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Vaccini e green pass: critica alle tesi del filosofo Agamben

8 Dicembre 2021 15 min lettura

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Vaccini e green pass: critica alle tesi del filosofo Agamben

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di Maurizio Mascitti

Negli ultimi mesi la gestione italiana dell’emergenza Coronavirus è stata l’oggetto di un acceso dibattito intellettuale. A partire dall’approvazione del green pass – avvenuta con il DPCM del 17 giugno 2021 – e a seguito della sua progressiva adozione per la regolamentazione delle attività fondamentali, una parte minoritaria ma crescente della società civile ha iniziato a manifestare la propria contrarietà nei confronti della certificazione verde. Tra tutti gli intellettuali cosiddetti “No green pass”, però, spicca sicuramente il nome del filosofo Giorgio Agamben. Chi segue assiduamente il dibattito sulla pandemia sa bene che Agamben rappresenta una voce fortemente critica sin dal febbraio 2020, quando il filosofo ha pubblicato sulla sua rubrica di Quodlibet un intervento – “L’invenzione di un’epidemia” – in cui si sosteneva che l’incipiente epidemia di SARS-Cov-2 fosse il «pretesto ideale» per ampliare «oltre ogni limite» i provvedimenti da stato di eccezione (che non va confuso con il semplice stato di emergenza, come spiega il filosofo). Da allora Agamben ha via via assunto posizioni sempre più estreme sulla gestione pandemica, e le sue tesi sono assurte a modello di riferimento intellettuale per i critici più feroci del green pass e della campagna di vaccinazione. Scopo del seguente articolo è proprio di mostrare cosa non va nelle osservazioni del filosofo romano, spiegando perché le sue argomentazioni non reggono da un punto di vista tecnico, prima ancora che filosofico. 

Sulla campagna di vaccinazione

Una parte consistente delle critiche di Agamben è rivolta alla presunta natura sperimentale dei vaccini anti-Covid. In un intervento su Quodlibet intitolato “Uomini e lemmings”, Agamben sostiene che:

…le industrie che li producono [hanno] dichiarato che non è possibile prevedere gli effetti dei vaccini a lungo termine, perché non è stato possibile rispettare le procedure previste, e che i test sulla genotossicità e cancerogenicità termineranno solo nell’ottobre del 2022. (Uomini e lemmings)

Tuttavia questa affermazione di Agamben, riproposta anche in altri interventi, contiene degli aspetti problematici. In primo luogo, asserire che le case farmaceutiche non hanno avuto il tempo di effettuare i test di genotossicità e di cancerogenicità è potenzialmente fuorviante. Scrivendo in questo modo, infatti, Agamben lascia intendere che la sicurezza dei vaccini è ancora una questione aperta; ma le cose non stanno così.

Innanzitutto, andrebbe fatto un discorso diverso per ogni vaccino. Si prenda il caso di Comirnaty, il vaccino di Pfizer-BioNTech. Le product information pubblicate dall’EMA riportano esplicitamente il tema della genotossicità e della cancerogenicità, spiegando che al riguardo non è stato effettuato alcun test. A prima vista quindi sembra che Agamben abbia ragione; tuttavia, il documento specifica subito dopo che se i test non sono stati effettuati è perché semplicemente dai componenti principali del vaccino, e cioè lipidi e RNA messaggero, non ci si aspetta effetti di genotossicità. E questo perché l’RNA messaggero inoculato rimane attivo nel citoplasma della cellula senza entrare nel nucleo, e senza interagire in alcun modo con il genoma umano. Lo stesso vale per il vaccino di AstraZeneca, sebbene in questo caso si tratti di un vaccino a vettore virale. Altro discorso andrebbe fatto per il vaccino di Moderna (Spikevax), il quale, avendo utilizzato una componente lipidica particolare (la SM-102), ha invece condotto dei test di genotossicità, ma non ha riportato rischi rilevanti per l’uomo (qui il fact-checking su tutta la vicenda); un fatto, questo, che Agamben non menziona nei suoi interventi.

Ad ogni modo, è semplicemente fuorviante suggerire che i vaccini siano ancora in fase di sperimentazione. I vaccini anti-Covid hanno infatti terminato tutte e tre le fasi di sperimentazione clinica sull’uomo, e sono stati approvati dall’EMA sotto forma di autorizzazione condizionata all'immissione in commercio (Conditional marketing authorisation, CMA). Si tratta di un'approvazione che consente all’Ue di accelerare i tempi di commercializzazione dei vaccini, ma solo se questi ultimi hanno soddisfatto rigorosi criteri di sicurezza, efficacia e qualità. La differenza principale della CMA rispetto all’approvazione standard è che nel primo caso l’EMA si serve di valutazioni cicliche che le consentono di cominciare a valutare i dati relativi ai medicinali o ai vaccini promettenti non appena vengono resi disponibili dalle aziende produttrici, anziché attendere la fine di tutte le fasi di sperimentazione; come invece avviene nel caso standard.

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In ogni caso, non sono i produttori di un farmaco che decidono quali dati presentare e quali no, ma sono gli enti regolatori che valutano e approvano se sono soddisfatte le loro condizioni per il tipo di approvazione (che per l’EMA sono: che il rapporto rischi/benefici del medicinale sia positivo; che il richiedente sia in grado di fornire dati completi dopo l'autorizzazione; che il medicinale soddisfi un bisogno medico non soddisfatto; che il beneficio dell'immediata disponibilità del medicinale per i pazienti sia maggiore del rischio inerente al fatto che sono ancora necessari dati aggiuntivi). Dopo l'approvazione dell'EMA sono le Agenzie nazionali (AIFA per l’Italia) che decidono se accettare le raccomandazioni dell'EMA o meno. Quindi si tratta di un processo di valutazione complesso che coinvolge una agenzia europea e una nazionale.

Agamben, però, non si limita a contestare la sicurezza dei vaccini. In un suo intervento alla seduta della Commissione Affari costituzionali al Senato, il filosofo ha dichiarato che è assolutamente inaccettabile che lo Stato sia «esentato da ogni responsabilità per i danni prodotti dai vaccini». Quest’ultima dichiarazione si riferisce alla norma sullo “scudo penale” per i danni da vaccino contenuta nel decreto legge 44/2021 del 01/04/2021, poi convertito in legge. Tuttavia, questa disposizione non esenta lo Stato da ogni responsabilità verso gli effetti avversi da vaccino – come sostiene Agamben –, ma esenta solo gli operatori sanitari incaricati dell’inoculazione del farmaco; a meno che non abbiano commesso errori durante la somministrazione (es. un dosaggio sbagliato). 

È necessario, infatti, smentire un luogo comune molto diffuso che Agamben sembra presupporre: non è vero che l’indennizzo per danni permanenti da vaccino si può richiedere solo se quest’ultimo è obbligatorio. Riguardo all’equo indennizzo, è vero che in Italia la legge n. 210 del 25 febbraio 1992 lo prevede per «chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica» (art. 1, comma 1). Tuttavia, una sentenza della Corte costituzionale (sent. n. 118/2020) – cui segue una seconda, sullo stesso argomento, della Cassazione (sent. n. 7354/2021) – ha dichiarato illegittima la disposizione appena citata nella parte in cui si prevede l’equo indennizzo solo per la vaccinazione obbligatoria. E questo per due motivi: 

  1. In una prospettiva di tutela di salute pubblica, «non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione: l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è semplicemente uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione» (3.3).
  2. Inoltre, la ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non riposa sull’adempimento dell’obbligo, bensì «sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale» (3.4).

In realtà, sull’argomento la Corte costituzionale si era espressa più volte anche prima della pandemia (sentenze n. 307/1990, n. 27/1998 e n. 423/2000), ribadendo di fatto un identico principio per altre vaccinazioni. Dunque, anche per la vaccinazione anti-Covid è possibile fare richiesta per l’equo indennizzo, qualora si riuscisse a dimostrare un nesso di causalità tra la somministrazione del farmaco e l’insorgenza di danni permanenti. Ciò significa che la tesi di Agamben è inesatta: non è vero che lo Stato, approvando la disposizione sullo scudo penale, «si è esonerato da ogni responsabilità in caso di morte o di lesione causata dai vaccini» (dall’intervento “Due nomi”).

Libertà individuali e discriminazione

Le critiche di Agamben alla vaccinazione di massa sono legate a doppio filo con le critiche al green pass (GP). Nell’intervento “Cittadini di seconda classe”, Agamben sostiene che la finalità del GP è proprio quella di discriminare una parte della popolazione, trasformandola in cittadini di seconda classe:

Come avviene ogni volta che si istaura un regime dispotico di emergenza e le garanzie costituzionali vengono sospese, il risultato è, come è avvenuto per gli ebrei sotto il fascismo, la discriminazione di una categoria di uomini, che diventano automaticamente cittadini di seconda classe. A questo mira la creazione del cosiddetto green pass. (Cittadini di seconda classe)

Il filosofo la definisce una discriminazione «secondo le convinzioni personali e non di una certezza scientifica» in virtù delle motivazioni (errate) che abbiamo visto nella prima sezione, e crede che questa rappresenti lo scopo ultimo del GP. Tuttavia in un intervento successivo Agamben, in parziale contraddizione, si spinge a dire che il vero obiettivo che i governi perseguono attraverso il GP è un controllo minuzioso e incondizionato su qualsiasi movimento dei cittadini, e più in generale sulla loro vita. Al riguardo Agamben evoca scenari piuttosto cupi:

Il cittadino non tesserato sarà, paradossalmente, più libero di colui che ne è munito e a protestare e a ribellarsi dovrebbe essere proprio la massa dei tesserati, che d’ora in poi saranno censiti, sorvegliati e controllati in una misura che non ha precedenti anche nei regimi più totalitari. (Tessera verde)

Ma in che modo il green pass dovrebbe fungere da anticamera di un regime totalitario? Se il timore di Agamben è verso una forma di controllo ex ante – e cioè che il rilascio del GP implica la cessione di dati sensibili all’autorità statale – non si capisce perché il GP desti maggiore preoccupazione di qualsiasi altro documento, o dell’accesso ai dati che concediamo tutti i giorni alle applicazioni più svariate – ad esempio a quelle di geolocalizzazione, visto che Agamben cita il tracciamento del movimento. Il certificato verde, in realtà, contiene informazioni piuttosto scarne: nome, cognome, data di nascita e data di vaccinazione con tipologia di vaccino (per il GP da vaccino); non si riesce davvero a capire in che modo uno strumento simile possa trasformarsi in una sorta di ‘schedatura’ dei cittadini. Invece, se Agamben considera il GP una forma di controllo ex post – che è poi l’interpretazione corretta – allora l’unico dibattito possibile è sulla legittimità di tale controllo. 

Leggi anche >> Cosa pensate del green pass? Argomenti pro, contro e dubbi su una delle misure più divisive contro il contagio. Ne abbiamo discusso con la nostra community

E infatti le due critiche di Agamben al GP sono entrambe di legittimità: la certificazione verde è uno strumento illegittimo, a detta del filosofo, perché sopprime le libertà individuali – in particolare quella di movimento – e perché genera un fenomeno di discriminazione a norma di legge, in analogia con ciò che accadeva sotto il regime fascista. Ora se è vero che sulle critiche di legittimità lo spazio di discussione è più ampio, è altrettanto vero che paragonare il GP alle leggi fasciste sulla razza è quantomeno un’estremizzazione indebita. E non importa se Agamben chiarisce che la sua è solo un’analogia giuridica. Innanzitutto perché il possesso del GP, almeno per recarsi al lavoro, non è vincolato al requisito della vaccinazione: si può ottenere un certificato verde temporaneo sottoponendosi a un tampone. Al contrario, nei regimi totalitari evocati da Agamben, non era possibile alcuna mediazione di questo tipo per le limitazioni imposte ai non ariani. In secondo luogo, come notano alcuni filosofi, stabilire un requisito per l’accesso ad alcune attività non significa ipso facto stabilire una discriminazione tra cittadini di prima e di seconda classe; altrimenti vorrebbe dire che anche l’istituzione della patente di guida determini una distinzione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B. Identico discorso vale per la soppressione della libertà di movimento, verso la quale la stessa Costituzione prevede delle “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza” (art. 16).

In realtà – ed è questo il punto dirimente – il green pass trova la sua legittimità come soluzione temporanea a un problema di gestione. Il green pass, infatti, è uno strumento che mira a tenere insieme due istanze: la facoltà di un’enorme, soverchiante maggioranza di circolare e lavorare rischiando il meno possibile, e quella di una sparuta minoranza di scegliere liberamente di non vaccinarsi. L’accomodamento della seconda istanza è ottenuto per mezzo del tampone, che permette anche a un non vaccinato di recarsi in sicurezza nel luogo di lavoro. E tuttavia, poiché una giusta mediazione politica favorisce sempre la maggioranza, il tampone rimane a pagamento, seppur a un prezzo calmierato. L’obbligo di green pass, quindi, è una misura di mediazione che impone implicitamente un dovere di solidarietà nei confronti della collettività. La legittimità di questa imposizione surrettizia riposa nell’atto stesso della vaccinazione. L’individuo che si vaccina infatti lo fa assumendosi un rischio; quest’ultimo è infinitesimale, certo, ma rimane pur sempre un rischio. In cambio egli si aspetta che la collettività gli restituisca qualcosa, e cioè la sicurezza che gli altri individui, nei limiti del possibile, non rappresentino un pericolo per lui e per la sua famiglia; esattamente come ci aspettiamo, quando siamo alla guida, che gli altri conducenti conoscano le regole della circolazione stradale e sappiano guidare il proprio veicolo. Il green pass è un tentativo, imperfetto quanto si vuole, di normare questo scambio ideale fra individuo e collettività (il filosofo Giacomo Marramao in una intervista ricorda a proposito che "la libertà non è mai stata individualismo. È sempre stata effetto di gruppi di comunità che hanno lottato per determinare progressi e conquiste, mai con il rischio di danneggiare altri”), nella speranza che esso eserciti anche un effetto di moral suasion. La certificazione verde è ‘solo’ questo. Nulla di più, nulla di meno.

Cosa salvare delle tesi di Agamben

Come si è visto, le tesi di Agamben sono spesso estreme o patentemente errate da un punto di vista tecnico. Tuttavia, nelle critiche del filosofo ci sono almeno due elementi degni di riflessione.

Innanzitutto, nei suoi interventi il filosofo si è scagliato spesso contro gli eccessi legislativi dello stato emergenziale. Dall’inizio della pandemia, infatti, lo stato di emergenza è stato prorogato ben cinque volte, e al riguardo il Codice di Protezione Civile afferma che “la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi” (art. 24). Dal momento che l’Italia è in stato di emergenza dal 31 gennaio 2020, il governo può prorogare lo stato di emergenza al massimo fino al 31 gennaio 2022. Tuttavia già si ventila l’ipotesi di estendere lo stato di emergenza ben oltre il limite consentito, addirittura fino alla prossima estate. Una simile decisione richiederebbe giocoforza un ennesimo decreto legge ad hoc, il quale, stando a quanto scrivono i giuristi V. Azzollini e A. Morelli in “Romanzo Emergenziale”, sancirebbe «un distacco definitivo dello “stato di emergenza nazionale” dalla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 1/2018, facendone una condizione, allo stato, priva di una propria normazione di riferimento» (Romanzo emergenziale). Oltretutto, come fanno ancora notare Azzollini e Morelli, sembra che le proroghe previste sinora avessero dei presupposti molto deboli, in quanto la stragrande maggioranza delle misure d’emergenza è figlia di strumenti normativi diversi da quelli messi a disposizione dal Codice della Protezione civile e dalla deliberazione dello stato d’emergenza nazionale. Un eccesso di prudenza non è una condizione sufficiente per prorogare lo stato di emergenza, perché bisogna tenere a mente che 

Lo stato di emergenza non è uno stato di prevenzione – altrimenti l’emergenza dovrebbe essere permanente – e l’ordinamento dispone di strumenti “ordinariamente” precauzionali per operare azioni rapide in situazioni di bisogno. Purtroppo, tra i pregiudizi al diritto causati dalla pandemia va rilevata anche una non corretta interpretazione del principio di precauzione, su cui si è ritenuto di fondare le successive proroghe dello stato di emergenza. Quest’ultimo, se pure consente all’autorità di agire cautelativamente in presenza di un rischio anche solo potenziale, non ha portata illimitata, ma va contemperato con i principi di proporzionalità e adeguatezza: nessun provvedimento deve eccedere quanto è opportuno e necessario. (Romanzo emergenziale)

Critiche analoghe sono state mosse anche dal giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese, il quale si è espresso pubblicamente più volte contro un potenziale abuso della proroga dello stato d’emergenza (qui un’intervista dettagliata dell’Huffington Post). Agamben, dunque, ha in parte ragione nel sollevare la questione dello stato di emergenza, sebbene con argomentazioni sbagliate ed evocando scenari a dir poco surreali.

Infine, rimane una questione aperta sul green pass. Se è vero che le critiche di Agamben al GP sono sproporzionate, è altrettanto vero che il GP è una misura che comporta un certo quantitativo di costi sociali non misurabili; e in particolare di conflitti all’interno di nuclei famigliari e luoghi di lavoro. Il green pass non può durare in eterno, perché sebbene sia un utile strumento di mediazione esso è insostenibile sul lungo periodo. La certificazione verde terrà fintantoché lo zoccolo duro dei vaccinati manterrà una forma di impegno verso la collettività – e qui gioca un ruolo fondamentale la corretta comunicazione giornalistica e istituzionale, soprattutto in tema terza dose. In ogni caso, essendo il GP una misura molto divisiva, è opportuno porsi una domanda cruciale: l’adozione del green pass, finora, ha portato un beneficio maggiore dei suoi costi sociali? Nell’opinione di chi scrive, rispondere a questa domanda significa rispondere contemporaneamente a due quesiti: 1) se il GP ha favorito in maniera evidente la riduzione dei contagi, delle ospedalizzazioni e dei decessi; 2) se c’è stato un effetto apprezzabile di moral suasion, soprattutto sulla popolazione più restia alla vaccinazione. Per ora non è ancora possibile rispondere al primo quesito, giacché stimare l’effetto GP sull’andamento della pandemia come variabile isolata è alquanto difficile: lo si potrà fare solo in seguito, costruendo un controfattuale con un’analisi retrospettiva dei dati. Basarsi su una semplice comparazione con gli altri paesi, infatti, è fuorviante, perché in tal modo non stiamo isolando gli effetti del GP dalle altre variabili della pandemia, ma stiamo considerando tutti questi fattori in aggregato. 

Sulla moral suasion, invece, si hanno forti dubbi di un effetto GP. Infatti, se questo c’è stato, si tratta di un effetto piuttosto modesto. Pensiamo solo al dato sulle prime dosi in due diversi periodi: la settimana prima dell’annuncio del super GP (24 novembre) e quella immediatamente successiva. Stando ai dati riportati da Il Sole 24 Ore, se si esclude il 21 novembre, che è un festivo, dal 15 al 20 novembre sono state somministrate in totale 112.626 prime dosi, in media 18.771 al giorno. Tuttavia nelle prime settimane di settembre, e cioè prima del decreto che estendeva l’obbligo di GP ai luoghi di lavoro, si viaggiava su numeri ben più alti: le dosi somministrate erano in media 129mila al giorno. Se invece si guarda all’ultima settimana di ottobre le prime dosi erano in media 37mila al giorno, pur essendo attivo l’obbligo di GP al lavoro da più di una settimana. Prima del 24 novembre, quindi, il dato delle prime dosi era in costante calo. Ma cosa è successo dopo l’annuncio del super GP? 

I dati indicano un’inequivocabile ripresa nell’inoculazione delle prime dosi: da lunedì 29 novembre a sabato 4 dicembre sono state somministrate in media circa 32mila prime dosi al giorno, un andamento sensibilmente maggiore di fine novembre. Tuttavia anche in questo caso è difficile stabilire quanti e quali siano i meriti del super GP, dal momento che il governo ha contestualmente esteso l’obbligo vaccinale relativo ad altre categorie di lavoro; ciò significa che, almeno in parte, l’aumento di prime dosi è ascrivibile all’implementazione di questa seconda misura. Ad ogni modo, tutti questi dati mostrano il limite intrinseco della moral suasion: esiste infatti un numero fisiologico di persone che per i motivi più disparati è riluttante alla vaccinazione e che non si lascerà mai convincere. Un governo che intende muoversi per valutazioni pragmatiche, e non ideologiche, deve tener conto anche di questo limite, calibrando l’estensione dell’obbligo vaccinale per categorie di lavoro e calcolando dei limiti temporali ragionevoli all’uso del GP. Riguardo quest’ultimo, inoltre, è importante che il governa renda trasparenti i parametri con cui ha deciso di valutarne l’efficacia; ad esempio, come suggerisce ancora Azzollini, indicando «il numero minimo di vaccinazioni aggiuntive che si stimava di ottenere con l’introduzione del “green pass” nei luoghi di lavoro» (e ora a fortiori con l’introduzione del super GP).

In conclusione, ad un’analisi attenta le tesi di Agamben si rivelano problematiche da un punto di vista medico-giuridico; mentre le osservazioni politiche sono spesso esagerate, sproporzionate e poco aderenti alla realtà. Tuttavia, se ripuliamo alcune di queste tesi dai loro tratti estremi e parossistici, dagli interventi di Agamben possono ancora emergere riflessioni importanti sullo stato di emergenza e sui costi sociali del green pass. 

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Bibliografia

Interventi citati di Giorgio Agamben:

  • L’invenzione di un’epidemia, Quodlibet (26 febbraio 2020)
  • Stato di eccezione e stato di emergenza, Quodlibet (30 luglio 2020)
  • Cittadini di seconda classe, Quodlibet (16 luglio 2021)
  • Tessera verde, Quodlibet (19 luglio 2021)
  • Uomini e lemmings, Quodlibet (28 luglio 2021)
  • Due nomi, Quodlibet (28 agosto 2021)
  • Audizione alla Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica (7 ottobre 2021)

Alcune fonti:

  • A. De Angelis, Sabino Cassese: "Inspiegabile una proroga dello stato d'emergenza", Huffington Post (2021)
  • Corte Costituzionale, 14 giugno 1990, n. 307, Cortecostituzionale.it 
  • Corte Costituzionale, 23 febbraio 1998, n. 27, Cortecostituzionale.it
  • Corte Costituzionale, 9 ottobre 2000, n. 423, Cortecostituzione.it
  • Corte Costituzionale, 26 maggio 2020, n. 118, Consulta online
  • Cassazione, 2 dicembre 2020, n. 7354
  • European Medicines Agency, Comirnaty: EPAR - Product information 
  • European Medicines Agency, Spikevax (previously COVID-19 Vaccine Moderna): EPAR - Product information
  • European Medicines Agency, Vaxzevria (previously COVID-19 Vaccine AstraZeneca): EPAR - Product information
  • L. Ruffino, Lo stallo della campagna vaccinale, numeri alla mano, Pagella politica (2021)
  • M. Adinolfi,"Vaccini e Green Pass: la costante mistificazione di Agamben", Huffington Post (2021)
  • “Non solo Agamben”: oltre 100 filosofi contestano il loro collega e firmano un documento a favore di Green pass e vaccini – Il testo, Il Fatto Quotidiano (2021)
  • T. Boeri, R. Perotti, Vaccini, i confini dell’obbligo, La Repubblica (2021)
  • V. Azzollini, A. Morelli, Romanzo emergenziale. Notazioni sulla disciplina in materia di Covid, Consulta online 3 (2021), pp. 749-757
  • V. Azzollini, Qual è stata l’analisi di costi e benefici per l’obbligo di green pass?, Domani (2021)

Immagine in anteprima via criticallegalthinking.com

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