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Politiche 2022: che campagna elettorale sarà

25 Luglio 2022 12 min lettura

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Politiche 2022: che campagna elettorale sarà

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L’Italia si avvicina bruscamente alle prossime elezioni politiche, fissate per il 25 settembre, subito dopo le dimissioni definitive da parte del presidente del Consiglio Draghi. La necessità di convocare gli elettori alle urne in tempi così rapidi è collegata alla necessità di preparare la Legge di Bilancio 2022 entro il 31 dicembre 2022, senza la quale il nostro paese sarebbe obbligato a passare all’esercizio provvisorio di bilancio, cioè una modalità di spesa pubblica in cui, di fatto, non è possibile progettare investimenti o modifiche significative all’impianto già esistente nella gestione dei conti.

Questa ipotesi non è del tutto scongiurata: è infatti necessario che dopo le elezioni emerga con chiarezza una maggioranza parlamentare che indichi un* presidente del Consiglio, che a sua volta dovrà formare un governo che dovrà ottenere la fiducia da parte del Parlamento. A quel punto il nuovo Governo dovrà scrivere la legge di bilancio e farsela approvare da Camera e Senato entro la fine dell’anno solare.

Nel 2013 e nel 2018 il raccordo tra le indicazioni di voto e l’effettiva formazione del Governo ha richiesto molto tempo: nel 2013 sono passati più di due mesi prima che nascesse l’esecutivo guidato dall’attuale segretario nazionale del PD, Enrico Letta, sostenuto anche da forze politiche con cui lo stesso PD era entrato in competizione nel corso della campagna elettorale (tra cui l’allora Popolo della Libertà, divenuta poi Forza Italia, di cui il segretario Angelino Alfano diventò il vice dello stesso Letta).

Nel 2018 (anno in cui si votò con l’attuale legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum) la crisi istituzionale durò addirittura 89 giorni, diventando la più lunga nella storia repubblicana. Dopo quasi tre mesi di stallo, fu l’accordo tra il MoVimento5Stelle e la Lega Nord sul nome di Giuseppe Conte come presidente del Consiglio a sbloccare la situazione.

Quest’anno i partiti presenti in Parlamento avranno 97 giorni in tutto per individuare una maggioranza, consentire la formazione di un governo e approvare (dopo che sarà scritta) la legge di bilancio.

La scelta di anticipare al massimo la data delle elezioni serve per l’appunto per offrire il maggior tempo possibile ai partiti per gestire gli effetti delle indicazioni di voto da parte degli italiani, ma d’altro canto restituisce un quadro inedito e di difficile lettura rispetto alle dinamiche con cui si svilupperà questa campagna elettorale.

Lo scenario

La campagna elettorale condurrà al voto nel quarto giorno d’autunno di quest’anno: è la prima volta dal 1919 che i cittadini sono chiamati alle urne per le elezioni generali durante questa stagione. Si andrà a votare prima della scadenza naturale della legislatura, seppur di pochi mesi, e al termine di una campagna elettorale brevissima e per certi versi inattesa, considerando l’ampio sostegno parlamentare su cui (sulla carta) poteva contare l’esecutivo dimissionario guidato da Mario Draghi fino a pochi giorni fa.

Il quadro è ulteriormente complicato da due circostanze. Una è stabile e riguarda il divieto di utilizzo dell’affissionistica statica nei 30 giorni precedenti alle elezioni. Ciò vuol dire che i partiti potranno acquistare spazi pubblicitari sulle plance che però non potranno essere utilizzati oltre il 25 agosto. Il meccanismo di acquisto di questa tipologia di formati (di cui fanno parte i cosiddetti 6x3 e i 4x3, cioè i grandi manifesti che di solito è possibile vedere nelle città e sulle strade locali, oltre che i 70x100, i manifesti verticali più piccoli) avviene per ‘quattordicine’: si acquistano infatti spazi per una copertura temporale di due settimane. Le quattordicine, per prassi, partono da inizio settimana (per due volte al mese) o in date fisse, a loro volta cadenzate (il giorno 1 o il giorno 15 di ciascun mese). Ciò vuol dire anche che se i partiti avessero già pronto il proprio messaggio elettorale nella giornata di oggi, avrebbero al massimo due quattordicine a disposizione per poterlo diffondere su questa tipologia di spazi. In queste circostanze estreme può capitare che i partiti acquistino comunque gli spazi a blocchi di quattordicine, pur sapendo di non poterli sfruttare pienamente, e cioè perdendo o i primi giorni di copertura perché non si è ancora pronti con la comunicazione o perdendo gli ultimi giorni perché si entra nel divieto di affissionistica politica che riguarda gli ultimi 30 giorni di campagna elettorale. Data la situazione, è dunque possibile immaginare che i manifesti elettorali saranno presenti al massimo negli ultimi 10-14 giorni prima del divieto, e che dunque sarà possibile lanciare un solo messaggio, per un intervallo di tempo limitato.

Qui entra in scena la seconda variabile, che è ancora più complicata da maneggiare rispetto alla prima: ammesso che i partiti decidano di utilizzare in tutto (o più verosimilmente in parte) questo mese prima dell’inizio del divieto, dovranno affiggere i propri manifesti in pieno agosto, un mese in cui buona parte degli italiani è abituata a concedersi le proprie vacanze estive, in cui le città si svuotano e gli uffici (soprattutto nel settore dei servizi) possono essere chiusi anche fino a tre settimane.

Le conseguenze dello scenario sulle scelte di comunicazione: la mobilitazione, l’informazione televisiva e la comunicazione sui social media saranno determinanti

La campagna elettorale durerà dunque due mesi, di cui uno è agosto. Quando le città medio-grandi torneranno a rianimarsi (dal 25 agosto in poi) non sarà più possibile utilizzare l’affissionistica statica. Il tempo e lo spazio per comunicare saranno dunque assai ristretti e obbligheranno le macchine organizzative e di propaganda dei partiti a prendere decisioni in un contesto totalmente inedito e senza punti di riferimento offerti da esperienze del passato.

Per comprendere cosa potrebbe succedere in termini di scelte di investimento e di pressione della comunicazione politica, è importante a questo punto introdurre altri due elementi:

1. In Italia non è possibile acquistare spazi pubblicitari per lanciare messaggi di comunicazione politica ed elettorale sui media a diffusione nazionale. Questa norma, contenuta all’interno della legge sulla cosiddetta par condicio, fu varata nel 2000 dall’allora governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema per contenere l’indebito vantaggio che Silvio Berlusconi, contemporaneamente politico ed editore, avrebbe potuto ottenere dalla liberalizzazione di questo genere di azioni di propaganda politica (detta in parole povere: Berlusconi avrebbe potuto utilizzare le reti televisive del gruppo Mediaset per diffondere pubblicità elettorale senza alcuna limitazione). L’approvazione di questa legge, se da un lato ha ‘messo una toppa’ rispetto all’incapacità del Parlamento di scrivere una norma sul conflitto di interessi tra media e politica, nonostante Berlusconi sia in politica da oramai 28 anni, dall’altro lato elimina alla radice la possibilità di utilizzare gli strumenti mediatici generalisti nel corso di una campagna elettorale nazionale. È per questo motivo che da 22 anni gli italiani non vedono spot politici sulla tv nazionale; è invece possibile acquistare spazi su tv, radio e stampa locale (anche online), e spesso i partiti aggirano la norma sulla par condicio acquistando spazi pubblicitari a tappeto su più media locali possibili. L’efficacia di questa soluzione alternativa è comunque inferiore, anche considerando i dati di ascolto e di fruizione della stragrande maggioranza di questi mezzi di comunicazione, sensibilmente più bassi rispetto alle tv, giornali e radio nazionali.

2. Anche la legge sull’affissionistica statica è stata col tempo aggirata parzialmente attraverso l’acquisto di sistemi ‘dinamici’ di affissione: se in questi anni vi è capitato di vedere un cosiddetto ‘camion-vela’, che ospita un manifesto elettorale mentre è in movimento, è esattamente per questo motivo. Anche i mezzi di trasporto pubblici (in quanto ‘dinamici’) possono essere oggetto della veicolazione di messaggi politici (ad esempio i bus o i tram), ma molte amministrazioni pubbliche (tra cui, ad esempio, quella di Milano), hanno introdotto norme che proibiscono questo genere di investimento pubblicitario.

In sintesi: nell’ultimo mese di campagna elettorale, che col tempo è divenuto sempre più importante anche a causa del crescente numero di indecisi che scioglie la propria riserva nelle ultime due settimane, gli strumenti di comunicazione elettorale a disposizione dei partiti e dei loro leader sono piuttosto limitati. Negli ultimi trenta giorni è possibile utilizzare le plance comunali (quelle metalliche di colore grigio che appaiono nelle città dopo la cosiddetta ‘convocazione dei comizi’, cioè dopo che le liste e le candidature sono state ufficialmente presentate, e ciò può avvenire al massimo entro il trentesimo giorno prima del voto). È possibile utilizzare l’affissionistica dinamica laddove è consentito ed è possibile acquistare spazi pubblicitari sui media locali. Tutto il resto, almeno sui mezzi tradizionali, non è consentito.

Per questo motivo la campagna elettorale si svolgerà principalmente in tre ‘luoghi’: la televisione, però all’interno degli spazi informativi (telegiornali e talk show, oltre alle tribune politiche) e non attraverso l’uso di spot pubblicitari; ‘offline’, attraverso comizi ed eventi fisici di mobilitazione, e soprattutto sui social media. All’interno di questo ecosistema, infatti, non esiste alcuna legge sulla par condicio: qui è infatti possibile fare investimenti senza limiti di tempo e di spazio, dagli account dei partiti e dei leader, anche nel giorno di silenzio elettorale (il sabato precedente al voto) e persino a urne aperte. Inoltre, non ci sono limiti massimi di spesa per le sponsorizzazioni. Nei prossimi due mesi è quindi verosimile un utilizzo massiccio dei social media con finalità di propaganda, in misura assai più significativa anche rispetto alle elezioni amministrative del 2021 (che sono state celebrate nel primo weekend di ottobre e che quindi possono usate come parziale termine di paragone sulle modalità di svolgimento della campagna elettorale). In una campagna locale è infatti più semplice raggiungere gli elettori attraverso media locali e la mobilitazione fisica dell’elettorato; in una campagna nazionale è invece indispensabile cercare strumenti che favoriscano la veicolazione del messaggio al maggior numero di persone col minor numero di azioni.

La variabile-agosto

Il 50% della campagna elettorale si svolgerà in un mese in cui gli italiani non sono di certo abituati a essere raggiunti da messaggi di propaganda politica. L’agosto del 2022 potrebbe portare a un’ulteriore necessità di disimpegno da parte dell’elettorato: dopo due anni e mezzo di pandemia, con una guerra in corso che impatta sull’inflazione e sul costo di beni di prima necessità, oltre che sulla bolletta energetica, è possibile che ci sia una forte ricerca di ‘leggerezza’ anche in vista di un autunno estremamente complesso dal punto di vista della tenuta sociale del paese (il che porrà il prossimo governo davanti a una sfida immediata per la gestione del proprio consenso: scrivere una legge di bilancio in una situazione di estrema fragilità economica e geopolitica).

Il grande dilemma a cui adesso i partiti stanno cercando di trovare una risposta è il seguente: ridurre al massimo la pressione nel mese di agosto, in coerenza con il bisogno degli italiani di ‘staccare’ ma rischiando così di perdere metà del tempo a disposizione per condurre la propria campagna elettorale, o cercare di sfruttare ogni occasione con il rischio di generare una reazione di rifiuto da parte dell’elettorato? Chi troverà la soluzione più adatta a questo dilemma si presenterà al rush finale di settembre con qualche cartuccia in più.

La variabile-Draghi

La campagna elettorale è iniziata – e non poteva essere diversamente – con una discussione sulle modalità per cui è caduto il governo Draghi, con un connesso e prolungato scambio di accuse incrociato. Questa ricerca dello scaricabarile è collegato al consenso di cui l’ex presidente del Consiglio disponeva al momento delle dimissioni: nessuna forza politica vuole così assumersi la responsabilità della caduta di un governo apprezzato anche da una parte dei propri potenziali elettori.

Questa dinamica sta portando a una semplificazione e una polarizzazione del dibattito pubblico: chi ha votato la fiducia al governo sino all’ultimo sta accusando il M5S e la destra di irresponsabilità data la complessità del quadro generale del paese; chi è uscito dal governo accusa le altre forze politiche di aver portato la situazione al punto di non ritorno. Data la brevità della campagna elettorale, questo posizionamento sta ingolosendo in particolare le forze che non hanno negato la fiducia a Draghi: soprattutto le forze di centro stanno cercando un’associazione con l'ex Presidente del Consiglio, parlando di una sovrapposizione più o meno totale tra i contenuti del discorso con cui il Premier ha cercato invano la fiducia nella giornata di mercoledì 20 luglio e il proprio programma elettorale.

È una scelta efficace? A mio avviso, lo sarà sempre meno con il passare del tempo. Prima di tutto questo posizionamento nasce da un equivoco di fondo, e cioè dalla coincidenza tra la fiducia personale in Mario Draghi e l’adesione pressoché incondizionata al programma di governo da lui sostenuto. Questo meccanismo non può essere considerato automatico: la fiducia in Draghi potrebbe essere stata legata alla persona più che ai contenuti. Venendo meno la sovrapposizione tra l’ex premier e il programma dell’azione di governo a causa delle dimissioni, l'‘Agenda-Draghi’ (che, è opportuno ricordarlo, nasce all’interno di un governo di coalizione all’interno del quale abbiamo assistito a numerosi veti incrociati che hanno ridotto il tasso di ambizione, almeno dal punto di vista politico e valoriale, dell’azione dell’esecutivo) potrebbe perdere buona parte della sua capacità evocativa.

Avvicinandosi alle elezioni ci sarà inoltre l’inevitabile tendenza (acuita da anni all’interno di governi non omogenei dal punto di vista politico) a marcare le differenze rispetto agli ex-alleati all’interno dell’esecutivo Draghi in vista dell’appuntamento elettorale, e questo renderà l’agenda-Draghi ancora meno reale e concreta a livello di immaginario.

Ultimo ma non ultimo: non conosciamo le intenzioni future di Mario Draghi. L’ex presidente del Consiglio potrebbe per esempio manifestare la sua indisponibilità a occuparsi di politica italiana in futuro, o esprimere giudizi critici sull’esperienza di governo appena terminata. Ciò renderebbe ancora più strumentale l’operazione di associazione tra Mario Draghi e alcune forze politiche che stanno cercando di puntare su questo elemento per conquistare consensi. 

La legge elettorale

Durante questa legislatura non sono state effettuate modifiche e dunque gli italiani saranno chiamati a votare con il cosiddetto Rosatellum. Si tratta di una legge elettorale mista: il 61% dei seggi (che, lo ricordo, saranno 400 alla Camera e 200 al Senato, con un taglio di circa un terzo rispetto alla composizione del Parlamento prima di queste elezioni in seguito all’approvazione della riforma costituzionale attraverso il referendum del settembre 2020) sarà assegnato in misura proporzionale alle percentuali ottenute dai partiti alle elezioni. Sono previste alcune soglie di sbarramento: i partiti riescono a eleggere parlamentari se sono presenti all’interno di coalizioni e ottengono il 3% dei voti. Le coalizioni devono invece superare il 10% ma al loro interno almeno un partito dovrà ottenere il 3% dei voti per far superare lo sbarramento alla propria coalizione di riferimento. Esistono anche altre soglie, ma su base regionale.

Il 37% dei seggi è invece assegnato con un meccanismo di tipo maggioritario: chi otterrà un voto in più nella sfida all’interno dei collegi uninominali risulterà elett*. Nella parte proporzionale si vota esclusivamente per le liste; nella parte maggioritaria si esprime invece una preferenza.

Il restante 2% è invece espressione delle preferenze del voto degli italiani all’interno delle circoscrizioni estere, attraverso un meccanismo proporzionale puro con voto di preferenza.

Leggi anche >> L’Italia attende ancora la riforma della legge elettorale

Una legge elettorale così congegnata ‘invita’ fortemente i partiti a formare alleanze e coalizioni: le forze più piccole ne hanno bisogno per superare la soglia di sbarramento del 3%; quelle più grandi ne hanno bisogno per aumentare il loro tasso di competitività all’interno dei collegi uninominali. È per questo motivo che il dibattito sulle alleanze monopolizzerà o quasi il dibattito nelle prossime settimane, “mangiandosi” metà campagna elettorale.

Due mesi di campagna con il rischio che ci sia un unico grande tema di discussione: le alleanze pre e post-voto

L’estrema brevità della campagna elettorale potrebbe portare all’esasperazione di una dinamica a cui abbiamo già assistito nel 2013 e nel 2018. Dopo il 25 agosto, data in cui le principali scelte politiche saranno state determinate (in seguito alla consegna delle liste dei candidati), è in teoria possibile che ci sia più spazio per i programmi e le proposte politiche. È possibile – però allo stesso tempo è improbabile, perché l’attuale struttura dell’offerta politica, con moltissimi partiti e grande frammentazione interna, non garantisce un esito chiaro del voto, sebbene la coalizione di destra guidata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia (citati in ordine di grandezza secondo le stime elettorali degli ultimi sei mesi) parta da favorita dato il consenso che in questo momento è attribuito alle forze che compongono questa coalizione.

Le speculazioni sulla natura del prossimo governo, dunque, potrebbero andare avanti fino all’ultimo giorno di campagna elettorale, lasciando uno spazio molto limitato alla discussione sui contenuti e sui programmi elettorali. Ciò è verosimile anche perché le coalizioni, che spesso nascono per motivi di necessità connessi alla legge elettorale più che per una reale comunanza di visione (il centrodestra non è compatto sulla politica estera e sulla guerra in Ucraina; il PD ha idee diverse rispetto ad alcune formazioni di centro sui temi sociali e ambientali, per citare due esempi), potranno continuare a produrre battibecchi al loro interno anche perché la parte proporzionale della legge elettorale porterà ogni partito a cercare di strappare consensi non solo agli avversari ma anche all’interno della stessa coalizione. 

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Questo è il paradosso di un sistema elettorale misto come quello italiano: si cerca di stemperare i difetti di un modello proporzionale o maggioritario al 100%, all’interno della vexata quaestio sulla necessità di offrire un modello che garantisca la rappresentatività (proporzionale) o la governabilità (maggioritario), ma in realtà si ottiene l’effetto opposto, favorendo le storture di entrambi i meccanismi.

Per questo è lecito immaginare una campagna elettorale molto aggressiva, molto polarizzata, con molte polemiche e pochissimo spazio per l’approfondimento sui contenuti. I precedenti, da questo punto di vista, non lasciano ben sperare e lo scenario attuale non offre particolari differenze rispetto a quello delle Politiche del 2013 e del 2018.

Immagine in anteprima via notizie.it 

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