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L’astrologia, i giornali e la nostra paura per il futuro

26 Dicembre 2021 9 min lettura

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L’astrologia, i giornali e la nostra paura per il futuro

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di Claudia Boscolo

L'attitudine a fornire distrazione di massa e l'incapacità di offrire letture approfondite del presente sono caratteristiche di lungo corso del giornalismo italiano. La copertura mediatica della pandemia ha spesso sconfinato nella tifoseria, come non ha mancato di evidenziare lo stesso presidente Mattarella. In generale vi si riscontra un elemento emotivo che soverchia quello della certezza, criterio che dovrebbe definire l'obiettivo della scrittura informativa. Fornire informazioni verificate è naturalmente un’operazione culturale complessa, che implica molteplici letture e controllo incrociato del materiale reso disponibile attraverso la stampa e Internet. Tuttavia, questa recrudescenza del contagio, complice la prossimità alla fatidica data del 31 dicembre, cioè il momento dell'anno in cui si tracciano bilanci e si accendono speranze per il futuro, ha offerto al giornalismo nostrano l'occasione per intorbidire ulteriormente le acque.

Le due maggiori testate nazionali, la Repubblica e il Corriere della Sera, nei giorni scorsi hanno dedicato due intere pagine a due figure piuttosto note dell'astrologia italiana. Il filo rosso che unisce le due conversazioni è sicuramente il futuro, o meglio, l'idea che possano esistere metodi previsionali su cui basare un’eventuale programmazione della nostra vita dopo la pandemia, guardando oltre, cioè guardando gli astri.

Nella prima intervista, uscita il 18 dicembre su la Repubblica, Marco Pesatori afferma che l’astrologia «servirà alla scienza del futuro, perché la sua essenza è la relazione tempo-vita, uno dei campi in cui sta lavorando la scienza di frontiera». Frase quanto mai sibillina, soprattutto perché non è chiaro il motivo per cui “la scienza” (presumibilmente le scienze dure) dovrebbe occuparsi di questa relazione, che semmai è oggetto di indagine delle scienze umane.

Nella seconda intervista, pubblicata il 21 dicembre sul Corriere della Sera, Marco Celada, astrologo milanese, racconta di aver intrapreso questa strada dopo la laurea in fisica cibernetica all’Università Statale di Milano. La relazione fra informatica e astrologia in effetti esiste, e si concretizza nella costruzione di database tramite i quali chiunque può creare grafici su cui basare le previsioni. Il più noto gruppo di lavoro che fonde le due aree è quello svizzero di Astrodienst, a oggi il più consultato sito di astrologia al mondo. Nell’articolo si afferma che Celada «aveva previsto la pandemia con sette anni di anticipo. Lo fece in un’intervista uscita nel 2013 su un quotidiano nazionale, firmata da tale Stefano Lorenzetto».

Questo tipo di affermazioni, unite al curriculum scientifico dell’astrologo e tese a conferire dignità scientifica all’astrologia, è particolarmente allarmante. È risaputo che da decenni gli scienziati forniscono dettagli all’opinione pubblica sul pericolo costituito dai virus e sul legame fra diffusione del contagio e sfruttamento dell’ambiente. Il bestseller internazionale Spillover di David Quammen sviluppa un’indagine dello stesso autore che risale al 2007. Ma dopo avere spiegato all’intervistatore la sua teoria della rivoluzione solare (un metodo divinatorio che consiste nel leggere la relazione fra i pianeti e gli altri elementi astrologici nel momento del ritorno del Sole nella posizione esatta del tema natale), l’intervistato sostiene convintamente di avere «studiato la biorisonanza, che fornisce informazioni sugli squilibri nei segnali elettromagnetici, all’origine delle malattie. Il corpo umano è fatto per il 70 per cento di acqua e per il 93 per cento costituito da molecole di tale liquido. L’astrologia le mantiene in ordine ed esse, attraverso la biorisonanza, a loro volta conservano in salute gli organi».

L’idea che l’astrologia mantenga in ordine le molecole e che una terapia come la biorisonanza (efficace o meno che sia) abbia un legame qualsiasi con le configurazioni astrali, calcolate peraltro in modo del tutto arbitrario, confina con la magia.

Ma che cos'è storicamente l'astrologia? Si tratta di uno dei più antichi metodi di divinazione, che si fa risalire ai sacerdoti caldei, ed è per lo più previsionale, ovvero una pratica di lettura del futuro basata sull'interpretazione del moto dei pianeti (i transiti) attraverso le varie porzioni del cielo (case, costellazioni, ecc.) organizzate secondo calcoli arbitrari, che quindi non intrattengono alcun rapporto, se non in certi casi nominale, con l’astronomia contemporanea. Nelle corti italiane del Rinascimento, gli astrologi intrattenevano relazioni con il potere, ricoprivano ruoli di medici di corte ed erano generalmente rispettati. Il pragmatismo politico rinascimentale nascondeva in realtà un lato oscuro, un ascolto non distratto ai consigli di queste personalità di corte che con la loro arte influenzavano decisioni private con serie ricadute politiche. Le trattazioni accademiche (ad esempio questo studio) sul tema sono ormai piuttosto corpose e si basano su scavi di archivio che rivelano biografie e rapporti intricati, una matassa di relazioni in cui le pratiche quotidiane dettate dalle teorie astrologiche si intrecciavano con il quadro più ampio dei rapporti sociali.

L'astrologia contemporanea si occupa soprattutto di descrivere la personalità del consultante (tema natale) e di informarlo circa il modo in cui saprà o non saprà affrontare determinate prove della vita. Si tratta dunque di un metodo narrativo, che ha affascinato gli psicologi del secolo scorso, per via del suo linguaggio simbolico e della sua proprietà, davvero unica, di circoscrivere in modo molto preciso emozioni legate alle sfere più importanti della vita: l'amore, la salute, il denaro, il lutto, questioni che da sempre sono al centro della sofferenza psicologica umana. Questa centralità degli argomenti trattati dall'astrologia la rendono, almeno nel mondo occidentale, insieme ai tarocchi il metodo divinatorio più amato da chi coltiva timori e al contempo desidera nutrire il proprio senso del magico, in breve da chi non disdegna l'irrazionalità.

Proprio per questa sua natura assieme mitica, esteticamente appagante e affabulatoria, l'astrologia contemporanea conserva un ruolo sociale che spesso valica i confini dell'intrattenimento. Questo limite invisibile fra ciò in cui è possibile credere per assecondare il desiderio molto intimo di proiettare sé stessi in un ipotetico futuro in cui tutto andrà bene, o immaginare modi in cui sfuggire alla cattiva sorte, e la sfera razionale, grigia della responsabilità individuale, è spesso varcato dai numerosi ciarlatani che traggono profitto dalle altrui debolezze e sofferenze.

Ecco dunque alcune parole chiave: futuro, previsione, magia. Si tratta senz'altro di parole che offrono una chiave di lettura piuttosto precisa del nostro presente. Ci sarebbe da chiedersi cosa ci dica del presente questa sete di prevedere il futuro. Ma il punto è che se la stampa nazionale è arrivata a sostenere pubblicamente che per uscire dalla pandemia è lecito affidarsi al pensiero magico, forse ha senso mettere in discussione la stampa nazionale, più che il pensiero magico, il quale come ogni pensiero è legittimo, ma deve avere chiaro qual è l'ambito in cui ha legittimità a operare, senza sostituirsi ad altri.

All'inizio della pandemia una delle frasi più ricorrenti era "ritorno alla normalità". Due anni più tardi è evidente l'impossibilità sia materiale sia, se vogliamo, morale, di tornare a quella che è stata per decenni la normalità, cioè alle pratiche tipiche dell'organizzazione della vita umana nell'epoca del tardo capitalismo. Di conseguenza, essendo venuta gradualmente a spegnersi la speranza nel ritorno alla vita di prima, nuovi discorsi iniziano a fare capolino dai media e attraverso la produzione culturale. Ma quali sono questi discorsi?

Innanzitutto, all'improvviso sono apparsi nelle librerie e sui servizi di streaming – la principale fonte di intrattenimento durante la prima fase pandemica – pubblicazioni, serie, film che riportano nel titolo parole chiave strettamente collegate a quelle già viste: antropocene, estinzione, apocalisse. Si tratta in realtà di termini consegnati alla cultura popolare da ambiti poco frequentati prima che il coronavirus calasse un'atmosfera cupa sul nostro habitat. Di colpo, il cittadino medio dell'era pandemica ha scoperto che le abitudini di quest'epoca hanno un impatto ambientale irreversibile e che tale impatto potrebbe essere collegato in qualche modo al diffondersi della massima epidemia dell'epoca contemporanea. Scoperta tardiva, come abbiamo visto, dato che gli scienziati da decenni ci avvisano dei pericoli insiti nel nostro stile di vita.

Si è sviluppato un dibattito acceso riguardo al predominio delle scienze dure sul diritto alla libertà individuale, il controllo imposto dallo Stato sulle decisioni dei cittadini, controllo che riguarda il corpo e quindi la biopolitica. Da tempo in televisione sono ricomparsi i filosofi, i cui argomenti – a volte in favore di una maggiore libertà concessa agli individui rispetto alle decisioni che pertengono il delicato campo del diritto alla salute, altre favorevoli all'introduzione di formule che tutelino maggiormente il bene comune – cozzano con gli imperativi economico-sociali del dovere di salvaguardare collettivamente i pilastri dell'organizzazione del sistema. Si tratta di questioni per nulla semplici, che travalicano la scelta di buonsenso di vaccinare sé stessi e i propri figli – decisione peraltro presa dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani.

Tuttavia, questioni di ordine più metafisico che riguardano la salvezza (del pianeta, dell'uomo) sono apparse contestualmente a quelle di ordine scientifico, più contingenti e immediate, rivolte alla salvaguardia dell'organizzazione socio-economica. Visto l’interesse diffuso per questi argomenti, si potrebbe affermare che se la scienza si occupa del qui e ora, non è possibile per l'uomo rinunciare al dopo, cioè a certe parole predominanti nel campo semantico del futuro: parole cupe come paura, morte, lutto, fine. Non vi è chi non abbia fatto esperienza di questi stati d'animo negli ultimi due anni. Il problema della salute mentale è stato ampiamente sottovalutato dai media generalisti, oppure trattato in modo inadeguato rispetto alla gravità del fenomeno.

Questo insieme di questioni – la paura per il destino del mondo, la preoccupazione per le circostanze individuali, una generica fiducia nella scienza unita a una altrettanto generica sfiducia nell'essere umano, il desiderio di tornare alla vita di prima insieme alla sensazione che questo "prima" sia definitivamente concluso – hanno creato un’atmosfera di diffuso millenarismo. Questo fenomeno a un livello più pop e meno tragico si era già avvertito nel 2012, quando il mondo occidentale, per quella tendenza carsica tipica di certe sottoculture contemporanee a boicottare la solidità borghese che emerge di tanto in tanto, si era abbandonato a fantasie apocalittiche dando credito a una peraltro pittoresca profezia Maya che prevedeva la fine del mondo il 21 dicembre di quell’anno. Nove anni fa però non avevamo ancora sperimentato la disperazione, la perdita del lavoro, la migrazione climatica, la generale ascesa delle destre e tutti i tratti caratteristici che riscontriamo nel presente. Era un'epoca in cui le conversazioni sulle profezie Maya potevano esercitare un certo fascino e in fondo rappresentavano un’occasione, per le pagine culturali del paese, di approfondire la conoscenza della società pre-colombiana dell’America.

Lo stesso non si può dire di oggi, epoca in cui il leggero e in fondo innocuo rituale collettivo delle previsioni astrologiche per l’anno nuovo assume una sfumatura sinistra, legata appunto alla paura della morte vera e non di quella immaginata, della fine concreta e non di quella profetizzata da antichi vaticini. Diviene in breve un rituale fondato sul bisogno di speranza per il futuro, specie considerato che la Chiesa Cattolica Romana – da sempre depositaria del concetto di speranza – vive un momento storico di crisi che appare difficilmente risolvibile nel breve periodo.

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In questo vuoto di senso, è facile che la confusione fra il ruolo della scienza e quello genericamente dell'irrazionale possa risultare indigesta. I devoti delle due posizioni perimetrano le rispettive aree di competenza dei due discorsi a indicare chiaramente che uno esclude l'altro, e che non si possa osservare scrupolosamente le indicazioni sanitarie a beneficio di sé stessi e degli altri e al contempo prendersi cura del proprio spirito o quanto meno aprire un canale alla propria pulsione immaginifica. Si tratta di un periodo storico in cui far passare attraverso i media discorsi che costituiscono vie di fuga dalle responsabilità individuali come alternative concrete o anche porre sullo stesso piano ciò che in nessun modo può essere paragonato implica una irresponsabilità di fondo, o persino una colpa, quella di confondere appositamente i livelli, di offrire pezze di appoggio al discorso antiscientifico, e alle mille obiezioni avanzate dai difensori di una non sempre ben precisata libertà nell'ottica di rafforzare la già caotica percezione comune rispetto ai protocolli sanitari.

Le dichiarazioni dei due astrologi, se piuttosto balzane e inoffensive in tempi di pace sociale, risultano urticanti in un'epoca in cui è necessario distinguere fra ciò che è riscontrabile – ovvero basato sull'osservazione di una realtà quantificabile – da ciò che invece è pura narrazione e in quanto tale, declinazione di immaginari. Il fatto che oggi si arrivi ad avvalorare sui quotidiani nazionali l’ipotesi di un fondamento scientifico di un'arte, l’astrologia, che è pura affabulazione, è grave e va denunciato con forza. La gravità consiste nel creare speranze laddove conta solo la capacità di attuare strategie di adattamento alle mutate condizioni ambientali e di fornire strumenti affidabili di lettura e interpretazione del presente, di creare nuovi paradigmi non solo per affrontare le emergenze ma per riorganizzare una società al collasso. Il compito dei media dovrebbe essere quello di divulgare notizie utili a interpretare un presente radicalmente trasformato dal comportamento umano, e non di alimentare l’escapismo travestendolo da scienza.

Immagine anteprima Orologio astronomico di Piazza San Marco, Venezia

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