La siccità e l’espropriazione delle terre in Africa
8 min letturaCrisi climatica, l’emergenza COVID-19, conflitti diffusi, la guerra in Ucraina, il land grabbing. Sono tutte cause che, nel continente africano, si tramutano nell’erosione della forza e delle potenzialità della terra e così della sopravvivenza di chi la abita. La crescita del settore agricolo è undici volte più efficace a ridurre la povertà che ogni altro settore. Lo dice l’IFAD, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo.
Eppure è proprio quello l’elemento critico che sta mettendo in luce la preoccupante situazione che investe territori vastissimi e popolazioni ormai costantemente nella lista delle agenzie umanitarie. Un quarto della terra arabile del pianeta è in Africa sub-sahariana, terra coltivata per l’80% da piccoli agricoltori che lavorano su estensioni non più grandi di 10 ettari. Una popolazione rurale che fornisce cibo a migliaia di famiglie. Unico reddito nella maggior parte dei casi. E che se viene a mancare vuol dire il collasso totale. La fame. O la fuga, quando è possibile.
L’allontanamento dalle campagne è un fenomeno che ha cominciato ad essere regolarmente registrato dagli anni Sessanta (World Bank). All’epoca ancora l’85% della popolazione sub-sahariana abitava le aree rurali. Oggi, quella percentuale è scesa al 59%. Alla diminuzione di braccia che coltivino la terra va aggiunto l’effetto dell’acquisizione su larga scala da parte di investitori esteri. Secondo Land Matrix – che ne fornisce una mappatura accurata relativa agli accordi stretti con le aziende e i locali, il tipo di piantagioni, i progetti in fase di implementazione e anche quelli falliti - il 34% della terra acquisita a livello globale da aziende estere per scopi agricoli è in Africa. Entro il 2050 la popolazione mondiale aumenterà a circa 9 miliardi di persone, significa 2 miliardi di bocche in più da sfamare.
Va però fatta una riflessione su quelli che sono e saranno gli effetti delle acquisizioni di terra sulle popolazioni locali. Misereor, organizzazione dei vescovi cattolici tedeschi per la cooperazione allo sviluppo, ha messo insieme le conseguenze del passaggio della terra dagli agricoltori locali a quelli stranieri. La logica della massimizzazione del profitto, le monocolture, l’uso di lavoratori stagionali (che dall’essere proprietari diventano stipendiati ma per brevi periodi) sono alcuni dei “disagi” provocati dall’accaparramento della terra, gestita oltretutto con le élite locali e accordi governativi lasciando spesso da parte le comunità. Senza contare che tali stravolgimenti hanno effetti considerevoli sull’ambiente ma anche sulla tenuta sociale. È nota da tempo, infatti, l’equazione land grabbing e conflitti.
Altro elemento che sta mostrando strascichi nella vita - e nell’aspettativa di vita - dei sub-sahariani è la COVID-19. Si chiama “mortalità indiretta” provocata dalla difficoltà di accesso al cibo - dovuta alla contrazione economica - all’acqua pulita, a mezzi di sostentamento. Tra l’altro il lavoro dell’UNDP sottolinea che i paesi dove le popolazioni possono fare affidamento sulle proprie coltivazioni su piccola scala, sono quelli dove le conseguenze della pandemia risultano meglio affrontabili. Si torna lì, dunque, alla terra e al suo valore non tanto per le economie a larga scala e profitto, ma per le comunità locali.
C’è poi il conflitto tra Russia e Ucraina che con il blocco delle esportazioni del grano rischia di alimentare ulteriori tensioni, soprattutto in paesi già provati da crisi interne e rivolte popolari. I leader africani ne sono consapevoli. È il motivo per cui il presidente dell’Unione africana e capo di Stato del Senegal, Macky Sall qualche settimana fa si è recato in visita a Putin chiedendogli di consentire l’invio degli stock di grano e altri cereali (circa 20 milioni di tonnellate) fermi nei porti ucraini. Un appello a cui dopo giorni ha risposto Volodymyr Zelensky. “Siete ostaggi della Russia” ha detto in un incontro a porte chiuse con l’UA. Un incontro in cui ha chiesto sostegno all’Africa e anche a quei paesi più vicini a Mosca.
Ma mentre i leader africani ascoltano il canto delle sirene milioni di persone subiscono l’impatto di una guerra tanto lontana. Un recente evento della World Farmers’ Organisation (WFO) ha messo in luce gli effetti dell’aumento dei prezzi delle materie prime agricole e dei fertilizzanti non solo a medio e lungo termine sulle economie locali ma, in modo immediato, sulla vita delle persone “gettando - scrive la WFO – un’ombra grave sui raccolti futuri e aumentando così le preoccupazioni per la sicurezza alimentare globale”. Intanto, l’Unione Europea ha fatto una promessa: lo stanziamento di 600 milioni di euro verso l’Africa e altri paesi che più di altri stanno risentendo del conflitto in corso. Del resto, e l’Europa lo sa, sono condizioni che non fanno che peggiorare il problema dei rifugiati e sfollati. La relazione del Norwegian Refugee Council è in qualche modo scioccante. Sono in Africa le 10 più gravi (e dimenticate) crisi al mondo.
Ma veniamo all’altro fattore che sta incidendo pesantemente sulla crisi alimentare in corso in varie regioni africane (ci arriveremo subito nel dettaglio): il cambiamento climatico a cui è correlata l’estrema siccità. Già nel 2013 la World Bank affermava che l’innalzamento delle temperature tra 1.5 e 2 gradi centigradi avrebbe provocato nell’area sub-sahariana la perdita dei raccolti tra il 40 e l’80% nel decennio 2030-2040. Una previsione che purtroppo sta trovando conferma nei fatti. In occasione della giornata mondiale per combattere la desertificazione e la siccità - 17 giugno – The New Humanitarian ricordava un dato: ogni anno 55 milioni di persone in tutto il mondo sono colpite dalla siccità. Di queste la maggior parte è nel Continente africano. Mentre la FAO nel suo recente Report ha rivelato che nel 2021 circa 193 milioni di persone in 53 paesi o territori hanno sperimentato l’insicurezza alimentare acuta e a livelli di crisi. Un aumento di quasi 40 milioni di individui rispetto ai numeri già record del 2020. Di queste, oltre mezzo milione di persone (in Etiopia, Madagascar meridionale, Sud Sudan e Yemen) sono state classificate nella fase più grave di catastrofe acuta da insicurezza alimentare e hanno richiesto un'azione urgente. Le cause? Conflitti, shock economici e clima.
I mutamenti climatici che dagli anni Sessanta - lo afferma un accurato studio dell’IPPC, gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico - hanno ridotto la produttività agricola in Africa del 34%, più che in ogni altra regione al mondo, stanno provocando gravi conseguenze. Le aree da cui emergono le situazioni (e i numeri) più allarmanti riguardano il Corno d’Africa e l’Africa occidentale, inclusa l’area del Sahel.
“La peggiore crisi alimentare in tutto il decennio” diceva nell’aprile scorso ancora il Norwegian Refugee Council con riferimento al West Africa. 27 milioni di persone sono affamate si diceva e il numero potrebbe salire ad almeno 38 milioni entro giugno. Questo giugno. Vale a dire un aumento di quasi dieci milioni di individui in più senza cibo in soli due mesi. Burkina Faso, Niger Chad, Mali e Nigeria sono alcuni dei paesi dove in questi anni è intervenuta l’organizzazione secondo la quale il numero di persone bisognose di assistenza è quasi quadruplicato dal 2015 al 2022, passando da 7 ai 27 milioni dell’aprile scorso (ora, si diceva quel numero è già stato superato).
Ma “peggiore crisi alimentare da decenni” è la medesima formula usata per sollecitare attenzione su altre zone del continente, a riprova dell’esasperante risultato dato dalla commistione dei fattori scatenanti che abbiamo citato. Andiamo con ordine. Nel Sud del Niger sono finite le scorte alimentari e fino a che non comincerà a piovere sarà impossibile avviare nuovi raccolti. È preoccupante la testimonianza che arriva dalla clinica di Aguié - nel distretto omonimo – dove si cerca, come si può, di assistere i tantissimi bambini malnutriti che le mamme hanno portato lì come ultima speranza di salvezza. Il Guardian ricorda che circa il 44% dei bambini nigerini sono malnutriti e che si prevede che 4.4 milioni di persone - il 18% della popolazione – affronteranno quest’anno alti livelli di insicurezza alimentare o addirittura la carestia. Una situazione fortemente peggiorata rispetto allo scorso anno. La siccità in questi anni ha tormentato il paese, l’innalzamento delle temperature sta erodendo la terra arabile. Il risultato è che lo scorso anno c’è stato un calo del 39% della produzione di cereali.
In Nigeria, nel nord-est del paese, almeno 4 milioni di persone stanno vivendo una grave crisi alimentare. Malnutrizione acuta e bisogno di fondi per affrontare un periodo duro: è l’allarme e l’appello delle Nazioni Unite rivolto alla comunità internazionale.
Altra situazione drammatica è quella del bacino del lago Chad che copre circa l’8% del continente e tocca sette paesi. Significa cibo ed acqua per oltre 50 milioni di abitanti di regione dell’Africa occidentale e del Sahel e una ricca diversità dell’ecosistema. Anzi, significava. Perché tutto questo da anni è minacciato dalla costante evaporazione dell’acqua. Un’emergenza che non è solo ambientale. L’insicurezza alimentare alimenta le tensioni sociali, il terrorismo e, naturalmente, il numero di sfollati e rifugiati.
Reazioni a catena che si ripetono anche in altre aree del continente afflitte dalla scarsità di cibo. Pensiamo al Mali, interessato da un lungo conflitto armato e dall’instabilità politica e dove, secondo le organizzazioni umanitarie servirebbero almeno 700 milioni di dollari per dare ristoro alla popolazione. O al Burkina Faso, dove di pari passo con l’aumento della violenza jihadista aumenta la fame, 3,5 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare, anche in questo caso determinata dalla grande siccità. E poi il Kenya dove, dallo scorso anno, il presidente Uhuru Kenyatta ha dichiarato la siccità emergenza nazionale. Tra l'80% e il 90% dei bacini idrici e delle dighe si stanno prosciugando nel Turkana, la contea più grande nel Nord-Ovest del paese con il suo famoso lago omonimo. La vita è letteralmente legata a un filo per quelle comunità - una popolazione di quasi 1 milione e mezzo di persone - che hanno sempre vissuto di agricoltura, pesca o bestiame.
Ma a fronte di siccità e arsura altrove aumentano il numero e la violenza dei cicloni, le alluvioni, le inondazioni. I disastri correlati all’intensità delle piogge sono aumentati di circa dieci volte negli ultimi 50 anni. Concentrati soprattutto nell’Africa orientale, in special modo Sud Sudan, Sudan, Somalia, Etiopia, Kenya. Vuol dire vittime, case distrutte e campi inutilizzabili. Poi torna il secco e, nella peggiore delle situazioni, la carestia. È quello che sta accadendo nel Corno d’Africa, dove (in Somalia, Etiopia e Kenya) oltre 14 milioni di persone sono al limite della denutrizione. La metà di questi sono bambini e il numero è destinato a salire - secondo l’International rescue commitee - se i prezzi continueranno ad aumentare, se non scenderà una pioggia “normale” a garantire semina e raccolti, se non arriveranno i fondi destinati agli aiuti. Se… Ad esacerbare la situazione nel Corno d’Africa è il fenomeno che va sotto il nome La Niña che influisce sulle temperature e sulle precipitazioni in diverse parti del mondo, aggravando la siccità (nel Corno d'Africa e nel Sud America) e le inondazioni (nel Sud-Est asiatico e in Australasia). Questi disastri naturali vanno spesso ad aggiungersi a condizioni politiche instabili, come il caso del conflitto del Tigray con popolazioni già vulnerabili - le regioni Amhara e Afar, in particolare - costrette ad affrontare anche la crisi alimentare. Secondo il World Food Programme addirittura l’83% della popolazione sta fronteggiando l’insicurezza alimentare. A conclusione della COP15 sulla desertificazione del maggio scorso, la UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione), ha rilasciato un report che presenta così: il mondo a un bivio nella gestione della siccità. Aumentata del 29% nel corso di una sola generazione e in peggioramento. Quel “peggioramento” vuol dire gente che potrebbe morire di fame. Troppo inermi per alzare la voce e persino per provare a mettersi in cammino verso altri continenti.
Immagine in anteprima: Kate Holt/AusAID, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons