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L’Europa nella morsa dell’ondata di calore. Guterres (ONU): “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo. È tutto nelle nostre mani”

20 Luglio 2022 12 min lettura

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L’Europa nella morsa dell’ondata di calore. Guterres (ONU): “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo. È tutto nelle nostre mani”

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Tutta l’Europa è avvolta dall’ondata di calore che la scorsa settimana aveva già iniziato a colpire i paesi più a sud. La Gran Bretagna ha registrato ieri il giorno più caldo con i termometri che hanno toccato i 40° C. La temperatura più alta è stata registrata a Coningsby, nell'Inghilterra centrale dove le colonnine hanno raggiunto i 40,3°C, mentre 34 centri di tutto il paese hanno superato il record precedente di 38,7°C del 2019.

I servizi ferroviari sulle principali tratte da Londra alla costa orientale e occidentale del paese sono stati cancellati, le compagnie elettriche hanno segnalato interruzioni di massa. Network Rail ha twittato una serie di immagini che mostrano come il caldo intenso abbia piegato i binari.


A est, un vasto incendio ha colpito le case del villaggio di Wennington, dove le fiamme si sono propagate su circa 40 ettari di campi per lo più secchi. In altre zone di Londra sono andate a fuoco vaste aree erbose che hanno sprigionato fumo sulle strade principali e nelle zone limitrofe. 

Il servizio di ambulanze di Londra ha dichiarato di aver dovuto gestire 400 chiamate all'ora a causa del caldo estremo. “Stiamo assistendo a un aumento del numero di pazienti esposti al calore, con difficoltà respiratorie, vertigini e svenimenti”, ha dichiarato Peter Rhodes, vice direttore delle operazioni di ambulanza.

«È praticamente impossibile per il Regno Unito sperimentare 40°C in un clima indisturbato. Ma il cambiamento climatico, spinto dai gas serra, ha reso possibili queste temperature estreme - e in realtà stiamo vedendo questa possibilità», ha commentato il capo della sezione scienza e tecnologia del Met Office britannico, il servizio meteorologico nazionale del Regno Unito.


L’ondata di calore non si limita alla sola Gran Bretagna. Almeno cinque paesi europei hanno dichiarato lo stato di emergenza o hanno lanciato l'allarme rosso, e i governi si stanno adoperando per assistere decine di migliaia di persone sfollate a causa degli incendi, riporta il Financial Times. E questa settimana il caldo estremo non risparmierà neanche gli Stati Uniti, in particolare Texas, Oklahoma e Kansas. Le prime pagine dei giornali praticamente di tutto il mondo dedicano le loro aperture al caldo eccezionale che sta scatenando incendi almeno in tre continenti.

In Francia, a Brest, sulla costa atlantica, normalmente fresca, la temperatura ha raggiunto nel pomeriggio il valore record di 39,3°C, 18 gradi oltre la norma, superando il record del 1949 di 35,2°C. A Nantes, sempre in Bretagna, si sono registrati 42°C. Altrove, nella parte occidentale del paese, il caldo ha superato o si è avvicinato ai livelli record dell'ondata di calore del 2019. “Un’apocalisse di calore” ha titolato il Guardian parlando delle 25.000 persone in fuga dalle proprie case nella zona occidentale di Bordeaux per sfuggire a un incendio scatenato dall’ondata di calore. 

In Portogallo, più di mille vigili del fuoco sono stati impegnati per spegnere 30 incendi boschivi il 18 luglio. La scorsa settimana la città settentrionale di Pinhão ha raggiunto 47°C, la temperatura più alta di luglio mai registrata nel Portogallo continentale. In Spagna, dove la scorsa settimana le temperature hanno superato i 45°C, due persone sono rimaste uccise e in migliaia sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni per le fiamme che hanno finora hanno bruciato oltre 70.000 ettari di foresta in tutto il paese, quasi il doppio della media annuale. Le autorità sanitarie di entrambi i Paesi iberici hanno attribuito all'ondata di caldo diverse centinaia di decessi, oltre il numero previsto in base agli anni precedenti: circa 360 in Spagna e 240 in Portogallo nella prima metà di luglio.

Anche la Croazia è stata colpita la scorsa settimana da un grave incendio scoppiato vicino alla città di Zaton, nei pressi di Zara. Si prevede che l'ondata di calore aumenterà nella seconda metà della settimana nei Balcani, rendendo probabili altri incendi.

 

L'Europa sta diventando un “hotspot” per le ondate di calore, con episodi di caldo anomalo che aumentano da tre a quattro volte più velocemente rispetto alle altre medie latitudini, spiega Kai Kornhuber, ricercatore della Columbia University. “L'Europa occidentale sta vivendo la sua terza ondata di caldo intenso quest'estate, e siamo ancora a metà luglio".

Come per la siccità, anche per le ondate di calore, è proprio l’aumento della frequenza di questi eventi l’indicatore che riconduce al cambiamento climatico. Come scrive Antonio Scalari su Twitter, “le evidenze sono chiare: si osserva un aumento della frequenza, durata e intensità delle ondate di calore, come quella in corso, e questo è chiaramente riconducibile all’influenza del riscaldamento globale. Quindi, ai combustibili fossili”. Da questo punto di vista, è fortemente esplicativa un’immagine pubblicata dal Met Office britannico, che mostra la distribuzione temporale dei 10 giorni più caldi registrati nel Regno Unito: sette si sono verificati dal 2003 ad oggi.


Secondo Kornhuber, il riscaldamento dell'Artico, che si sta verificando molto più rapidamente rispetto ad altre parti del mondo, potrebbe avere un ruolo nell’aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore in Europa. “Quando l'Artico si riscalda più rapidamente, il differenziale di temperatura tra l'Artico e l'Equatore diminuisce. Questo porta a una diminuzione dei venti estivi, che ha l'effetto di far indugiare più a lungo i sistemi meteorologici. Vediamo un aumento della persistenza”, spiega il ricercatore della Columbia University.

A influire potrebbero essere anche i cambiamenti in una delle principali correnti oceaniche del mondo, la Circolazione Meridionale Atlantica. Uno studio pubblicato lo scorso anno da Efi Rousi, scienziata senior presso l'Istituto di ricerca sul clima di Potsdam in Germania, dimostrava che un indebolimento della corrente con il riscaldamento del pianeta provocava cambiamenti nella circolazione atmosferica che avrebbero potuto portare a estati più secche in Europa.

L'ondata di calore "sta mettendo ulteriormente a dura prova il sistema energetico europeo", esercitando una pressione al rialzo sui prezzi dell'elettricità e "aumentando il rischio di gravi carenze nelle forniture di gas quest'inverno", scrive il Financial Times. Il caldo ha aumentato la richiesta di utilizzo di condizionatori influendo così sulla produzione di elettricità da fonti nucleari, idroelettriche e a carbone, in un momento in cui i paesi dovrebbero cercare di abbandonare la dipendenza dal gas russo. Nel frattempo, Reuters ha visionato la bozza di un piano della Commissione Europea che potrebbe rendere vincolante per i paesi UE la riduzione della domanda di gas in vista dell'inverno in caso di emergenza di approvvigionamento.

“Non siamo culturalmente preparati alla crisi climatica”, scrive il giornalista Ferdinando Cotugno su Twitter. “Lo si vede dal fatto che da mesi ci prepariamo - giustamente - al freddo che verrà, con gas e stoccaggi. Le ondate di calore, anche se presenti e letali, sono invece trattate come eventi passeggeri, bevi molto e stai buono. Se tratti il freddo intenso come un grande problema sociale e collettivo e il caldo estremo invece come un problema individuale che ognuno deve risolvere per sé stai ancora vivendo nel clima precedente”.

Durante un vertice in Germania sulla crisi climatica il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esposto una strategia su più fronti per affrontare la crisi climatica, tra cui l'eliminazione dell'uso del carbone, il rapido sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e il raddoppio degli aiuti alle nazioni più vulnerabili del mondo per adattarsi agli impatti del riscaldamento globale. Si tratta di strategie non nuove, di fatto la premessa principale dell'Accordo di Parigi, ma le nazioni più ricche, che sono le principali responsabili del riscaldamento globale, non hanno finora mantenuto questi impegni.

“Metà dell'umanità vive in una zona di pericolo, a causa di inondazioni, siccità, tempeste estreme e incendi. Nessuna nazione è immune. Eppure continuiamo ad alimentare la nostra dipendenza dai combustibili fossili”, ha detto Guterres ai 40 ministri giunti in Germania.  “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo", ha concluso Guterres. "È tutto nelle nostre mani”.

Il fallimento climatico americano

Mentre milioni di persone in tre continenti affrontavano le ondate di calore, il senatore democratico della Virginia Occidentale, Joe Manchin III, vicino all’industria dei combustibili fossili, ha fatto sapere che non voterà il Build Back Better, l’ambizioso piano dell’amministrazione Biden per unire politiche sociali e climatiche, perché a suo dire troppo costoso. La decisione di Manchin arriva poco dopo la sentenza della Corte Suprema che ha limitato i poteri dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (E.P.A.) di legiferazione sulle emissioni e il riscaldamento globale. Un uno-due micidiale che rischia di compromettere l’agenda climatica statunitense e avere ripercussioni a livello planetario.

Non sono bastati, dunque, 18 mesi di negoziati tra i leader democratici e Manchin che avevano portato a un costante ridimensionamento del piano di Biden. Tuttavia, la decisione del senatore democratico, il cui voto è decisivo in un Senato equamente diviso tra Partito democratico e repubblicano, non sorprende. La famiglia di Manchin, scrive Somini Sengupta sul New York Times, ha ricevuto molto più denaro dall’industria di petrolio e gas di qualsiasi altro senatore. E Manchin stesso, finora, si è strenuamente battuto contro proposte chiave sul clima, come la transizione alle auto elettriche.

Questa decisione è una sconfitta sotto tre punti di vista, spiega Sengupta. 

È una sconfitta per gli sforzi globali per rallentare il riscaldamento globale. Gli Stati Uniti sono il più grande emettitore di gas serra nella storia. Le sue emissioni pro capite rimangono di gran lunga le più alte al mondo. Un disimpegno americano potrebbe innescare un effetto a cascata su altri grandi emettitori, come Cina, Brasile, India e Sudafrica.

È una sconfitta diplomatica degli Stati Uniti che così si sono dimostrati un partner inaffidabile con gli altri paesi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi nel 2015. Secondo uno studio del Rhodium Group, senza un’agenda climatica ambiziosa, gli USA non saranno in grado di rispettare gli impegni assunti in sede internazionale. "Questo lascerà sgomenti gli alleati americani e ridurrà ulteriormente l'influenza degli Stati Uniti su ciò che accade nell'economia energetica nel resto del mondo”, ha commentato Joss Garman, direttore della European Climate Foundation. “Ora è più probabile che siano Cina ed Unione Europea a diventare leader nei mercati chiave della transizione energetica” con ricadute dal punto di vista industriale e occupazionale.

È, infine, una sconfitta politica per la Casa Bianca. Il rifiuto del senatore Manchin rende praticamente impossibile per il Presidente Biden emanare una legislazione sul clima, come aveva promesso di fare quando è stato eletto. L'amministrazione Biden potrà emanare alcuni regolamenti sul metano e il mercurio che non richiedono l’approvazione da parte delle Camere, finora fermate per non turbare Manchin, ma avrà solo due anni per recuperare quanto non fatto fino ad oggi.

L’India è pronta per lanciare il prossimo grande mercato del carbonio

Lo Stato occidentale del Gujarat, in India, lancerà entro la fine dell’anno un proprio mercato del carbonio, sulla base dell'attuale sistema cap-and-trade che punta al miglioramento della qualità dell'aria. In un sistema cap-and-trade, il governo stabilisce un tetto massimo di emissioni, che può essere di carbonio o di altri inquinanti nell'aria, e le industrie sono autorizzate a emettere una certa quantità di inquinamento per le loro attività. Se superano la loro quota, devono acquistare "crediti" da altre industrie che hanno inquinato meno del previsto. In questo modo, si ottiene una ricompensa finanziaria per chi evita di inquinare e una penalità per chi inquina troppo. 

Si tratta di un progetto pilota che, se riuscisse a risolvere il problema della qualità e della trasparenza delle compensazioni, potrebbe rivelarsi uno dei più grandi esperimenti di mitigazione al mondo, scrive Lou Del Bello nella sua newsletter su clima ed energia nei paesi dell’Asia meridionale.

Un altro aspetto che dovrà essere affrontato è quello dei beneficiari delle compensazioni. “Quando produco un credito, posso venderlo, ad esempio, a 20 dollari. Il prezzo a cui avrei acquistato quel credito dalla comunità sarebbe stato di 4 o 5 dollari, quindi ho ottenuto profitti straordinari”, spiega un esperto del settore. “Dovrebbe essere mio dovere restituire alla comunità parte di quei profitti”. Le imprese hanno la responsabilità di stabilire una serie di regole chiare in base alle quali “una parte consistente dei miei profitti, che eccede i miei costi e il mio rischio di impresa, torni alla comunità. In fin dei conti, è a questo che serve il finanziamento del carbonio”.

Terzo produttore mondiale di emissioni, l'India ha promesso di abbassare l'intensità di carbonio della sua economia come parte dei suoi obiettivi climatici, riducendo il contributo dei combustibili fossili a ogni unità del suo PIL. Finora il piano è stato quello di soddisfare tutta la nuova domanda di energia attraverso fonti pulite, senza ridurre drasticamente l'attuale produzione di combustibili fossili. Ma questo nuovo esperimento di mercato del carbonio suggerisce che le cose potrebbero iniziare a cambiare, spiega Del Bello.

Le isole del Pacifico chiedono aiuto al Tribunale dell’Aia per il clima

Con una dichiarazione congiunta al termine di un vertice alle Fiji la scorsa settimana, i leader delle isole del Pacifico hanno lanciato un appello congiunto affinché la Corte dell'Aia chiarisca gli obblighi degli Stati “per proteggere i diritti delle generazioni presenti e future dagli impatti negativi dei cambiamenti climatici”. I leader delle isole hanno anche dichiarato che l’intera regione si trova in una situazione di emergenza climatica che rappresenta una minaccia “esistenziale”. 

Le isole - molte delle quali si trovano a un basso livello dal mare e sono già colpite dagli effetti della crisi climatica – sperano che un intervento della Corte Internazionale porti all’introduzione di un livello più alto livello di rischio legale per i paesi ad alta emissione di carbonio. Gli occhi sono rivolti in prima battuta ai paesi vicini, come Nuova Zelanda e Australia, tra i maggiori esportatori di carbone e gas al mondo.

“Dobbiamo porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, compreso il carbone. Questa è la nostra richiesta all'Australia, alla Nuova Zelanda” e a tutti i paesi ad alto tasso di emissioni, ha detto il primo ministro delle Fiji Frank Bainimarama al termine del vertice. 

L'iniziativa è nata in un'aula dell'Università del Pacifico meridionale nel 2019, quando circa una trentina di studenti di giurisprudenza ha inviato una lettera ai leader del Pacifico in cui chiedevano da fare un’istanza alla Corte dell’Aia per difendere i diritti di quelle popolazioni maggiormente esposte ai cambiamenti climatici. Vanuatu aveva subito risposto all’appello. “La minaccia esistenziale, la realtà” del cambiamento climatico “è piuttosto spaventosa”, ha detto a France 24 Vishal Prasad, uno degli studenti che hanno inviato la lettera. “Stiamo già vedendo gli impatti su base giornaliera. Stiamo assistendo all'insorgere di cicloni”, ha detto Prasad. “Stiamo assistendo alla migrazione forzata di diverse comunità”.

Il piano avrà bisogno dell'appoggio della maggioranza dei paesi dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre per essere sottoposto alla Corte Internazionale.

La vendita di auto elettriche negli Stati Uniti potrebbe incrementare del 10% la percentuale di terre incolte da destinare all’assorbimento dell’anidride carbonica

Secondo un nuovo studio, pubblicato su Ecological Economics e analizzato dal sito britannico Carbon Brief, un passaggio più rapido ai veicoli elettrici negli Stati Uniti potrebbe incrementare del 10% il suolo da destinare all’assorbimento dell’anidride carbonica. Invece di essere usati per coltivare il mais necessario per produrre biocarburante per le auto statunitensi, i terreni incolti consentirebbero un risparmio “sostanziale” di emissioni, oltre ai benefici diretti dell’elettrificazione del trasporto stradale statunitense.

Con uno scenario di vendita del 100% di veicoli elettrici, ci sarebbe  un risparmio totale di 417 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (MtCO2e) e 551 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2050, oltre ai benefici derivanti dall'eliminazione dei veicoli alimentati a combustibili fossili dalla strada.

Si tratta di un beneficio dell’elettrificazione dei veicoli “poco studiato” che “potrebbe avere importanti effetti indiretti sulla produzione agricola e sulle emissioni di gas serra a livello globale”, ha dichiarato a Carbon Brief Kemen Austin, analista politico di RTI International che non ha partecipato alla ricerca.

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Tuttavia, secondo le proiezioni più recenti dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), con le politiche in vigore alla fine del 2021, le vendite di veicoli elettrici costituiranno appena il 13% del totale delle vendite di veicoli leggeri nel 2050: uno scenario decisamente distante dal 100% ipotizzato nello studio. Di diverso avviso l’opinione diffusa nel settore automobilistico secondo cui circa la metà delle vendite di auto elettriche sarà elettrica entro il 2030.

I risultati di questo studio giungono proprio mentre attivisti e alcuni governi spingono per porre fine all'uso delle colture per i biocarburanti a fronte dell'impennata dei prezzi dei prodotti alimentari e dei timori per la fame nel mondo.

Immagine in anteprima: incendio in Spagna – frame video Guardian

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