Il ruolo delle auto elettriche nella lotta al cambiamento climatico
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Quando il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha pubblicato l’ultimo rapporto sugli impatti, l'adattamento e le vulnerabilità al cambiamento climatico, la guerra in Ucraina era iniziata da quattro giorni.
È urgente “prendere misure immediate e più ambiziose per affrontare i rischi climatici. Le mezze misure non sono più possibili”, osservava in quei giorni il presidente Hoesung Lee. L'IPCC sottolineava una volta di più che la finestra per intervenire è molto limitata nel tempo e che l'emergenza climatica chiede di reinventare il modello di sviluppo attuale.
Di questo modello, sono venute alla luce fragilità e schizofrenia nel giro dell’ultimo mese. L’allarme degli scienziati è stato superato dall’attualità.
Ancora prima delle bombe nella notte del 24 febbraio, il presidente Vladimir Putin aveva deciso di impugnare l’arma commerciale del carburante e di farlo contro la stessa Unione Europea che il 2 febbraio aveva definito il gas e il nucleare fonti energetiche utili alla transizione ecologica etichettabili come “investimenti verdi”.
Mosca ha scelto un’arma che aveva a portata di mano per provare a indebolire Bruxelles. La Russia è infatti uno dei primi tre produttori di greggio al mondo, in lizza per il primo posto con Arabia Saudita e Stati Uniti: i ricavi del petrolio e del “gas naturale” nel 2021 rappresentavano il 45% del bilancio federale russo.
La conseguenza è stata l'inflazione, accentuata dalla questione del gas russo ma che era già iniziata in seguito al difficile reperimento di materie prime per via della pandemia e - si direbbe “ironia della sorte” se non fosse che sorte non è - dello stesso riscaldamento globale.
Dall'inizio della crisi, l’Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA) ha monitorato le implicazioni dell'invasione russa dell'Ucraina per i mercati energetici globali e ha elaborato due piani in 10 punti su come i paesi europei possono ridurre la loro dipendenza dalle forniture di gas russe entro il prossimo inverno e l'uso del petrolio entro quattro mesi e non allontanarsi dagli obiettivi climatici.
Fra i punti indicati, c’è quello di “rafforzare l'adozione di veicoli elettrici e più efficienti”. È quello a cui punta l'amministrazione del presidente americano Joe Biden, che ha avviato un piano da 3 miliardi di dollari per le batterie delle auto elettriche. Per quanto, ammette anche la IEA, “i colli di bottiglia della catena di approvvigionamento di semiconduttori, materie prime per veicoli, materiali per batterie e produzione, stanno mettendo a dura prova il mercato”.
Il New York Times già il 9 febbraio preannunciava difficoltà. Più recentemente, ha scritto che “al di là dell'interruzione immediata delle forniture, le case automobilistiche sono preoccupate per un ritiro dai mercati aperti che sono stati così positivi per gli affari” e menziona Katrin Kamin, esperta di commercio presso il Kiel Institute for the World Economy in Germania, che dice: "Forse dovremmo parlare meno della globalizzazione in crisi e più delle relazioni internazionali al loro punto più basso".
A fine aprile, il Guardian riportava una ricerca di “Compare the Market” secondo cui un anno alla guida di un'auto elettrica attualmente costa quasi 600 sterline in meno rispetto al suo equivalente a benzina, proprio per l’ascesa del prezzo del carburante a causa della guerra in Ucraina. "Oltre ad aiutare l'ambiente, i conducenti [che hanno fatto il passaggio all’elettrico] beneficiano di risparmi su carburante, assicurazioni e tasse", diceva Alex Hasty, direttore di Compare the Market.
Se da un lato la guerra potrebbe portare a un'accelerazione della transizione ecologica, e perciò anche a un rinnovato interesse verso le auto elettriche (allo stato attuale molto ecologiche, sebbene con alcune criticità da superare, si legge in un'analisi del New York Times), dall'altro potrebbe addirittura rallentare il processo come dimostra la corsa dei vari governi (compresa l’Italia) a riprendere in considerazione fonti fossili in dismissione come il carbone e a diversificare i fornitori di combustibili fossili, rivolgendosi perché no all'Arabia Saudita con la richiesta di intensificare produzione di petrolio.
Tuttavia, un segnale importante è arrivato dal voto di mercoledì 11 maggio in Commissione Ambiente del Parlamento europeo sugli standard di anidride carbonica (CO2) per automobili e camion di nuova produzione. Gli eurodeputati hanno votato a favore del percorso che dovrebbe portare a una mobilità stradale a emissioni zero nel 2035. Le misure proposte includono una metodologia comune per valutare l'intero ciclo di vita delle emissioni, la riduzione graduale del tetto all'ecoinnovazione, e la rimozione del meccanismo di incentivazione per i veicoli a zero e basse emissioni (in quanto non risponde più alla sua funzione originaria).
Inoltre, gli europarlamentari hanno chiesto una relazione della Commissione sui progressi fatti entro la fine del 2025 e successivamente su base annuale, ma anche un’altra relazione entro la fine del 2023 che specifichi in dettaglio la necessità di finanziamenti mirati per garantire una transizione giusta nel settore automobilistico.
L’impatto delle auto elettriche sull’ambiente
Molto verdi, sebbene migliorabili
Una diffusione sempre più rapida, ma attenzione alla guerra
Il senso degli italiani per le auto elettriche
La strada verso il 2035
Ma ci servono davvero altre auto?
L’impatto delle auto elettriche sull’ambiente
In un’analisi dei pro e dei contro dei veicoli elettrici, nel 2019 Carbon Brief faceva notare che:
- I veicoli elettrici sono responsabili di emissioni notevolmente inferiori nel corso della loro vita rispetto ai veicoli convenzionali (con motore a combustione interna) in tutta l’Europa nel suo insieme.
- Nei paesi con generazione di elettricità ad alta intensità di carbone, i vantaggi dei veicoli elettrici erano minori.
- Tuttavia, via via che i paesi decarbonizzano la produzione di elettricità per raggiungere i loro obiettivi climatici, le emissioni diminuiranno per i veicoli elettrici esistenti e le emissioni di produzione diminuiranno per quelli nuovi.
- I confronti tra veicoli elettrici e veicoli convenzionali sono comunque complessi. Dipendono dalla dimensione del veicolo, dall'accuratezza delle stime di consumo di carburante, dal modo in cui vengono calcolate le emissioni legate alla produzione di elettricità, dai modelli di guida ipotizzati e persino dalle condizioni meteorologiche nelle regioni in cui vengono utilizzati i veicoli. Non esiste una stima unica che si applica ovunque.
Fatte salve queste premesse, si possono fare alcune valutazioni. Rispetto alle altre fonti che possono alimentare un’automobile, l’elettricità se utilizzata in una macchina a batteria, ha un rendimento molto alto. In un’auto endotermica, circa un 70% dell’energia in ingresso viene dissipata in calore e molti componenti servono proprio per raffreddare il motore.
“Il grande vantaggio delle auto elettriche è che sono circa tre volte più efficienti delle auto tradizionali. Il che vuol dire che per percorrere la stessa distanza richiedono un terzo dell’energia complessiva e dunque contribuiscono a tagliare la domanda primaria di energia necessaria per alimentare il settore trasporti, importante, oggi più che mai, per ridurre la nostra dipendenza energetica da fonti fossili,” dice a Valigia Blu Carlo Tritto, policy officer della Federazione europea per i trasporti e l'ambiente (nota come Transport and Environment o T&E).
Tritto spiega che “tendenzialmente un’auto elettrica ha bisogno di meno energia per spostarsi, il che rappresenta il valore aggiunto sia dal punto di vista ambientale che economico”.
Ma l’idea di base è soprattutto contribuire all’azione climatica e nell’immediato migliorare la qualità dell’aria che respiriamo. In secondo luogo, si potrebbero anche menzionare le minori fuoriuscite di liquidi (come olio, fluido di trasmissione e fluido del radiatore) sulla terraferma e di conseguenza nelle nostre acque.
Questo tipo di auto, dice Tritto, “non avendo il tubo di scappamento, non produce inquinanti locali dannosi per la salute, mentre le emissioni di CO2 associate al ciclo di produzione del veicolo e dell’elettricità che la alimenta diminuiscono all’aumentare della quota di energia rinnovabile che entra nei mix energetici”.
In Italia, il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ha realizzato una valutazione della dispersione in atmosfera e della ricaduta nel suolo di sostanze inquinanti a Torino, Milano, Bologna, Roma e Palermo nel 2025 e nel 2030. Nella valutazione si legge: “Dai risultati ottenuti si evince come, all’interno di uno scenario più ampio di ricambio del parco veicolare privato, la penetrazione di una percentuale di veicoli elettrici giochi un ruolo fondamentale nella riduzione delle concentrazioni degli inquinanti locali, in particolare di biossido di azoto (NO2)” (specialmente nei centri urbani).
Molto verdi, sebbene migliorabili
“Siamo in una fase di mercato precoce, dove ci si scontra ancora con dei problemi come l’infrastruttura di ricarica o il costo di acquisto, ma sono tutti problemi di un mercato appena nato e in costante evoluzione”, spiega Tritto.
Per quanto riguarda il costo d’acquisto, il recente studio commissionato da T&E a Bloomberg New Energy Finance restituisce dei segnali positivi. Infatti stima che la parità di costo di produzione, ovvero prima di tasse e incentivi, tra un veicolo elettrico e uno tradizionale sarà raggiunta intorno al 2026 per la gran parte dei segmenti. I segmenti con veicoli più grandi, come ad esempio quello dei furgoni, potrebbero raggiungere la parità di costo di produzione già nel 2025, mentre per le auto più piccole, appartenenti al segmento B, questo dovrebbe avvenire intorno al 2027.
Per quanto riguarda le infrastrutture invece, ora come ora sono un punto cardine e rappresentano una politica abilitante fondamentale. “A livello nazionale, il Governo e gli enti locali dovrebbero collaborare per investire in modo massiccio per realizzare una rete che sia di potenza sulle principali arterie ma allo stesso tempo capillare sul territorio”, continua Tritto. In questo senso, la Commissione Europea, all’interno del Fit for 55, ha proposto la revisione della direttiva sui l'infrastrutturazione dei combustibili alternativi, introducendo dei requisiti minimi per le stazioni di ricarica in ogni Stato membro.
Secondo i dati dell'Associazione europea dei produttori di automobili (ACEA), c'è una grave mancanza di punti di ricarica elettrica lungo le reti stradali nella maggior parte degli Stati membri. Su 27, soltanto quattro paesi hanno più di 10 caricabatterie per ogni 100 km di strada, 18 ne hanno meno di 5 e 10 non ne hanno nemmeno uno. Qui si può trovare il più vicino. Secondo i dati dell’associazione Motus-E, nel 2021 i punti di ricarica in Italia sono aumentati del 35% rispetto al 2020: al 31 dicembre 2021 risultano installati 26.024 punti di ricarica e 13.233 infrastrutture (stazioni o colonnine) in 10.503 luoghi accessibili al pubblico. L’Italia, inoltre, ha più punti di ricarica per veicolo elettrico circolante del Regno Unito, della Francia, della Germania e della Norvegia. “Siamo in ritardo sui veicoli, non sulle infrastrutture di ricarica pubbliche”, si legge nel report.
Anche se le auto elettriche vengono ricaricate principalmente a casa e al lavoro, sono necessari punti di ricarica pubblici. L’analisi della compagnia di caricatori Virta sostiene che “ci sono davvero abbastanza caricatori pubblici per tutti” per quanto un domani ne serviranno molti di più. “Nel 2014, una commissione nominata dall'Ue ha stabilito di puntare a un massimo di 10 veicoli elettrici per punto di ricarica pubblico in tutta Europa per garantire a tutti spazio sufficiente per ricaricare quando necessario. Nel 2021, il nostro rapporto attuale è di circa 7,5 veicoli elettrici per punto di ricarica pubblico e notiamo che la maggior parte dei paesi rientra già nelle raccomandazioni stabilite dall'Ue nel 2014”.
Si potrebbe allora considerare un’auto elettrica come molto di più di un mezzo di trasporto, proprio perché è una batteria. Lo suggerisce Vox: “Se fatta bene, l'integrazione dei veicoli elettrici nella società americana potrebbe aiutare a prevenire i blackout, stabilizzare la fatiscente rete elettrica degli Stati Uniti e rendere l'energia solare ed eolica fonti di energia più affidabili per più persone. Il primo passo è smettere di pensare ai veicoli elettrici come ad auto alimentate da batterie e vederle invece come batterie che si dà il caso si trovino all'interno delle auto”.
Veniamo alle criticità effettive, legate perlopiù alla produzione. Affinché ogni auto sulle nostre strade sia a emissioni zero nel 2050, la IEA ci dice che sarebbero necessari poco meno del doppio dell'attuale produzione mondiale annua di cobalto, il 75% della produzione mondiale di litio e almeno il 50% della produzione mondiale di rame. Sono materie prime la cui estrazione può causare delle ripercussioni sulle persone e sull’ambiente, vedi il cobalto nella Repubblica Dominicana del Congo, oppure l'impianto per la produzione del litio a San Salvador de Jujuy (in Argentina) nel 2018 ha usato 420 milioni di litri di acqua, l'equivalente di 168 piscine olimpioniche.
Un altro problema spesso menzionato è il riciclo. Ma, a seconda del materiale, i tassi di recupero possono arrivare al 95%. E, secondo una ricerca condotta dalla professoressa di ingegneria civile e ambientale all'Università della California, Alissa Kendall, i materiali riciclati potrebbero fornire più della metà del cobalto, del litio e del nichel nelle nuove batterie entro il 2040, man mano che i veicoli elettrici diventeranno più popolari. “Si tratta di una occasione imperdibile per l'Europa e per l’Italia che non vantano nel loro capitale naturale questi materiali ma che, investendo su una filiera del riciclo, potrebbero entrarne in possesso e così sviluppare la produzione interna”, spiega Tritto. Il buon esempio, a dimostrazione della fattibilità del processo, viene dal principale produttore europeo, la svedese NorthVolt, che ha recentemente prodotto la prima batteria riciclata.
Va inoltre ricordato che le auto elettriche richiedono una quantità di materie prime molto minore rispetto a quanto ne richiedono le auto tradizionali: 30 chili di materie prime (recuperabili) contro i 17.000 litri di combustibili fossili che bruciano irreversibilmente.
Il regolamento dell’Unione Europea sulle batterie dovrebbe garantirne la sostenibilità sociale e ambientale. Secondo la stessa ACEA, questo potrebbe invece aumentare il costo dei veicoli elettrici. L’UE ha difeso la propria posizione, sostenendo che i prezzi diminuiranno grazie all'economia di scala garantita dall'aumento della capacità di produzione (e della domanda) proprio grazie alle nuove politiche.
A dicembre 2021 T&E, insieme ad altre 40 ONG europee, ha inviato una lettera ai ministri all’Ambiente dei paesi UE per chiedere che i parametri in materia di sostenibilità e rispetto dei diritti umani, proposti dalla Commissione Europea per vendere batterie nel Mercato unico, siano adottati il prima possibile. T&E sostiene che “il settore, complice la transizione energetica verso le rinnovabili e la produzione di massa di veicoli elettrici, vedrà un autentico boom con l’apertura, entro il 2025, di almeno 38 gigafactory europee, con una capacità complessiva di 462 GWh, tale da alimentare 8 milioni di auto elettriche”, si legge nella lettera. “Nello stesso anno il valore complessivo dell’industria europea dell’accumulo, indotto compreso, dovrebbe superare i 250 miliardi di euro. L’adozione dei parametri proposti costituisce dunque una politica chiave per internalizzare la produzione delle batterie in Europa con relativi impatti economici ed occupazionali positivi, offrendo all’Unione Europea l’opportunità di diventare leader mondiale per la produzione di batterie sostenibili”.
Tra le soluzioni possibili, ci sono l’approvvigionamento a livello locale (il litio è relativamente abbondante e potrebbe essere generato ovunque a partire dall'acqua di mare o attraverso un processo noto come geothermal brine extraction), l’utilizzo di diverse chimiche di batterie, come quelle al litio-ferro-fosfato già ampiamente utilizzate, o ancora tramite il riciclo delle batterie delle auto alla fine della loro vita utile.
Passando all’approvvigionamento dell’energia, vero è che senza rinnovabili non si va da nessuna parte, eppure, anche con l’attuale mix energetico, le auto elettriche risultano già più sostenibili proprio perché tre volte più efficienti. T&E ha analizzato le emissioni lungo l’intero arco di vita di un veicolo: “Ragionando per assurdo, anche utilizzando il mix energetico polacco - fortemente carbonico - per alimentare l'auto elettrica, si taglierebbero comunque le emissioni complessive poiché, grazie alla maggiore efficienza del veicolo, c’è bisogno di un minor fabbisogno di energia”, dice Tritto.
In breve: quanto sono ecologici i veicoli elettrici? Allo stato attuale, l’auto elettrica a batteria è la miglior tecnologia a zero emissioni disponibile e alla luce di tutto ciò, anche le criticità, che pure esistono, appaiono superabili.
“Siamo in un periodo di evoluzione del mercato e delle tecnologie. I motori endotermici hanno avuto più di 150 anni per svilupparsi e arrivare al loro apice, mentre tutto il mondo dell'automobile elettrica si sta affacciando al mercato di massa solamente negli ultimi anni”, osserva Tritto.
Una diffusione sempre più rapida, ma attenzione alla guerra
Dopo l'entrata in vigore delle norme UE sulla CO2 delle automobili (il principale strumento regolatorio per decarbonizzare le auto in Europa), le auto elettriche sono entrate nel mercato di massa molto velocemente. In Europa, la quota delle vendite di veicoli elettrici è passata dal 3% nella prima metà del 2019 al 16% nella prima metà del 2021, portando a un calo senza precedenti delle emissioni di CO2 delle auto nuove del 18%, un importo equivalente alle emissioni totali delle auto della Slovenia.
L’entrata in vigore degli standard europei di CO2 per auto e furgoni nel biennio 2020-2021 ha di fatto stimolato un’importante accelerazione della diffusione della mobilità elettrica in Europa e in Italia, dove il market share è passato dal 0,9% nel 2019 al 9,3% nel 2021. Questo momentum positivo dovrebbe essere accompagnato da azioni decise per la diffusione delle infrastrutture sul territorio nazionale.
“Stiamo vivendo quel momento in cui il mercato di nicchia si trasforma e si affaccia al mercato di massa”, dice Tritto. “L’appeal di un'auto tradizionale man mano sta scemando a favore di quella elettrica, che è una nuova tecnologia capace di rispettare le prerogative delle nuove generazioni”. È questo il caso della Norvegia, dove le auto elettriche hanno preso il sopravvento già da tempo.
Secondo l’analisi di ACEA, le auto a propulsione alternativa hanno rappresentato quasi la metà (47,8%) del mercato automobilistico dell'UE da ottobre a dicembre 2021. La Francia ha registrato la crescita maggiore nella domanda (+36,2%), seguita da Italia (+34,9%) e Germania (+24,5%).
“Se la diffusione delle auto elettriche in Italia procede meno rapidamente che negli altri principali Stati membri europei, è perché mancano politiche coerenti e mirate a livello nazionale per un suo rapido sviluppo”, dice Tritto.
Il punto debole è ancora le guerra: secondo il New York Times, l’invasione dell’Ucraina potrebbe rallentare le vendite di auto elettriche perché il prezzo del nichel, un ingrediente essenziale nella maggior parte delle batterie, è salito alle stelle a causa del timore che le forniture russe possano essere tagliate.
Il senso degli italiani per le auto elettriche
Con 666 auto per mille abitanti, l’Italia ha il più alto tasso di motorizzazione d’Europa. Il settore dei trasporti nel nostro paese è responsabile di circa 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica (Mt CO2), in crescita di circa il 3-4% rispetto ai valori del 1990. Di questi, la gran parte deriva dal trasporto stradale (93%) e in particolar modo dalle auto (il 68% di quel 93%). In Europa, le automobili sono responsabili del 12% di tutte le emissioni di gas serra. Senza contare la pessima qualità dell’aria: in Italia, deteniamo il record nero di morti premature dovute all’inquinamento (nel 2019 erano 10,640 per il diossido di azoto NO2, secondo l’Agenzia europea dell'ambiente).
Eppure qualcosa sta cambiando: sempre più persone sono interessate ad acquistare un’auto elettrica come si evince dal 3° Osservatorio Mobilità e Sicurezza di Continental Italia.
L’Osservatorio sottolinea che l’Italia è ancora in ritardo, probabilmente perché “segmentata da fattori socio-demografici e culturali”. “Occorre educare”, ha commentato Alessandro De Martino, l’amministratore delegato di Continental Italia. “I dati emersi ci raccontano come i più favorevoli alla transizione siano i giovani, mentre le generazioni più adulte, che però hanno il maggiore potere d’acquisto, siano le più ostili al cambiamento”.
In effetti, l’analisi dell’immatricolato di dicembre 2021 pubblicata da Motus-E mostra che la quota di mercato dei veicoli elettrici plug-in (PEV, la somma di “battery electric vehicles, BEV, e plug-in hybrid electric vehicles, PHEV) ha raggiunto il valore record di 13,5%, complice un minimo storico con poco più di 87 mila auto vendute nello stesso mese. Le auto elettriche stanno quindi uscendo allo scoperto, il che rappresenta una vera e propria trasformazione dei trasporti.
Trasformazione giustificata se si guarda alla sentenza della Corte di Giustizia europea proprio del 12 maggio che ha dichiarato l'Italia inadempiente sia per il mancato rispetto ("sistematico e continuativo") del valore limite annuale fissato per il biossido d'azoto (NO2), sia per la mancata adozione (a partire dall'11 giugno 2011) delle misure che quel rispetto avrebbero dovuto garantire. Tra le zone citate dalla Corte ci sono Torino, Brescia, Milano, Bergamo, Genova, Roma e Firenze.
La strada verso il 2035
Con il settore dei trasporti tra i principali responsabili delle emissioni di CO2 a livello globale, sembra inevitabile che questo settore, insieme a tutti gli altri, si sposti verso tecnologie ed alimentazioni che siano a impatto zero.
Le auto elettriche “si sposano molto bene con la visione di lungo termine dell'Europa e dei vari Stati membri per decarbonizzare l'economia”, dice Tritto. Un altro vantaggio è che la tecnologia resta la stessa, ma l’elettricità che le alimenta sarà auspicabilmente sempre più pulita con l’aumentare della produzione rinnovabile.
Non è un caso che il pacchetto Fit for 55 - l’aggiornamento di regolamenti e direttive volti a tagliare le emissioni dei gas serra del 55% entro il 2030 per raggiungere la neutralità climatica nel 2050 - preveda che nel 2030 le case automobilistiche debbano ridurre le emissioni delle auto nuove del 55% e nel 2035 del 100%. “Il 2035 ha una spiegazione molto specifica: per raggiungere le zero emissioni nette al 2050 e tenendo conto che le auto in media hanno una vita di 15 anni, l’ultima auto con il motore non può che essere venduta nel 2035 al più tardi.”
Seguendo la proposta UE, in Italia i ministri della Transizione Ecologica, delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile e dello Sviluppo economico hanno da poco annunciato un phase-out nazionale per il 2035.
T&E auspica una maggiore ambizione durante questo decennio, necessaria per garantire che le case automobilistiche aumentino la produzione di veicoli a emissioni zero, riducendo i costi e generando un maggiore consenso dei consumatori, proprio come fece Henry Ford un secolo fa. Per riuscire a realizzare questo, sarebbe necessario rivedere al rialzo gli attuali target per il 2025 e 2030 e introdurre un ulteriore target intermedio al 2027. “Per evitare che lo sforzo del 100% emissioni zero per le nuove auto al 2035 si concentri tutto a ridosso del 2030, mettendo di fatto a rischio il raggiungimento dell’obiettivo,” dice Tritto. Se da un lato questo regolamento spronerà le case auto a portare sempre più modelli a zero emissioni sul mercato, dall’altro ci sarà bisogno che il governo adotti politiche nazionali più ambiziose per risolvere gli attuali ostacoli della transizione ai veicoli elettrici, così da velocizzarne l’adozione.
Ma ci servono davvero altre auto?
Il passo più grande è riuscire a vedere la sfida epocale che abbiamo davanti: ovvero la decarbonizzazione dell’economia e l'abbandono della dipendenza dai combustibili fossili. Tritto ricorda che “per il settore dei trasporti è relativamente più semplice decarbonizzare rispetto ai settori hard-to-abate, come l’acciaio, perché le soluzioni tecnologiche esistono già e sono scalabili”.
“La transizione ecologica va vista come un’opportunità, anziché come una minaccia all’economia. Adeguare la nostra economia e le sue industrie alle necessità ambientali e delle nuove generazioni è la sfida da affrontare. Bisogna rendersi conto che quella dell’automotive è una rivoluzione di mercato già in atto, anche negli altri paesi Europei e del mondo. L'Europa è stata il cuore pulsante del motore a scoppio, ma ora quel settore sta morendo quindi bisogna capire qual è la tecnologia più matura, pronta e competitiva sul mercato”, aggiunge il policy officer della Federazione europea per i trasporti e l'ambiente.
In Italia, il settore automobilistico valeva il 5,6% del Pil nel 2019, ovvero 93 miliardi di fatturato, e dava lavoro a 250.000 addetti. La transizione alle auto elettriche potrebbe permettere di rilanciare un’industria fortemente caratterizzata da aziende di componentistica nei prossimi anni. “Trasformare la forza lavoro del settore automotive verso l’ecosistema dell’auto elettrica (produzione di veicoli, filiera di produzione e riciclo delle batterie, infrastrutture di ricarica e impianti di rinnovabili) sarà fondamentale per cogliere le opportunità industriali dell’economia decarbonizzata di domani”.
Infine, in un mondo migliore le auto dovrebbero diminuire così come in consumi tout-court. Più realisticamente, ci servirà un sistema di trasporti più elastico che punti su tutti i pilastri della mobilità sostenibile: oltre a focalizzarsi sul pilastro Improve (che stimola l’adozione di tecnologie a zero emissioni), bisogna promuovere anche misure di Avoid e Shift (che riducano o spostino una porzione di fabbisogno di mobilità verso quella dolce, a piedi e in bicicletta, o verso il trasporto pubblico o ferroviario).
“Ridurre la domanda di trasporto è altrettanto necessario, così come passare dall’attuale modello di trasporti basato sulla proprietà dei veicoli verso un paradigma di MaaS, ovvero Mobility as a Service, dove le auto sono elettriche e condivise, dove si promuove l’uso del trasporto pubblico e della mobilità attiva”, conclude Tritto. “Così si affronterebbero i problemi dell’alto tasso di motorizzazione, della qualità dell’aria e della lotta al cambiamento climatico”.
Immagine in anteprima: Mariordo, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons