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«Le prossime in Italia saranno le prime elezioni climatiche nella storia del nostro paese»

26 Luglio 2022 13 min lettura

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«Le prossime in Italia saranno le prime elezioni climatiche nella storia del nostro paese»

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Da ieri fino al 29 luglio centinaia di giovani attivisti per il clima sono a Torino per partecipare all’assemblea europea di Fridays for Future e al Climate social camp.

“L’Italia è un hotspot climatico e Torino è una città in cui tutto questo è drammaticamente evidente. Il fiume Po è in secca, la Regione Piemonte è in allerta siccità, i ghiacciai si stanno fondendo. Per non parlare del fatto che a Torino si registrano ogni anno circa 900 decessi a causa della cattiva qualità dell’aria”, osserva ad Altreconomia Elena Traverso, del comitato organizzatore. Il cambiamento climatico è già qui, insomma. Nel corso degli incontri si parlerà anche dell’organizzazione del prossimo sciopero globale per il clima, previsto per il 23 settembre, ultimo giorno di campagna elettorale per l’elezione del nuovo parlamento, e della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP27) che si terrà in Egitto dal 7 al 18 novembre 2022.

In questi stessi giorni all’interno del parco della Colletta è in programma il Climate social camp, con eventi aperti a tutta la cittadinanza (mentre per l’assemblea di FFF diversi incontri sono rivolti ai soli delegati) organizzati in collaborazione con realtà come, per fare alcuni esempi) Non una di meno, Mediterranea saving humans, il collettivo di fabbrica della Gkn. L’obiettivo degli incontri sarà confrontarsi (e creare quanti più punti di contatto possibili) su questioni che solo apparentemente sono distanti tra di loro: la crisi idrica, le migrazioni, l’agroecologia, le risorse energetiche, i diritti dei lavoratori, l’antispecismo.

“Abbiamo la necessità di sviluppare un pensiero e un agire ecologico nella sua totalità, che sappia cogliere le crisi nella crisi. Abbiamo bisogno di dialogare con persone, gruppi, collettivi e storie differenti che raccolgono e restituiscono, attraverso prospettive diverse, i danni che questo sistema socio-economico produce. La crisi eco-climatica è una crisi sociale, migratoria ed economica che colpisce in modi e intensità diverse le diverse fasce di popolazione, prime fra tutte le categorie oppresse: popoli del Sud del mondo, le classi sociali più povere, le persone migranti, le donne, le persone LGBTQI+, le persone con disabilità”, spiega il documento di presentazione dell’evento.

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“Volevano prepararsi a un autunno di lotta, si trovano davanti un'estate di campagna elettorale, un settembre alle urne e un ottobre di consultazioni”, scrive Ferdinando Cotugno su Domani. La concomitanza tra la data dello sciopero per il clima e la giornata di chiusura dei comizi potrebbe fare della campagna elettorale in Italia qualcosa di molto simile a quanto visto in Australia a maggio, commenta il giornalista: le prime elezioni climatiche nella storia del paese.

Ne sono consapevoli anche gli organizzatori. Il Climate Social Camp e il meeting europeo di FFF avrebbero dovuto essere il momento per «raccogliere le ragioni del clima in una sola voce pubblica, almeno su base europea», spiega Luca Sardo, e invece le elezioni sono l’occasione per mettere finalmente il clima, la siccità e le ondate di calore al centro del dibattito politico. «A settembre si forma il parlamento in carica potenzialmente fino al 2027. Siamo sempre in attesa di elezioni climatiche, ma sulle prossime mi viene davvero da dire: se non ora quando?», si chiede su Domani Giovanni Mori, ex portavoce e ancora una delle persone più in vista del movimento. «Il ministro Cingolani ha detto: speriamo che la siccità sia temporanea e noi ci chiediamo in quale realtà viva. Questo è il nostro presente e il nostro futuro», conclude Luca Sardo. «Interlocutori politici non ne avremo, perché sono processi lunghi, che non nascono a tavolino. Oggi la nostra battaglia è che il clima sia al centro del dibattito per la prima volta in Italia». 

Nel Regno Unito arriva la prima proposta di legge scritta da una studentessa per introdurre nelle scuole l’educazione al cambiamento climatico

Scarlett Westbrook, studentessa di 18 anni e attivista per il clima, ha presentato una proposta di legge per modificare la legge sull’istruzione e introdurre nelle scuole l’educazione al cambiamento climatico in tutti gli insegnamenti. È la prima proposta di legge scritta da una studentessa nella storia del paese. 

La proposta prevede che le scuole primarie e secondarie insegnino i cambiamenti climatici in tutte le materie, inclusi i corsi professionali, come quelli per assistente sociale, che preparano gli studenti a lavori specifici. Attualmente gli studenti studiano in modo approfondito i cambiamenti climatici solo nei corsi GCSE (acronimo che sta per General Certificate of Secondary Education, titolo di istruzione secondaria superiore, rilasciato intorno ai 16 anni) di geografia e scienze. 

“Il cambiamento climatico non riguarda solo la storia naturale. Riguarda le persone, l'economia, la politica, la storia e le arti, e dobbiamo imparare anche questo. E anche materie come l’ingegneria”, ha detto alla BBC Westbrook, che si batte per questa proposta da quando aveva 13 anni. In questo modo, “le generazioni future saranno preparate ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico e non saranno colte alla sprovvista”.

Secondo alcuni esperti, sentiti dalla BBC, insegnare il cambiamento climatico in più materie ridurrà i crescenti livelli di ansia climatica e aiuterà a dare agli studenti le competenze richieste dalle nuove professioni previste dalla transizione ecologica, come l'ingegnere di pannelli solari o il responsabile della sostenibilità di un’azienda.

Westbrook è stata aiutata nella stesura del progetto di legge dalla laburista Nadia Whittome, 25 anni, la più giovane deputata in Parlamento: “Non è passato molto tempo da quando andavo a scuola e ricordo di non aver mai sentito parlare dei cambiamenti climatici. Credo che questa proposta sia piuttosto sorprendente per i parlamentari più anziani”, ha spiegato.

I paesi dell’UE chiedono deroghe ai piani di Bruxelles per ridurre la domanda di gas

Secondo un articolo del Financial Times, i governi degli Stati membri dell’Unione Europea stanno cercando di “annacquare i piani di Bruxelles per spingere i paesi UE a ridurre la domanda di gas come strategia per far fronte alla carenza di forniture russe il prossimo inverno”. 

Il 20 luglio la Commissione europea ha presentato l’European gas demand reduction plan per ridurre del 15% la domanda di gas in Europa tra il 1 agosto 2022 e il 31 marzo 2023. Il piano – che dovrebbe essere approvato questa settimana in occasione di una riunione dei ministri dell’Energia – chiede ai governi di considerare tutte le possibili alternative al gas e di privilegiare, se le condizioni lo permettono, le fonti d’energia rinnovabili o comunque le soluzioni meno inquinanti, prima di ricorrere al razionamento. Sono consigliati anche incentivi per agevolare la riduzione dei consumi energetici. Contestualmente l’UE si impegnerà ad accelerare la diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas e l’introduzione di un sistema di acquisti in comune. Inoltre, riporta Economica, la newsletter di Internazionale su economia e lavoro a cura di Alessandro Lubello, “in base a un pacchetto di nuove regole proposte dalla Commissione, l’UE avrà il potere di dichiarare lo stato d’allerta, dopo aver consultato i paesi membri. L’allerta dovrebbe scattare in caso di ‘rischio concreto’ di una grave carenza nell’offerta di gas o in seguito a una domanda eccezionalmente alta”. Entro settembre i paesi dell’UE dovranno rivedere i loro piani nazionali di emergenza, indicare come raggiungeranno gli obiettivi di riduzione, e ogni due mesi dovrebbero aggiornare la Commissione sulla situazione. Ogni Stato membro potrà richiedere forniture di gas “solidali” solo dimostrando di aver preso delle misure per ridurre la domanda interna, spiega Lubello.

Secondo una bozza consultata dal Financial Times, i paesi UE avrebbero chiesto di regolare gli obiettivi obbligatori sulla base della dipendenza di uno Stato dalle forniture russa e delle quantità di gas stoccato: “La riduzione dovrebbe essere minore se uno Stato membro dispone di gas supplementare che potrebbe fornire ad altri Stati membri dell'UE tramite spedizioni di gas naturale liquefatto o attraverso i gasdotti”, si legge nella bozza.

La minaccia di una recessione accompagnata dal razionamento del gas mette a dura prova l'unità dell’UE mostrata finora da quando è iniziata l’invasione russa in Ucraina, scrive El Paìs: “Gli attriti tra i diversi paesi vanno oltre il settore energetico. Le posizioni diverse tra nord e sud sono evidenti nell'Eurogruppo (tra i ministri delle finanze dell'eurozona) e nella BCE sugli interventi di politica fiscale e monetaria necessari per affrontare un autunno caldo e un inverno potenzialmente esplosivo”. Per la terza volta in poco più di un decennio, prosegue la testata giornalista spagnola, “l’UE sta affrontando una crisi esistenziale che metterà alla prova la coesione dei paesi membri e la loro capacità di tenere coeso lo spazio sociale, economico e monetario faticosamente costruito nel corso degli anni”.

La Commissione Europea, presieduta da Von der Leyen, si è mossa sulla falsariga del modello di coordinamento sperimentato con successo nella gestione della pandemia. Ma la paura del razionamento dell'energia e delle crisi economica e sociale che ne potrebbero derivare ha riaperto ferite e contrasti che sembravano rimarginati. I 27 paesi UE sono stati finora relativamente allineati, salvo qualche disaccordo, sulla portata delle sanzioni contro la Russia (in particolare sull'embargo petrolifero). Ma ora, conclude El Paìs, la guerra sta iniziando a far sentire il suo peso anche sull’Unione Europea, scossa da tensioni interne a causa della crisi economica ed energetica che si profila nei prossimi mesi.

Nel frattempo, è ripreso il flusso di gas verso la Germania attraverso il gasdotto Nord Stream 1, il gasdotto che arriva in Germania, dopo che la struttura è rimasta chiusa per giorni per lavori di manutenzione. Gazprom ha però recentemente annunciato che dal 27 luglio i flussi scenderanno al 20% della capacità del gasdotto. Nulla di sorprendente: già nelle scorse settimane il Cremlino aveva parlato di nuove riduzioni o blocchi delle forniture fino a quando le sanzioni occidentali impediranno alla Russia di procurarsi i componenti necessari per far funzionare bene il gasdotto. Nodo della questione, una turbina in riparazione che va inviata in Russia. Gazprom ha attribuito la riduzione dei volumi a problemi di manutenzione delle turbine della tedesca Siemens Energy in uno stabilimento in Canada. Tuttavia, Berlino e gli analisti del mercato del gas sostengono che la Russia stia usando la questione delle riparazioni delle turbine come pretesto per ridurre i flussi. Politici europei e analisti del settore hanno messo in dubbio che problemi di questo tipo possano causare un calo così marcato dei flussi di gas, riporta Financial Times.

I cambiamenti climatici renderanno più difficile la migrazione delle popolazioni più povere del mondo

Con l’aumentare del riscaldamento globale e l'aggravarsi degli eventi estremi in tutto il mondo, una strategia di adattamento è migrare per evitare gli impatti peggiori del cambiamento climatico. Nel 2020, i migranti internazionali erano circa 281 milioni, pari a oltre il 3% della popolazione mondiale. Le persone possono migrare per sfuggire alle persecuzioni, per cercare opportunità economiche o per raggiungere familiari all'estero. Il cambiamento climatico ha intensificato le migrazioni internazionali, soprattutto quando sono legate a conflitti armati.

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Meno ricerche sono state condotte sulle persone che vivono in aree minacciate dal cambiamento climatico e che non sono in grado di migrare a causa della privazione di risorse. Questo fenomeno viene definito "immobilità". 

Un nuovo studio, pubblicato su Nature Climate Change, ha cercato di studiare proprio questo aspetto ed è giunto alla conclusione, analizzando diversi scenari, che con l’aggravarsi degli impatti continui dei cambiamenti climatici, le popolazioni più povere avranno ancora minori risorse per poter migrare, esponendole ulteriormente agli effetti della crisi climatica e all’aumento della povertà. In uno scenario “medio” di aumento delle emissioni, entro la fine del secolo, le migrazioni dei gruppi di persone con i redditi più bassi diminuiranno del 10%, percentuale che sale al 35% in uno scenario peggiore. 

“I cambiamenti climatici non riguardano solo l'aspirazione a spostarsi, ma anche la capacità di farlo”, ha dichiarato in una conferenza stampa l’autrice principale dello studio, la dott.ssa Hélène Benveniste del Centro per l'ambiente dell'Università di Harvard. “In termini di risposte politiche, i bisogni effettivi delle [comunità immobili] sono probabilmente altrettanto [sostanziali] quanto quelli delle persone che finiscono per essere sfollate a causa dei cambiamenti climatici”, ha aggiunto a Carbon Brief.

Proprio agli sfollati negli Stati Uniti a causa degli effetti della crisi climatica e all’inadeguatezza delle soluzioni individuate dal governo federale è dedicato un articolo del New York Times, pubblicato il 23 luglio.

L’articolo racconta le storie di alcune persone che hanno visto le loro abitazioni distrutte dagli uragani e che, ad anni di distanza, sono nella migliore delle circostanze alloggiate in roulotte, nella peggiore sono state costrette ad andare via o a vivere per strada, senza risorse anche per potersi spostare.

Le due agenzie responsabili dell'assistenza alle vittime dopo un disastro, la FEMA (che si concentra sui ripari d'emergenza e sulle riparazioni delle case a breve termine) e il Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano (che finanzia la ricostruzione a lungo termine), non riescono a intervenire perché concepite in un'epoca precedente a quella in cui i cambiamenti climatici rendevano gli eventi estremi più frequenti e gravi, e rese inefficienti dall’assenza di pianificazione e coordinamento. Il problema non sono i soldi. Le agenzie sono ostacolate da regole che spesso hanno poco senso persino per i funzionari responsabili, scrive il New York Times“Passa troppo tra l’alloggio temporaneo e quello definitivo permanente”, spiega Pat Forbes, il funzionario della Louisiana responsabile della supervisione di tali fondi. “È ridicolo”.

Nel caso della Louisiana, parte dei ritardi è dovuto al Congresso che non ha fornito al Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano i fondi per le vittime dell'uragano Laura fino a più di un anno dal disastro. Il dipartimento ha quindi iniziato un processo di definizione dei criteri di spesa dei fondi durato mesi. La Louisiana ha poi presentato un piano per soddisfare tali regole, approvato dal dipartimento solo nel mese di luglio 2022.

La conseguenza è un numero sempre più crescente di americani sfollati, sparsi, se va bene, in stanze di motel e parcheggi per roulotte. È come se queste persone fossero vittime di un secondo disastro, commenta Garret Graves, deputato repubblicano della Louisiana.

Intanto, una lunga e intensa ondata di caldo ha colpito il nord-est degli Stati Uniti lo scorso fine settimana, “con un record di cinque giorni consecutivi di temperature superiori ai 37,8°C, riporta sempre il New York Times. In California è stato dichiarato lo stato di emergenza mentre “il più grande incendio attivo negli Stati Uniti si sta diffondendo rapidamente vicino al Parco nazionale di Yosemite”, distruggendo case, costringendo 6.000 persone ad evacuare e causando problemi ai vigili del fuoco. L'inviato USA per il clima, John Kerry, ha dichiarato che il Presidente Joe Biden starebbe considerando l’ipotesi di annunciare un’emergenza climatica per avere più poteri e approvare il suo piano sul clima, bloccato al Congresso dal mancato sostegno del senatore democratico Joe Manchin. “L'impegno a ridurre a zero le emissioni di gas serra entro il 2050 non può essere compromesso”, ha commentato Kerry.

Chi sono i 20enni che hanno deciso di farsi carico di un piccolo pezzo della crisi ambientale

Gli ultimi decenni hanno visto tanti giovani attivisti impegnati per agire concretamente per contrastare e adattarsi alla crisi climatica in corso. Il Guardian ha raccolto le storie di alcuni di loro.

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In Florida, Caulin Donaldson, 26 anni, da oltre 2 anni raccoglie ogni giorno i rifiuti dalle spiagge del suo Stato. Su Tik Tok racconta il suo impegno ed è diventato fonte di ispirazione per i suoi 1,4 milioni di follower: “Le persone dicono: ‘Mio figlio ama guardarti ogni giorno e ora è fuori a raccogliere la spazzatura’. Ho appena ricevuto un commento che diceva: ‘Stavo aspettando che finisse la gara di atletica di un mio amico e mi annoiavo molto, così mi sono messo a raccogliere la spazzatura’. Non avrei mai pensato di farlo se non avessi guardato i tuoi video”.

Sempre negli Stati Uniti, Franziska Trautmann, 24 anni, trasforma il vetro in sabbia per salvare le coste della Louisiana dall’erosione. Un giorno, nel 2020, mentre beveva una bottiglia di vino con il suo amico Max Steitz, Trautmann ha riflettuto sul fatto che nel suo Stato, la Louisiana, non c’era neanche un impianto di riciclaggio del vetro. La sua bottiglia di vino sarebbe finita in discarica. “Volevo impegnarmi per essere parte della soluzione invece di continuare a essere parte del problema”, ha detto al Guardian. Gli Stati Uniti riciclano solo un quarto del loro vetro. Questo dato impallidisce rispetto ai Paesi europei, che riciclano tra il 60% e l'80% del vetro. E così Trautmann e Steitz hanno fondato Glass Half Full, l’unico impianto di riciclaggio del vetro della Louisiana, finanziato all’inizio con una campagna crowdfunding. Da allora hanno sottratto alle discariche più di 2,2 milioni di chili di vetro e dispongono di un enorme magazzino per il riciclaggio. Il vetro viene trasformato in sabbia e utilizzato per ripristinare le coste in erosione dello Stato. Ogni ora la Louisiana perde il corrispettivo di un campo di football americano a causa dell'erosione costiera. “Questo è anche il nostro pianeta e non abbiamo tempo di aspettare che questi vecchi prendano decisioni. Lo facciamo da soli”, dice Franziska Trautmann, alias “la ragazza della sabbia” su TikTok. Trautmann e Steitz hanno iniziato a raccogliere bottiglie nel giardino di una confraternita. 

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Successivamente Glass Half Full ha ottenuto una sovvenzione della National Science Foundation insieme agli scienziati della Tulane University. Con loro Trautmann e Steitz hanno condotto esperimenti con la sabbia di vetro alla ricerca di contaminanti e per vedere come funziona con le piante native e la fauna marina. I risultati sono stati così positivi che il gruppo ha appena steso 15 tonnellate di sabbia di vetro sulla costa e ha collaborato con la tribù di Pointe-au-Chien per ripristinare parte della loro terra.

A Houston, in Texas, Zahra Biabani, 23 anni, vuole sostituire l'industria del fast fashion –  settore dell'abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a prezzi super ridotti –  fondando In The Loop, la prima società al mondo di noleggio di abiti sostenibili. L’obiettivo è rendere i marchi sostenibili ed etici più accessibili ai giovani. Biabani sta riunendo una serie di marchi ecologici con requisiti di accesso molto severi: “Ci assicuriamo che paghino un salario minimo dignitoso, che il 50% o più dei loro capi sia realizzato con tessuti di provenienza intenzionale e che offrano pubblicamente obiettivi di sostenibilità a cinque e dieci anni”. Per chi noleggia un capo una sola volta, abbigliamento costa il 75% in meno rispetto al prezzo al dettaglio. Si ricevono i capi per tre settimane e mezzo, si restituiscono utilizzando l'etichetta di reso inclusa nelle buste di spedizione riutilizzabili, e poi In The Loop si occupa di lavorare, rimettere a noleggio e spedire gli abiti per un nuovo ciclo nel mese successivo. Il tutto dal garage dei genitori di Biabani.

Immagine in anteprima via climate social camp

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