Vale davvero la pena parlare così tanto di tetto al contante? Una guida al dibattito
7 min letturaIl 21 febbraio la Camera ha approvato in prima lettura il decreto “Milleproroghe”, che ora passerà all’esame del Senato. Tra le altre cose, il provvedimento contiene alcune novità rispetto al testo varato alla fine del 2021 dal Consiglio dei ministri. Una modifica in particolare ha scosso l’equilibrio interno alla maggioranza di governo.
Lo scorso 16 febbraio in Commissione Bilancio è stato infatti approvato, contro il parere dello stesso esecutivo, un emendamento per posticipare al 1° gennaio 2023 l’entrata in vigore del tetto dell’uso del contante a mille euro. Salvo nuove sorprese, per questo 2022 il limite rimarrà dunque fissato a 2 mila euro.
La proroga è passata per un solo voto (39 favorevoli e 38 contrari), grazie alla posizione compatta dei partiti di centrodestra, compreso Fratelli d’Italia, che è all’opposizione. L’emendamento era a prima firma proprio di un esponente di Fdi, Paolo Trancassini, e la stessa presidente di Fdi Giorgia Meloni ha commentato il voto, dicendosi «contenta» quando «il centrodestra fa il centrodestra». Anche il leader della Lega Matteo Salvini ha rivendicato il provvedimento come una «vittoria» del suo partito.
Al di là dell’attuale dinamica interna al governo, da oltre vent’anni in Italia si discute del tetto al contante. E in questo arco di tempo il suo valore è stato cambiato molte volte, sia al rialzo che al ribasso, con motivazioni diametralmente opposte tra loro. In breve: secondo alcuni, il tetto al contante limita i consumi ed è addirittura dannoso, mentre secondo altri può essere un utile strumento di contrasto all’evasione fiscale, che in Italia, ricordiamo, si aggira intorno ai 106 miliardi di euro.
Ma che cosa dicono gli studi su questa misura? È davvero sensato come provvedimento per limitare gli illeciti oppure no? Abbiamo cercato di fare un po’ di ordine su un tema che periodicamente diventa oggetto di propaganda politica.
L’altalena del tetto al contante
Prima di addentrarci nei pro e i contro ai limiti all’uso del contante, ricostruiamo brevemente quanto è accaduto negli ultimi vent’anni, facendo un salto indietro nel tempo al 2002.
Come ha ricostruito un recente dossier del Senato, all’epoca il secondo governo Berlusconi aveva alzato il tetto del contante a 12.500 euro, dai precedenti 10.329 euro (la conversione in euro dei 20 milioni di lire di limite fissato nel 1991). Da quella decisione ne sono susseguite altre, prese da esecutivi diversi, in una vera e propria altalena di provvedimenti.
Nel 2007 il secondo governo Prodi decise di abbassare il tetto al contante a 5 mila euro, poi rialzato a 12.500 euro pochi mesi dopo, nel 2008, dal quarto governo Berlusconi. Tra il 2010 e il 2011 lo stesso esecutivo, guidato dall’attuale leader di Forza Italia, ha prima riportato il limite alla soglia decisa dal secondo governo Prodi, per poi abbassarla ancora a 2.500 euro. Con il decreto “Salva-Italia”, il successivo governo tecnico di Mario Monti scese ancora, portando il tetto a mille euro. Questa soglia è rimasta in vigore fino alla fine del 2015, quando la legge di Stabilità per il 2016 – approvata con il governo Renzi – alzò il tetto all’uso del contante a 3 mila euro.
Nel 2019, il decreto “Fiscale” approvato dal secondo governo Conte – sostenuto da Movimento 5 stelle, Partito democratico, Italia viva e Liberi e Uguali – è intervenuto per l’ennesima volta sul tema. Fino alla fine del 2021 il tetto veniva abbassato a 2 mila euro e a partire da gennaio 2022 a mille euro. Proprio quest’ultimo intervento è stato ora posticipato con il decreto “Milleproroghe” al prossimo anno, lasciando in vigore il limite dei 2 mila euro.
Ricapitolando: negli ultimi vent’anni le modifiche al tetto dell’uso del contante sono state almeno nove, con giustificazioni diverse usate dai vari governi intervenuti sul tema. Ma anche all’interno dell’Unione Europea il quadro è parecchio eterogeneo.
Una misura non così diffusa
Per sapere quali sono le norme in vigore nei 27 Stati membri dell’Ue (più Regno Unito, Norvegia e Islanda) sull’uso del contante, possiamo utilizzare i dati raccolti dall’European consumer centres network (Ecc-Net), un organismo creato dalla Commissione europea nel 2005 per fornire assistenza ai consumatori. Secondo le rilevazioni più aggiornate dell’Ecc-Net, all’inizio dello scorso anno una minoranza dei paesi europei aveva un qualche limite all’uso del contante: 12 nazioni su 30.
Tra queste c’era l’Italia, insieme ad altri paesi del Sud Europa, come Portogallo, Spagna, Francia e Grecia, con limiti in linea con quelli fissati di recente per il nostro paese. Anche alcuni paesi dell’Est, come Polonia e Repubblica Ceca, hanno un tetto all’uso del contante, ma con cifre superiori ai 10 mila euro.
Come abbiamo anticipato, la maggioranza dei paesi europei non pone però un limite all’uso del contante. Gli esempi più citati sono quelli dell’Austria, del Regno Unito, dei Paesi Bassi e della Germania, dove le spese fatte in contanti oltre i 10 mila euro devono essere soltanto accompagnate da documenti che attestino le generalità dell’acquirente.
Il fatto che il tetto al contante non sia così diffuso in Europa viene spesso utilizzato da chi si oppone a questa misura, considerata non decisiva – se non addirittura inutile – nel contrasto all’evasione fiscale. «A Berlino non hanno limiti e vantano un’evasione inferiore a quella italiana», ha per esempio scritto di recente su Facebook Salvini, per celebrare le novità del decreto “Milleproroghe”. In effetti, secondo stime recenti sull’evasione fiscale, la Germania – ma anche altri paesi senza un tetto al contante – ha contribuenti più virtuosi di quelli italiani.
In questa direzione sembrava andare anche la legge di Stabilità per il 2016, quella con cui il governo Renzi alzò il tetto del contante a 3 mila euro. «L’innalzamento della soglia – si legge nella relazione illustrativa al testo – a fronte di studi che escludono un indice di correlazione diretta tra utilizzo del contante ed evasione fiscale, assolve all’esigenza di garantire maggior fluidità nelle transazioni effettuate quotidianamente per il soddisfacimento di bisogni di stretto consumo, oltre che per allineare la soglia prevista dall’ordinamento italiano alle scelte degli altri Stati membri, diretti competitors dell'Italia, tendenzialmente attestati su politiche meno restrittive».
Dunque, l’ultima volta che il tetto al contante è stato alzato il confronto con gli altri paesi europei è servito proprio come giustificazione a questa scelta. Nel 2019, quando il secondo governo Conte ha invece deciso di dare un nuovo giro di vite, l’obiettivo era invece quello di contrastare l’evasione e di incentivare i pagamenti digitali.
In quel caso la decisione non era stata vista di buon occhio dalla Banca centrale europea (Bce), che aveva commentato il provvedimento del governo italiano in una lettera inviata ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Elisabetta Casellati, e al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, dalla vicepresidente del Consiglio di Vigilanza dell’istituto di Francoforte, Yves Mersch.
Tra le altre cose, la Bce aveva criticato il secondo governo Conte per una questione di metodo (sul non essere stata informata in tempo della decisione di abbassare il tetto al contante), sottolineando soprattutto la necessità di dimostrare in maniera più chiara la reale efficacia del provvedimento nel contrastare l’evasione e la necessità di proteggere il pagamento in contanti per quelle fasce della popolazione con limitato accesso a internet e ai pagamenti digitali.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato nel 2021 con risorse europee per aiutare la ripresa post-pandemica dell’economia italiana, ricorda (pag. 28) però come l’Unione europea nel 2019 abbia raccomandato all’Italia proprio di intervenire sui limiti al contante, abbassandoli.
Alcune evidenze dicono che però funziona
Come hanno evidenziato in passato alcuni economisti, negli anni sono comunque sempre stati pochi i dati a disposizione per valutare l’efficacia contro l’evasione fiscale del tetto al contante (una misura, tra l’altro, facilmente aggirabile per il pagamento di alcuni beni e servizi). Questo ha fatto aumentare il rischio che questo provvedimento venisse attaccato o sbandierato dai vari governi di turno, distogliendo energie e attenzioni dalle misure realmente incisive contro i comportamenti elusivi verso il fisco.
Qualcosa di recente sembra però essere cambiato sul fronte delle evidenze empiriche. Lo scorso ottobre la Banca d’Italia ha infatti pubblicato uno studio, realizzato da tre economisti della banca centrale italiana, proprio con l’obiettivo di quantificare quanto pesi il ruolo del contante nell’alimentare l’economia sommersa. Secondo i ricercatori, nonostante si sostenga da più parti che il tetto al contante limiti l’evasione, le evidenze empiriche a disposizione di questa affermazione sono oggi ancora poche.
Per colmare questo vuoto, i tre economisti della Banca d’Italia hanno così analizzato, con due modelli econometrici, i dati provenienti dalle province italiane, relative al periodo 2015-2017 e riguardanti, da un lato, le segnalazioni antiriciclaggio aggregate (S.ar.a) dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (Uif) della Banca d’Italia (ossia quelle sulle operazioni in contante presso gli sportelli bancari), e dall’altro lato le stime Istat sull’economia sommersa, con particolare attenzione alle sottodichiarazioni del fatturato delle imprese.
In base alle conclusioni dei ricercatori, che hanno cercato di isolare il contributo del fattore “tetto al contante” sull’evasione, una crescita dell’1 per cento delle transazioni fatte con i contanti può far aumentare tra lo 0,8 per cento e l’1,8 per cento il valore dell’economia sommersa. Più nello specifico, l’innalzamento del tetto del contante a 3 mila euro, introdotto nel 2016, avrebbe contribuito ad aumentare il valore delle transazioni in contanti non tracciate dal fisco.
Questo studio della Banca d’Italia è stato citato di recente su Facebook dal leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, a sostegno della sua posizione contro la proroga del decreto “Milleproroghe”. Ma questa ricerca va comunque presa con la dovuta cautela. Nelle conclusioni, gli stessi autori dello studio hanno indicato i limiti della loro analisi: «Mentre siamo consapevoli dei vari limiti che influenzano le nostre stime – nello specifico, la difficoltà di isolare tutti i fattori che incidono sulla propensione a evadere le tasse e il fatto che abbiamo dovuto classificare le province in base all’intensità del trattamente, quando il divieto sull’uso del contante è stato applicato a livello nazionale – queste evidenze indicano che limiti stringenti all’uso del contante sono uno strumento efficace nel contrastare l’evasione fiscale».
Riepilogando: schierarsi per partito preso a favore o contro il tetto al contante ha davvero poco senso, così come guardare a quanto fatto dagli altri paesi in Europa. I fattori che spingono i contribuenti a evadere il fisco sono parecchi e vanno contestualizzati da economia a economia. Alcune recenti evidenze, provenienti proprio dall’Italia, suggeriscono comunque che l’uso del contante possa incentivare l’economia sommersa. Ma, viceversa, l’introduzione di un tetto non sembra neppure essere una misura così decisiva nel contrasto all’evasione. Quella che sembra più consolidata, ancora una volta, è la tendenza dei governi italiani a intervenire ripetutamente su una materia, creando confusione e incertezze tra i cittadini.
Immagine in anteprima: Nic McPhee, CC BY-SA 2.0, via Flickr.com