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Il silenzio dei ‘complessisti’

30 Luglio 2022 13 min lettura

Il silenzio dei ‘complessisti’

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A distanza di cinque mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina è già possibile attestare alcune verità di fatto sui numerosi, deliberati ed estesi crimini contro l'umanità commessi dalle truppe russe. Ciò grazie al prezioso lavoro di organismi internazionali, ONG e giornalisti: pensiamo, per quest'ultima categoria spesso fin troppo facilmente bistrattata, al lavoro di Bellingcat nello smascherare la disinformazione russa, o alla preziosa testimonianza pubblicata da Associated Press sull’assedio di Mariupol.

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Una testata può commettere un errore, un rapporto può presentare un’imprecisione, o più. Ma chiunque arrivi a pensare che la mole di prove finora esposte siano false, o parziali, o che il problema stia nel fatto che bisogna "ascoltare anche l'altra parte" sta nel migliore dei casi commettendo una fallacia di composizione (si cerca il dettaglio fuori posto per invalidare il tutto). Nel peggiore, è chiuso in una bolla cognitiva, e mani sulle orecchie non fa che ripetere “Ucraina cattiva!”: se non fosse rumoroso e in buona compagnia lo si potrebbe in sostanza ignorare. Possiamo cioè iniziare a parlare seriamente di negazionismo di fronte a chi finge che l’esercito russo non stia portando avanti una strategia di distruzione indiscriminata nei confronti della popolazione ucraina e di strutture civili. Eppure immagino che frasi del genere suonino ad alcune orecchie troppo forti, troppo animose, come se messi di fronte a uno che, nello scrivere, si fa trascinare. Qualcuno starà pensando "ah, che articolo fazioso! E i crimini dei militari ucraini?".

Del resto, quando il nostro paese fu raggiunto dalla notizia del massacro di Bucha, arrivarono i “complessisti” a spiegarci che bisognava essere cauti, che bisognava accertare le responsabilità. Arrivò un certo scetticismo mosso come forma di maturità e razionalismo, intanto che noi, emotivi “semplicisti”, pensavamo: o è successo quel che sembra evidente, oppure delle donne si sono inventate di essere state violentate, altre persone han finto di essere state torturate facendosi pure le cicatrici, i militari ucraini hanno ucciso delle persone e poi han tirato i cadaveri in mezzo alla strada per far scena, convincendo  un po' tutti a dar la colpa ai russi; oppure i militari ucraini scientemente massacrano, stuprano e torturano i propri civili, e poi danno la colpa ai russi. Come se, di fronte a un cadavere crivellato di colpi, il “complessista” arrivasse a dire “un momento, ragioniamo, non facciamoci tradire dall’emozione. Possiamo davvero escludere che non si sia crivellato da solo?” Che non sia una qualche messinscena?" C’è chi non si vergogna a ragionare così, ma anzi, lamenta persino censure e liste di proscrizione a suo danno - di solito si lamenta in televisione, in radio o su quotidiani a tiratura nazionale, misteriosamente ignorato nel resto del mondo dai principali difensori dei diritti umani.

Evito di menzionare questo o quella “complessista” (anche nella variante “realista”) per due ragioni. Da una parte ritengo si debba dare la minima visibilità possibile a certe idee, avulse da quello che accade in Ucraina. Dall’altra, a distanza di mesi, ho maturato una totale disistima da cui non voglio prescindere. Perché chi sbaglia ha a disposizione la possibilità di ammettere i propri errori. Da parte di chi ha messo in dubbio Mariupol o Bucha, o che in generale ha portato avanti false equivalenze tra esercito invasore e invaso, ciò non è arrivato, perciò nel mio piccolo non voglio avvalorare questa tacita decisione. Inoltre non mi è mai stata dimostrata la superiorità del loro amor di complessità rispetto al mio, e non mi sembra il caso di commettere un atto di fede a loro favore.

Chi, arrivato a questo punto, sta provando una certa irritazione, può tranquillamente smettere di leggere: di fronte a quanto emerso in questi mesi non vedo il bisogno di un falso equilibrismo a priori, la variante 2.0 del "cerchiobottismo" cui piegare ogni dato di realtà. Se il dito indica la luna, alcuni pretendono un secondo dito a indicare la terra, e ne fanno persino virtù. Pensate davvero che sia un problema di obiettività dire "i russi stanno massacrando sistematicamente i civili"? Meglio per voi allora leggere i resoconti di due missioni OSCE, o il recente rapporto di Human Right Watch, solo per citare alcune fonti attendibili; meglio se colmate le lacune dietro i vostri giudizi. Sentitevi poi liberi di scrivere ai relativi autori e autrici per sconfessare i risultati del loro lavoro, ci mancherebbe. Sono sicuro che apprezzeranno il vostro zelo. Che poi, per carità, se una persona non vuol vedere, e nella sua cecità diventa persino arrogante, umanamente riesco persino a comprendere l'atteggiamento. Voglio dire, in Italia abbiamo troupe che vanno nei territori occupati dalle truppe russe, ovvero di un paese in cui è attualmente reato parlare di "invasione" o "guerra", a intervistare civili.

Sono questi che fatico a capire, semmai. Secondo voi è possibile che, presenti sul posto le truppe dell'invasore, che hanno seminato morte e distruzione, dei civili arrivino a lamentarsi di fronte alle telecamere, a confessare eventuali abusi o torture? Come sono scelti gli intervistati? Perché si dice che il teatro di Mariupol è stato colpito, senza specificare da chi, lasciando spazio al "presunto testimone" che parla alla tivù russa e dà la colpa a un'esplosione interna? Come è garantita sicurezza e incolumità delle fonti? Perché sull'attacco al teatro si insiste con una tesi contrapposta tra Russia ("attentato", "bomba") e "fonti internazionali" che parlano di un attacco aereo (ossia quello che è effettivamente avvenuto), come se fosse un'opinione astratta, senza testimoni? Come sono verificate le affermazioni? Chi intervista come fa a distinguere tra un ucraino che parla russo e un russo? Chi fa da fixer? Come mai le persone intervistate si fanno riprendere il volto, rendendosi facilmente riconoscibili? Perché in questo tipo di servizi non si dà mai notizia dei centri di filtraggio in cui i cittadini ucraini sono identificati, interrogati, e talvolta spariscono? Perché non si parla della mobilitazione forzata, con cittadini ucraini arruolati nell'esercito russo? Qual è il senso di intervistare un prigioniero di guerra condannato a morte, presentarlo come "mercenario", e chiedergli se "è libero di parlare", senza tenere conto della Convenzione di Ginevra (art. 13, protezione dalla "pubblica curiosità")? Certo, può anche essere che abbiamo i giornalisti migliori al mondo, in grado di scoprire quello che ai principali osservatori internazionali finora è sfuggito. Nel caso, speriamo che il Premio Pulitzer non sia eterodiretto dalla NATO.

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Tutto sommato questi problemi rischiano di diventare secondari, di scemare nel tempo. Infatti, a mano a mano che escono vari rapporti e resoconti su quanto accade, mentre è diventata certezza che Bucha rappresenta l'orribile norma nel progetto di russificazione dell'Ucraina, pian piano sta cambiando il modo di parlare di questa guerra. Si preferisce o non parlarne, tacendo un certo tipo di episodi che, pur rilevanti, non permettono la falsa equivalenza, gli assoluti astratti, i "tutte le guerre sono sbagliate", "Putin e Zelenskyy sono la stessa cosa per me". Oppure ci si concentra su aspetti trascurabili, come il servizio fotografico di Vogue (neanche sull'articolo a corredo delle foto), e le notizie più fastidiose scorrono via senza generare alcun attrito.

Uno non è obbligato a interessarsi a un argomento. Ma se lo fa, ciò che sceglie di vedere, ciò che sceglie di raccontare ed esporre, e quindi ciò che al tempo stesso sceglie di escludere, ha un valore in sé. Non che il servizio non sia criticabile. Ma è sintomatico che un rapporto OSCE passi sostanzialmente inosservato, senza generare la doverosa pubblica riflessione, mentre a distanza di poco tempo ci si butta a pesce su un servizio di Vogue. Un fondamentale dibattito per decidere se sia il caso per Zelensky e consorte di posare per servizi fotografici. Una questione di buon gusto, insomma, come se il presidente Ucraino avesse l'obbligo morale di portare una specie di lutto collettivo; e tuttavia - lo sciagurato, l'impudente - va per il mondo e prova a fare il figo. Chissà che discussioni ci saranno, il giorno in cui qualcuno in Italia scoprirà su Tik Tok i rave ucraini tra le macerie. O quella volta in cui Gorbaciov posò per Vogue davanti al Muro di Berlino.

Vi ricordate tutto il dibattere quando fu bombardato un reparto maternità a Mariupol? Il circo mediatico attorno alla donna fotografata, come se fosse una specie di invenzione mediatica? Bene, ormai è accertato che dall'inizio dell'invasione sono state distrutte o danneggiate dalle truppe russe circa 400 strutture sanitarie. Avete per caso assistito a circa 400 dibattiti dei "complessisti"? Ne hanno dato notizia 400 volte, o hanno mai menzionato il numero complessivo, spiegandoci la ragione, o anche solo per dubitare degli esperti OSCE? Di fronte alle atroci verità acclarate, improvvisamente c'è chi si interessa d'altro, con un'attenzione selettiva che andrebbe studiata a fondo. Vi ricordate il dibattito attorno al già citato bombardamento del teatro di Mariupol? Ai primi di giugno sono stati distrutti complessivamente 152 luoghi di interesse culturale. Avete per caso assistito a circa 152 dibattiti dei "complessisti", quanto accaduto è stato messo in dubbio 152 volte? Per caso si è ascoltata 152 volte l'altra campana, onde evitare giudizi affrettati? Evidentemente i numeri sono difficili da proiettare in discussioni dal valore soprattutto simbolico, e il simbolico è un ottimo terreno per reprimere i contenuti ritenuti sgradevoli.

Pensate che le questioni mediatiche siano importanti? Certo, la propaganda ha il suo peso, ci mancherebbe, ha senso che sia un oggetto di studio. Tuttavia quante volte si è discusso dei media russi, o si è problematizzata la retorica e l’immaginario della propaganda russa? Non ci si è piuttosto appiattiti solo su una parola, "denazificare", parola che evidentemente copre l'area semantica degli stupri, delle torture, delle esecuzioni sommarie, delle sparizioni forzate, delle aree civili bombardate, dei bambini rapiti? Su Twitter, volendo, è facile trovare video che mostrano cosa passa nella tivù russa, dove il linguaggio usato per descrivere l'Ucraina è da genocidio in Ruanda. Non penso dipenda dal fatto che Vogue finora ha evitato di proporre servizi fotografici a Putin o a qualche importante conduttore televisivo di Mosca. Eppure questo tipo di messaggi va in onda ininterrottamente tutti i giorni, e lasciano poco spazio all’immaginazione di chi blatera che "bisogna capire le ragioni di Putin" (semmai le cause dell'invasione). Tanto dai resoconti quanto dalla propaganda russa emerge che Bucha non è un episodio: è la tappa coerente di un progetto di invasione in corso.

Da febbraio sono almeno una dozzina gli "intellettuali" che ho smesso di seguire, pure se magari li conosco da anni, anche di persona, semplicemente perché trovo che fare l'analisi dei discorsi o delle strategie fotografiche di Zelenskyy, ignorando sistematicamente - dico sistematicamente - retorica, propaganda e strategia bellica russa dica molto di più di qualunque brillante citazione (per le quali basta Wikiquote, alla fine). Da questo punto di vista sono fortunato nel vivere all'estero, perché non ho a nessun livello l'obbligo di star simpatico e per quieto vivere: se c'è "un tempo per ogni cosa", c'è anche un tempo per mandare la gente a quel paese. Per il resto, dire "sì, certo Putin è cattivo, nessuno lo mette in dubbio, ma...", "sì, certo, solidarietà al popolo ucraino, ma..." è una premessa fasulla per dire quello che interessa, cioè tutt'altro: è la spocchiosa concessione che alcuni sentono di dover fare, il dazio da pagare per poter esprimere quello che si pensa veramente. Se avete nella vostra bolla gente così, rifiutatene la falsa moneta, provate a chiedere: che errori ha commesso la Russia finora? Quali sono le differenze tra ciò che sta avvenendo in Ucraina e quanto avvenuto in Cecenia o in Siria? L'esercito ucraino sta portando avanti un sistematico massacro della popolazione civile? Quali sono le condizioni poste dalla Russia per ritirare le truppe? I civili uccisi e le città rase al suolo fanno parte della "denazificazione"?

E certo, arriva e arriverà sempre quello che, di fronte a qualunque punto emerso finora, dirà "e l'Ucraina?": ovvero la versione campista di "E le foibe?". Ricordiamoci che ancora, circa la Resistenza, c'è tutto un filone di chi vorrebbe equiparare partigiani e nazisti usando eccidi o episodi controversi (o inventati) opera dei primi. C'è chi strumentalizza gli episodi per negare verità storiche, per trasformare in equivalenza realtà incommensurabili. Si è sempre fatto, sempre si farà, anche per orrori più recenti, come il già citato massacro di Srebrenica. A gente così è stato persino dato il Nobel per la Letteratura. E di sicuro, quando si dice "Srebrenica", ci sarà qualcuno che pensa "ah, e i crimini dei bosniaci?", sentendosi campione di obiettività. Chissà se gente così, quando si parla di pogrom, pretende che si citino per obiettività tutti i crimini commessi da chi subisce la pulizia etnica. Chissà cosa ci vuole per capire che, di fronte alla volontà genocida organizzata dall'alto (non la rappresaglia, non la vendetta, non la giustizia sommaria), pretendere puntualmente il conto dei crimini della parte che subisce o resiste significa credere in un principio di causa-effetto.

E certo, arriva e arriverà sempre quello che parla di nonviolenza, per il quale gli ucraini hanno la "colpa" di difendersi con le armi e con le truppe, e per il quale la lotta nonviolenta dovrebbe fermare la Russia - Gandhi alla fine ha mandato via l'Impero Britannico, che ci vuole! Onestamente non ce li vedo questi Gandhi da salotto mentre si mettono davanti a truppe di fanteria per fermarle a costo della propria vita, o mentre formano le popolazioni civili su come si fermano senza armi i bombardamenti di aree civili. A gente così si possono fare solo un paio di domande: "cosa bisogna fare che non si sta già facendo?" e prepararsi a lunghe digressioni. Se c'è una cosa che l'età contemporanea ci ha insegnato, è quanto chiasso possono fare gli ignavi - se foste in una casa che va a fuoco, per quanto tempo vi fermereste a dibattere su come spegnere l'incendio?

C’è chi ancora urla come fosse una lallazione “cessate il fuoco”, "negoziate", salvo poi ignorare episodi come l’attacco al porto di Odessa: arrivato dopo nemmeno 24 ore di un accordo che doveva permettere all’Ucraina di far riprendere le esportazioni di grano. Anche questa deve essere "complessità": fingere che tra le concause dell'invasione ci sia la testardaggine ucraina a non voler trattare. Può anche darsi che mi stia sbagliando, accecato dalla troppa emotività, tuttavia è dalla fine di febbraio che attendo in concreto qualcuno che esponga un piano di azione nonviolenta per fermare l'invasione, o quanto meno per contrastarla efficacemente. "Occorre usare la nonviolenza" non è un piano: è un desiderio a distanza di sicurezza.

Dopo tutti questi mesi, e mentre cominciano a cristallizzarsi le prime verità che andranno a costituire le fondamenta della storia di questa invasione, un esamino di coscienza me lo farei, in particolare a sinistra, dove tradizionalmente si analizzano i rapporti di forze (tana per Mr "è una guerra per procura"!) e ci si oppone all'oppressore. Risulta odiosa l'espressione "filoputiniani"? Perfetto. Parliamo allora di approccio o mentalità "collaborazionista" - da intendersi in senso figurato, non alla lettera come giudizio di valore. Il collaborazionismo è per l’appunto uno schema di pensiero esteriormente razionale, pratico; ben diverso da quello del sostenitore attivo, che prova piacere nell'identificarsi col Tiranno, nel fare esperienza della connessione mistica che lega il suddito al capo, entro le dinamiche di massa del culto della persona. Il collaborazionismo è proprio di chi razionalmente, sotto sotto, ha puntato sul Tiranno con la saggezza dello scommettitore: perché torna comodo come strategia di sopravvivenza, o perché convinto che assecondandolo il danno sarà minore. O perché alla fine è il male minore rispetto a chi si considera essere Il Vero Cattivo, e anzi il Tiranno può servire a bilanciare i giochi.

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Per il collaborazionista il Tiranno e le sue voglie non sono una causa giusta, piuttosto una seccatura. Una deviazione da uno stato di cose comodo, cui il collaborazionista vuole tornare al più presto, scendendo  a compromessi se necessario. Se l'Ucraina si arrende, insomma, magari questo inverno le bollette del gas non saliranno alle stelle. Magari si arriverà a un equilibrio internazionale, e in ogni caso non saremo certo noi a dover cedere un pezzo di paese ai russi, no? Abbiamo forse provocato noi Putin? Perché allora dovremmo rimetterci? Eccetera. Il collaborazionista presuppone di agire in base a un ferreo realismo, magari soffre persino le conclusioni dei suoi pensieri, benché ritenute esatte, certe. Vogliamo forse colpevolizzarlo perché il mondo è un posto terribile dove altri commettono atrocità? Vogliamo forse colpevolizzarlo perché, a differenza degli "emotivi", ha il coraggio di guardare in faccia la realtà?

Da parte mia lo ripeterò fino alla nausea: non si tratta di decidere quale popolo supportare, si tratta di riconoscere a un paese il diritto a difendersi dall'invasore, si tratta della legittimità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Molti in Italia non riconoscono questo diritto all’Ucraina, ma sono troppo ipocriti per ammetterlo, per dire che lo ritengono un valore negoziabile. A costoro devo dare una brutta notizia: nonostante tutti i contorsionismi retorici, si nota lo stesso. Si nota quando condividete in fretta e furia una notizia non confermata, ma che asseconda la vostra visione del mondo; si nota mentre tacete i casi eclatanti che la sconfessano. Si nota la vostra bilancia truccata.

Non solo: proprio perché è il diritto internazionale a riconoscere all’Ucraina la facoltà di difendersi, buttarla sull’emotività o sugli aspetti morali, sui "buoni e i cattivi" è un basso stratagemma - anche il diritto ha una morale, se è per questo, deve per forza esistere una scala di valori su cui poi si va a codificare, la consapevolezza di potenziali interessi in conflitto da districare. Se Zelenskyy fosse il peggior presidente della storia dell'Ucraina, se fosse un disonesto arraffone, un mediocre e inaffidabile ciarlatano dalle ignobili strategie comunicative e politiche, se fosse un aspirante despota o peggio, l'Ucraina sarebbe comunque legittimata a difendersi dall'aggressione di un altro paese. Chi parla di "territori liberati" invece di "territori occupati" contribuisce a far carta straccia di questo principio.

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Avvalorare le richieste di chi invade significa contribuire a rifondare il diritto in favore dei nuovi tiranni. Significa creare o rafforzare una zona grigia internazionale dove qualunque tipo di regolamentazione, principio o convezione può essere elusa: non più come eccezione, ma come virtù politica. Si tratta perciò di avvalorare o meno, per l'imminente futuro, nuove crisi internazionali, e quindi nuove devastazioni economiche, ambientali, umanitarie. Se di fronte a ciò la cosa più intelligente che uno ha da dire è “Ah, certo, nuovi tiranni... e allora la NATO? E gli USA?" l’unica risposta che si può dare è ripescare il consiglio di Virgilio: "non ragioniam di loro, ma guarda e passa". Sotto questo aspetto, considerate pure il presente articolo come una rara eccezione.

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