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‘L’Occidente deve capire che anche noi, tra chi è rimasto e chi è partito, siamo in qualche modo delle vittime’: intervista alla giornalista russa Zoja Svetova (Novaja Gazeta)

6 Maggio 2022 10 min lettura

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‘L’Occidente deve capire che anche noi, tra chi è rimasto e chi è partito, siamo in qualche modo delle vittime’: intervista alla giornalista russa Zoja Svetova (Novaja Gazeta)

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di Helena Savoldelli (Redazione Gariwo)

Zoja Svetova è una giornalista, scrittrice e attivista che da anni si occupa di diritti umani. In particolare, ha seguito dal campo il conflitto in Cecenia e ha lavorato per il riconoscimento dei diritti dei detenuti in Russia, molti dei quali per motivi politici, visitandoli nelle carceri. Nata nella Mosca di fine anni ’50, figlia di dissidenti e prigionieri politici, nipote del primo preside della facoltà di Storia di Mosca, Grigorji Friedland, fatto fucilare da Stalin nel 1937, l'impegno civile e personale di Zoja Svetova sembra stato deciso il giorno della sua nascita.

Nel 2018 è stata insignita del Magnitsky Human Rights Award (dal nome dell'avvocato russo Sergei Magnitsky, assassinato sotto la custodia della polizia russa dopo aver denunciato un massiccio schema di corruzione del governo) e recentemente ha ricevuto la Legion d’Honneur francese.

L’abbiamo intervistata nell’ambito della cerimonia al Giardino dei Giusti di Milano per la Giornata della libertà di stampa, a cui è intervenuta dopo un lungo viaggio da Mosca.

Lei ha concentrato la sua attività giornalistica e il suo impegno civile sul tema dei diritti umani. Vede un futuro per il giornalismo indipendente in Russia? 

Oggi non possiamo parlare di giornalismo in Russia così come generalmente lo concepiamo. Tutti i media liberi e indipendenti sono stati chiusi o bloccati, etichettati come agenti stranieri: un processo di censura che si è intensificato negli ultimi tre, quattro anni. Poco a poco, il potere russo ha sgretolato l’informazione indipendente, è la morte dei media.

Due mesi dopo l’inizio di quella che noi che viviamo in Russia dobbiamo chiamare operazione speciale, i media indipendenti che erano rimasti sono stati distrutti velocemente.

Possiamo però pensare, ipoteticamente, a quello che potrebbe essere il futuro di questi media in Russia: io sono un’ottimista e voglio credere che certamente ci sarà un avvenire per il giornalismo indipendente.

Al momento, quello che possiamo dire con certezza è che ci sono giornalisti indipendenti ma non si trovano più nel paese, molti di loro hanno lasciato la Russia in questi ultimi mesi.

Si tratta di un’emigrazione forzata e la sua portata è tale che io la definisco un esodo.

Molti giornalisti indipendenti che sono partiti stanno continuando la loro attività soprattutto su YouTube o su testate con sede estera e spesso sotto pseudonimo.

Qual è la situazione degli attivisti e giornalisti che si occupano di diritti umani?

Per quello che riguarda le violazioni massive dei diritti umani, in Russia le persone che osano protestare contro l’operazione speciale vengono fermate, detenute in prigione o nelle caserme per giorni: dieci, venti, un mese. Vengono accusate di aver diffuso notizie false e rischiano fino a 15 anni di prigione secondo la nuova legge sulle fake news firmata lo scorso 4 marzo. Questa norma è concretamente un attacco alla libertà di espressione su vasta scala, perché non riguarda solo i professionisti dell’informazione, la libertà di stampa appunto, ma colpisce tutti i cittadini russi o non russi che non sono d’accordo, che non appoggiano l’operazione speciale. Fanno tutti parte di un grande gruppo a rischio. Ci sono già decine di persone in carcere per questo.

Un esempio è quello che sta accadendo a Vladimir Kara-Murza, un giornalista di origine russa con doppia cittadinanza - russa e inglese - che viveva tra Mosca e New York. Ha provato a farsi eleggere deputato e voleva persino presentarsi alle elezioni presidenziali, alle quali non ha potuto accedere per via della doppia nazionalità. Si è speso molto, pubblicamente, per la legge Magnitsky, che è stata votata negli Stati Uniti e in diversi Paesi europei (la legge statunitense ha la finalità di sanzionare i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e di atti di corruzione ovunque nel mondo, nel 2016 il Global Magnitsky Act l’ha estesa ad altri Paesi, ndr). Ha contribuito con un ruolo di primo piano alla sua diffusione in Europa, insieme all’amico Boris Nemcov (ndr leader dell'opposizione ucciso nel 2015 sul Ponte Bol'šoj Moskvoreckij davanti al Cremlino)

Successivamente, Kara-Murza ha subito due tentativi di avvelenamento in Russia, falliti entrambi. Si pensa - lui stesso lo dichiara - che sia stato a causa della sua attività in favore della legge Magnitsky.

Due settimane fa, è rientrato a Mosca dagli Stati Uniti ed è stato fermato con un'accusa poco credibile, di aver “violato la traiettoria” fuori dalla sua abitazione. Le autorità russe sostengono che, alla vista dei poliziotti che si avvicinavano, Kara-Murza avrebbe cercato di allontanarsi in un’altra direzione. È stato detenuto per 10 giorni e, due giorni dopo essere stato rilasciato, ha ricevuto una nuova accusa di violazione della legge sulle fake news per aver chiamato l’operazione speciale “guerra” durante un discorso pubblico negli Usa. Ora è in prigione a Mosca.

Si tratta di un esempio molto calzante anche in ragione del fatto che Vladimir Kara-Murza è molto conosciuto sia in Occidente, sia in Russia dall’intellighenzia e dai servizi segreti; precedentemente, chi veniva incriminato attraverso la legge sulle fake era qualcuno poco conosciuto, persone di provincia, deputati municipali…

Lo scopo di tutto questo è semplicemente quello di fare paura alle persone, perché non protestino contro l’operazione speciale, non scendano in piazza, non pubblichino sui social media.

Immagino che questa domanda gliel’abbiano posta in molti… non ha paura?

Sì ho paura. Tuttavia, ho 63 anni e, anche rispetto a questo, ho vissuto diverse fasi. Inizialmente avevo paura, cinque anni fa ho subito una perquisizione nel mio appartamento perché lavoravo per un sito che era finanziato da Mikhail Khodorkovsky. Cercavano soldi di Khodorkovsky che ovviamente non avevo. Inoltre, ho lavorato otto anni nelle prigioni, visitando i detenuti; in Russia è in vigore una legge per la quale la società civile può entrare nelle prigioni a verificare la condizione dei diritti dei prigionieri ed io facevo parte della commissione che se ne occupava.

Mi sono occupata molto degli ucraini detenuti in Russia dopo il 2014. Ho lavorato al rapporto sulla morte di Sergej Magnitskij nel 2009 e ho lavorato sui casi di persone accusate di tradimento di Stato: tutti temi molto sensibili per il potere. Ci sono molte falsificazioni attorno a questi casi e io ne ho parlato. Visitavo le prigioni e scrivevo articoli sulle violazioni dei diritti dei prigionieri; detenuti politici, ucraini che poi sono stati scambiati con i russi in Ucraina.

Un caso esemplare è quello del regista ucraino Oleg Sentsov, accusato di terrorismo pur non avendo commesso un atto terroristico. Io sono andata molte volte a trovarlo in prigione e ho cercato di farlo liberare. Ho incontrato il presidente Macron in Russia per chiedergli di aiutare la liberazione di Sentsov. È stato rilasciato nel 2019, scambiato, insieme ad altri prigionieri ucraini, con dei russi che si trovavano in Ucraina.

Ci racconta come è avvenuta la sua perquisizione?

È durata circa 10 ore. Non hanno trovato nulla di interessante ma mi hanno spaventata. In seguito, non sono stata mai interrogata. Mi hanno preso l’iPad, qualche carta di credito, niente di importante… È stata solo un’azione per fare paura agli altri, perché non lavorassero con Khodorkovsky o non aiutassero i prigionieri politici. È stato un segnale.

La mia fu una delle prime perquisizioni a casa di un giornalista e ho portato il caso di fronte alla Corte di Strasburgo per la violazione dei miei diritti di giornalista. Ho molte chance di essere considerata vittima di violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articolo sulla libertà d’informazione) ma penso si tratterà solo di una ricompensa morale. La Russia non pagherà nulla perché è uscita dal Consiglio d’Europa. La perquisizione è avvenuta cinque anni fa, il 28 febbraio. L’anniversario ha coinciso con l’inizio dell’operazione in Ucraina.

Attualmente, i miei quattro figli sono andati via dalla Russia: tre sono giornalisti, uno è caporedattore di una televisione indipendente che è stata chiusa e ha rischiato di essere incriminato tramite la legge contro le fake.

Io sono rimasta sola, mio marito è mancato un anno e mezzo fa. Ho avuto paura. Potevo lasciare la Russia con i miei figli, come stanno facendo in molti (giovani che non vogliono andare in guerra, businessman, informatici). Poi, però, mi sono detta: “Io non voglio avere paura, voglio restare e continuare la mia attività”.

Ho lavorato tanti anni per Novaja Gazeta come libera professionista (Zoja Svetova e Anna Politkovskaja hanno lavorato insieme, ndr), e il 1 marzo 2022 ne sono diventata a tutti gli effetti corrispondente, prima che decidesse di sospendere le pubblicazioni.

Concretamente come sta lavorando dopo lo stop di Novaja Gazeta?

Sto lavorando ad un podcast. È un mezzo che mi piace molto. Il soggetto è la cronaca dell’esodo moscovita. Mi sono recata in Georgia e ho intervistato tre persone: un giovane e intelligente attivista politico di sedici anni che ha lasciato la Russia per paura di essere fermato e messo in prigione, la giornalista indipendente Anna Mongayt, che se n’è andata dal paese con tutta la famiglia per lo stesso timore, l’attrice russa Mariya Shalayeva, che è stata arrestata il 27 febbraio con suo figlio di sedici anni mentre stava posando dei fiori dove è stato ucciso Boris Nemcov, con l’accusa di aver “manifestato”. Essendo un’attrice molto conosciuta in Russia, le è stato intimato di non proseguire la sua attività da attivista pena l’impossibilità di proseguire la sua professione.
Shalayeva ha lasciato quindi il paese, anche in ragione del fatto che il figlio potrebbe essere reclutato forzatamente nell’esercito.

Considero molto importante raccontare queste storie, ho voluto parlare delle esperienze delle persone, di ciò che pensano…

Nel podcast pongo poi delle domande: qual è la differenza tra i russi che sono rimasti e coloro che se ne sono andati? Perché sui social media o nelle conversazioni tra le persone stiamo vedendo la nascita di una discordia tra queste due parti?

Le persone provano sentimenti di rabbia, chi è rimasto considera un traditore chi se n’è andato: “Voi siete partiti e vivete in sicurezza, noi rimaniamo qui a portare sulle spalle la responsabilità di quello che sta succedendo in Ucraina, a rischiare di essere fermati per la strada".

Di fronte a tutto questo, io voglio mostrare che siamo tutti parte della stessa Russia, divisa in due parti ma la stessa.

C’è una cosa che voglio assolutamente dire: i russi sono i russi, non sono il governo russo. Sto vedendo purtroppo questa assimilazione errata, in Francia, in Georgia… Si sta sviluppando una russofobia per la quale persino i bambini russi nelle scuole vengono isolati. Noi russi che non siamo d’accordo con il governo siamo forse, in qualche modo, responsabili di qualcosa, però non siamo responsabili di quello che fa il potere che ci governa.
Noi russi ci vergogniamo molto, ci sentiamo responsabili, colpevoli verso gli ucraini che amiamo. Sappiamo che la nostra situazione è diversa da quella degli ucraini, non siamo così in pericolo, non ci troviamo fra la vita e la morte ma tra la prigione e la libertà. Comprendiamo bene che c’è una differenza.

Quello che, tuttavia, l’Occidente dovrebbe capire è che anche noi, tra chi è rimasto e chi è partito, siamo in qualche modo delle vittime. Le persone hanno abbandonato le proprie famiglie, hanno visto la propria vita cambiare, molti hanno bisogno di assistenza psicologica, ai bambini nelle scuole vengono messe delle uniformi che imitano quelle militari (alcuni genitori sono d’accordo, ma molti no). So di molti insegnanti che hanno lasciato la scuola per non essere costretti a raccontare menzogne ai propri studenti, a riscrivere la Storia (non solo gli avvenimenti recenti ma anche quelli passati vengono riformulati).

È tutto molto tragico e nessuno sa quando finirà.

Molti giovani che si sono trasferiti in Georgia mantengono il loro lavoro a Mosca a distanza perché lì non c’è lavoro (30mila persone hanno varcato la frontiera della Georgia). Alcuni sono rientrati in Russia, accettano di lavorare e restare in casa, senza esprimere nessuna opinione su quello che accade.

Quali sono i rapporti tra i russi e gli ucraini che vivono in Russia?

Undici milioni di russi hanno dei familiari in Ucraina. Mia madre era nata a Kharkov. Ci sono moltissimi russi che ogni giorno parlano al telefono con i propri familiari in Ucraina…

Per gli ucraini è difficile fare la distinzione tra i russi e il governo russo, ci detestano e noi li comprendiamo. Alcuni miei amici hanno delle seconde case in Ucraina, ci sono paesi lì in cui quasi tutte le case appartengono a dei russi, molti moscoviti hanno dato le loro abitazioni ai rifugiati ucraini perché possano ripararsi lì, cercano di far capire che non sono colpevoli, ma non è semplice.

Quello che accade in Ucraina è così tragico che le persone non riescono a vedere delle sfumature, per loro è tutto bianco o nero ed è comprensibile.

È difficile immaginare, al di là dei grandi avvenimenti, la tragedia profonda delle persone…

Rispetto alla Russia, dove posso vedere ciò che accade, osserviamo che i giornalisti, quelli che sono rimasti, stanno cominciando a parlare dei prigionieri, delle repressioni, degli orfani. I diritti umani che già prima erano violati ora lo sono ancora di più, perché non c’è più controllo, se non ci sono media il governo è più libero di agire.

Parlavamo prima di Vladimir Kara-Murza. Uno dei suoi avvocati si è recato agli uffici di polizia per incontrarlo e gli è stato negato. Io sono intervenuta facendo presente all’autorità preposta di Mosca che si trattava di una violazione dei diritti fondamentali del detenuto. La polizia ha poi dichiarato che nessun avvocato si è recato lì, “non lo hanno visto”, anche se c’è una foto che testimonia che c'era.

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Se ci fossero stati dei giornalisti indipendenti sul posto, la polizia forse non avrebbe potuto fare questa affermazione. Ecco perché dico che senza i media i diritti civili non sono più garantiti. È un piccolo esempio ma significa molto.

Come potremo invertire questo circolo vizioso? Quale meccanismo invertirà la rotta? Non possiamo saperlo.

Zoja Svetova è autrice per Castelvecchi Editore di Gli innocenti saranno colpevoli. Appunti di un'idealista. La giustizia ingiusta nella Russia di Putin (2019).

(Immagine anteprima via Gariwo)

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