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Sotto attacco non è solo il diritto all’aborto: le conseguenze della sentenza della Corte Suprema americana

27 Giugno 2022 6 min lettura

Sotto attacco non è solo il diritto all’aborto: le conseguenze della sentenza della Corte Suprema americana

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Con la sentenza nel caso Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization che contrapponeva lo Stato del Mississippi e la sua legge restrittiva a un’organizzazione che protegge il diritto di scelta nell’interruzione volontaria di gravidanza, la Corte Suprema rivede le sue stesse decisioni e apre un vaso di Pandora. Cancellare la sentenza Roe vs Wade che nel 1973 rese la possibilità delle donne di scegliere se interrompere una gravidanza avrà conseguenze simili a quelle di un sasso nello stagno.

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Le conseguenze sociali

I dati raccolti dal Guttmacher Institute ci segnalano che le donne che ricorrono all’interruzione di gravidanza vivono nel 49% dei casi sotto alla soglia di povertà, appartengono con più frequenza a minoranze, hanno spesso già un figlio, nel 60% dei casi sono under 30 e nel 12% sono adolescenti. Non è difficile intuire che si tratta spesso di giovani che si trovano alla seconda gravidanza. Ma negli Stati Uniti avere un figlio può implicare spese fino a 30mila dollari - in California solo il parto costa intorno ai 25mila dollari, in altri Stati poco meno di 10mila, ma stiamo parlando del solo parto. Gli Stati dove l’aborto vede le maggiori restrizioni sono anche quelli dove l’assicurazione sanitaria pubblica copre meno i cittadini. Le donne povere e non assicurate, insomma, dovranno avere figli per legge e affrontare da sole le spese. In questo senso il discorso pronunciato da Alexandria Ocasio Cortez immediatamente dopo la sentenza ha molto senso: la sacralità della vita non c’entra, altrimenti il partito repubblicano non si opporrebbe a regole sul possesso di armi o voterebbe a favore di una copertura universale sanitaria per i minori. 

Negli Stati a guida repubblicana dove le norme sull’interruzione volontaria di gravidanza sono più restrittive queste prevedono anche l’incriminazione delle donne che abortiscono e dei medici che effettuano la procedura. Questo odioso aspetto è stato affrontato dall’amministrazione Biden a poche ore dalla sentenza: il Dipartimento di Giustizia ha annunciato che interverrà per difendere le donne che si sposteranno in un altro Stato per abortire.

Gli Stati dove l’interruzione volontaria di gravidanza è vietata o molto limitata in varie forme sono già molti, ma la sentenza farà in modo di liberare alcuni limiti che erano impediti dalla vigenza di Roe contro Wade e porterà altre assemblee statali ad approvarne di nuovi.

Fonte: Guttmacher Institute

Già oggi in undici Stati non sono previste deroghe al divieto di interruzione volontaria di gravidanza nemmeno in caso di stupro o incesto, in alcuni si può abortire in caso di stupro ma non di incesto, in tre Stati la legge che vieta l’aborto non menziona deroghe neppure in caso di pericolo di vita per la gestante. In tre Stati si guadagna un premio se si denuncia un aborto. 

Le conseguenze istituzionali

Si dice da tempo che la democrazia americana attraversi una crisi. Tutte le istituzioni sono impopolari perché non riescono a produrre i risultati promessi in campagna elettorale. La causa è un’architettura costituzionale e delle regole vetuste e pensate in un mondo diverso da quello contemporaneo. Con questa sentenza anche l’Alta corte perde autorevolezza. La Roe contro Wade sanciva il diritto all’aborto vietando all’autorità statale di legiferare sulla privacy, sulla libertà di scegliere dell’individuo. I tre giudici nominati da Trump, interrogati in Senato in sede di conferma avevano detto di ritenere quella sentenza “legge dello Stato”. Brett Kavanaugh, durante la sua udienza dichiarava “è un importante precedente della Corte Suprema che è stato riaffermato molte volte”. 

Il punto è proprio questo: come leggiamo nel parere dissenziente delle giudici nominate da Obama, il diritto all'aborto è stato stabilito da due sentenze epocali e "nessun recente sviluppo, né di diritto né di fatto, ha eroso o messo in dubbio questi precedenti. Nulla, in breve, è cambiato”. La scelta dei giudici è dunque politica e non costituzionale. Facciamo un esempio inverso: quando la Corte ha reso il matrimonio tra persone dello stesso sesso un diritto lo ha fatto perché nella società quelle famiglie esistevano, perché una novità aveva cambiato il quadro normato dalla legge. 

La scelta della maggioranza ultraconservatrice poi è stata quella di scrivere un parere che cancella la Roe contro Wade anziché giudicare la legge del Mississippi costituzionale. Il presidente della Corte, il conservatore Roberts ha votato contro questa scelta, il che segnala quanto estrema sia la maggioranza di 5 su 9 dei giudici in questo momento. La lettura del parere del giudice Thomas a sostegno della sentenza dei giorni scorsi getta poi un’ombra sul futuro dei diritti in generale. “In casi futuri, dovremmo riconsiderare tutti i precedenti di questa Corte in materia di due process, compresi Griswold, Lawrence e Obergefell”, scrive Thomas. Il due process è il requisito giuridico secondo cui lo Stato deve rispettare tutti i diritti legali che spettano a una persona. Le sentenze che Thomas cita sono quelle riguardanti la contraccezione, il sesso tra omosessuali (la “sodomia”, a dire il vero, ma il punto era quello) e il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Se la Corte va contro i suoi pareri precedenti in una materia che riguarda il due process senza che siano intervenuti cambiamenti sostanziali, potrà farlo ancora.

Le conseguenze politiche

La storia politica del diritto di scelta in America non è lineare. Fino agli anni ’70 i repubblicani non erano particolarmente contrari proprio perché la loro idea era che lo Stato non dovesse immischiarsi negli affari degli individui. 

L’avvio di quelle che oggi chiamiamo culture wars è figlio del disegno geniale e vincente di Jerry Falwell e Paul Weyrich, predicatore evangelico uno e stratega conservatore l’altro che immaginano di coinvolgere il movimento evangelico nella politica. Gli evangelici, un quarto degli americani, non votavano o non lo facevano in quanto movimento. L’introduzione del tema della sacralità della vita e campagne ossessive fungono da motore per la mobilitazione di questa gente. E così Ronald Reagan, Mitt Romney o Donald Trump, cambiano opinione sull’aborto una volta che divengono candidati presidenziali. Se la storia spiega il perché l’aborto sia divenuto un tema di scontro, quel che non sappiamo è che conseguenze avrà la sentenza. A novembre si vota e i democratici useranno le notizie di questi giorni per mobilitare l’elettorato, altrettanto proveranno a fare i repubblicani con gli evangelici. Si assisterà anche a uno scontro tra Stati proibizionisti e santuari per le donne che viaggeranno per abortire. Altro problema riguarderà l’impossibilità di controllare la vendita extrastatale delle pillole abortive. Difficile impedire di comprare un prodotto online e farselo recapitare in Texas dalla California.  La sentenza, infine, creerà una nuova frattura tra territori, in una società già molto polarizzata.

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In molti si chiedono se sia possibile che a questo punto il Congresso decida di fare quel che non ha mai fatto: una legge federale sull’aborto che superi le leggi statali e la sentenza della Corte. La senatrice repubblicana Collins, tra quelle che hanno votato a favore dei giudici conservatori dopo aver ricevuto rassicurazioni mendaci su Roe contro Wade ha segnalato che sarebbe il caso di farlo. Per aggirare il filibuster, la regola che consente l’ostruzionismo a oltranza, servirebbero 60 voti in Senato, ovvero 10 in più di quanti non ne abbiano i democratici. Allo stato delle cose e con questo partito repubblicano, una legge federale è un miraggio. Molto dipenderà dalla società americana e da come reagirà nelle strade e nell’urna a novembre a una sentenza che non è in sintonia con la maggioranza - il 50% ritiene che l’aborto debba essere legale sempre e il 35% con alcune restrizioni, solo il 15% è contrario in assoluto.

Immagine in anteprima: frame video Washington Post

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