinaio di calorie al giorno (un cetriolo, per esempio) per non interrompere le funzioni digestive e rendere più sostenibile uno sciopero della fame di lunga durata. Per giorni, insomma, Alaa è stato incommunicado, non è stato cioè possibile verificare in maniera diretta le sue condizioni e la sua stessa esistenza in vita, nonostante Laila Soueif si sia recata per cinque giorni di seguito a Wadi al-Natrun, a temperature proibitive in mezzo al deserto egiziano d’agosto, per chiedere di vedere suo figlio. La risposta è sempre stata la stessa: Alaa si sarebbe rifiutato di incontrare sua madre. Una risposta che non ha convinto nessuno.

Dopo le pressanti richieste di spiegazioni da parte di familiari e avvocati, l’ufficio del procuratore generale dello Stato egiziano ha emesso il 28 luglio un comunicato che non ha fatto altro che rendere meno intellegibile tutta la vicenda. La dichiarazione parla di una convocazione di Alaa per rispondere di una denuncia presentata (ma nel 2019) per aver subito torture nel carcere di Tora, al Cairo. Durante la convocazione, Alaa ha chiesto la presenza delle autorità consolari di Londra in quanto cittadino britannico. La procura generale egiziana ha, dunque, interrotto l’interrogatorio in quanto il detenuto non ha presentato prova [sic!] di essere cittadino britannico. Un non-senso, perché il fascicolo del detenuto Alaa Abd-el Fattah contiene fotocopia del suo passaporto britannico. Come del resto tutte le comunicazioni scritte presentate dalla famiglia agli organi giudiziari. A rendere ancora più incredibile la dichiarazione della procura, c’è la notizia che lo stesso Boris Johnson, ora premier dimissionario, abbia parlato direttamente con il presidente Abdelfattah al-Sisi del caso del cittadino britannico Alaa Abd-el Fattah, e stessa cosa ha fatto la ministra degli esteri di Londra Liz Truss nell’incontro con il suo omologo egiziano Sameh Shoukri.

Unico elemento positivo della dichiarazione del 28 luglio è stata la conferma che Alaa è vivo. È, però, un elemento positivo all’interno di una descrizione kafkiana dell’interrogatorio: la procura generale sottolinea infatti che ha trovato il detenuto in buone condizioni, senza minimamente accennare allo sciopero della fame che Alaa conduce da quattro mesi. Quello delle autorità egiziane è un vero e proprio rifiuto di ammettere che Alaa sia in sciopero della fame.

Laila Soueif è riuscita solo due giorni fa, il 31 luglio, a vedere suo figlio. E il quadro presentato da Alaa Abd-el Fattah getta una luce ancor più cupa della situazione nelle carceri. Ecco il resoconto fatto da Mona Seif, la sorella di Alaa, sul suo account Twitter:

“I detenuti in questa nuova prigione sono per la gran parte uomini giovani – molto più giovani di Alaa [che ha 40 anni, ndr]. Non sono affiliati ad alcun gruppo politico, sono in prigione da anni, ed è stato detto loro che sarebbe usciti presto per mezzo di un’amnistia generale. Quando non è stata applicata l’amnistia generale che era stata loro promessa, la loro disperazione ha raggiunto un punto tale che alcuni hanno parlato di un suicidio di massa. L’amministrazione penitenziaria ha deciso che il modo di affrontare la questione doveva essere quella di bloccare il tempo concesso all’esercizio fisico e di chiuderli in cella per la massima parte della giornata!!

La situazione è così diventata cupa e instabile. Alaa ha allora cercato di negoziare con i funzionari. La sua proposta era la seguente: migliorare le condizioni di base per tutti sarebbe stato d’aiuto (niente di eccezionale, solo applicare la normativa carceraria), per esempio la radio per tutti i prigionieri com’era stato promesso prima dell’Eid, della Festa del Sacrificio, e più tempo fuori dalla cella. 

Gli è stato detto dai funzionari che non era nel loro potere accettare queste proposte, e che era la sicurezza dello Stato a gestire questo tipo di decisioni. A quel punto, Alaa ha chiesto di incontrare l’ufficiale della sicurezza dello Stato responsabile per una trattativa sulle condizioni carcerarie. Lo ha chiesto da parte di tutti i prigionieri, specialmente di quelli più giovani che erano sull’orlo della disperazione.

Questa è la situazione attuale nel complesso carcerario di Wadi al Natrun: giovani disperati che pensano di porre fine alla loro vita. Funzionari che gestiscono il carcere senza avere nei fatti l’autorità di decidere niente che riguardi i prigionieri. E Alaa che è molto più fragile di quanto sia mai stato prima”.

La conclusione di Mona Seif descrive non solo il presente, ma anche il futuro dell’Egitto governato da un regime che da anni sta violando tutto, diritti umani, civili, di espressione. “Alaa ha incrociato il suo cammino con molti dei prigionieri che sono stati messi in carcere quando erano ancora minorenni” – scrive Mona Seif. “Tutta la loro esperienza da adulti è stata nelle prigioni di al-Sisi. Il regime egiziano è incapace di vedere quanto tutto ciò sia distruttivo per il futuro del paese, ma tutti quelli che sono stati in carcere sono usciti portando sulle loro spalle il peso di questa consapevolezza”.

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Dal 28 maggio è in corso in Italia una campagna di solidarietà con Alaa Abd-el Fattah, in sciopero della fame dal 2 aprile, per chiedere la sua liberazione: uno sciopero della fame solidale di 24 ore a staffetta continua. Ciascun partecipante ogni giorno digiuna per 24 ore e dà il cambio il giorno successivo a un'altra persona. Ha iniziato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Chi volesse partecipare può inviare una email a: info@invisiblearabs.com. Chi volesse leggere una selezione di scritti di Alaa Abd-el Fattah, può acquistare il libro "Non siete stati ancora sconfitti", hopefulmonster editore, 2021, nella traduzione dall'arabo di Monica Ruocco.

(Immagine in anteprima via Mona Seif)

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