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Polonia, lo Sciopero delle donne contro il divieto di aborto: «Facciamo più paura dei vescovi. E questa paura è una cosa positiva»

18 Novembre 2021 11 min lettura

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Polonia, lo Sciopero delle donne contro il divieto di aborto: «Facciamo più paura dei vescovi. E questa paura è una cosa positiva»

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A un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha ha sancito il divieto quasi totale di abortire – trasformata poi successivamente in legge a gennaio del 2021 – e delle manifestazioni che per settimane hanno invaso le piazze di tutto il paese, le donne polacche sono tornate in strada. A scatenare le proteste è stata la morte di Izabela, una donna di trent’anni deceduta lo scorso settembre – ma la notizia è trapelata solo all’inizio di questo mese – all’ospedale di Pszczyna, nel sud del paese.

La famiglia della ragazza ritiene che la sua morte sia legata alla legge che ha ulteriormente ridotto la possibilità di abortire in un paese con una delle legislazioni già più restrittive sul tema. Prima dei nuovi divieti, l’interruzione volontaria di gravidanza era consentita in tre casi: stupro o incesto, rischio di vita per la gestante o gravi malformazioni fetali. La sentenza della Corte costituzionale – la cui composizione è fortemente influenzata dal partito conservatore di governo, Diritto e Giustizia (in polacco Prawo i Sprawiedliwość, PiS) – ha eliminato l’aborto nel caso di malformazioni congenite. Secondo le organizzazioni per i diritti riproduttivi, quest’ultimo rappresentava il 98% degli aborti legali in Polonia.

Izabela era andata in ospedale alla ventiduesima settimana di gravidanza, dopo che le si erano rotte le acque prematuramente. Diversi esami precedenti – come confermato anche dai medici - avevano evidenziato malformazioni nel feto che portava in grembo.

“Il bambino pesa 485 grammi. Per adesso, grazie alla legge sull’aborto, devo stare sdraiata. E non c’è niente che possano fare. Aspetteranno finché non muore o inizia qualcosa, e in caso contrario posso aspettarmi una setticemia”, ha scritto Izabela in un messaggio indirizzato alla madre, come riportato dalla televisione polacca TVN24.

Quando l’ecografia ha mostrato che il feto era morto, i medici di Pszczyna hanno deciso di praticarle un cesareo. Durante quest’operazione, il cuore di Izabela ha smesso di battere.

“I medici hanno aspettato che il feto morisse. Il feto è morto, la paziente è morta. Shock settico”, ha twittato lo scorso 29 ottobre Jolanta Budzowska, avvocata specializzata in errori medico-sanitari che assiste la famiglia della donna.

«Non potevo crederci, ho pensato non fosse vero. Come le è potuta succedere una cosa del genere in ospedale? Era andata lì per essere aiutata», ha detto la madre della donna a TVN24, affermando che mentre i medici attendevano che il feto morisse, Izabela li aveva informati più volte dei suoi sintomi, ma che nessuno si era curato di verificarlo: si era misurata la febbre da sola, e aveva detto alla madre di avere 39 e i brividi.

L’avvocata Budzowska ha spiegato in un comunicato che il decesso del feto ha causato nella donna uno shock settico, che ne ha provocato la morte meno di 24 ore dopo. La paziente, ha aggiunto la legale, ha mandato diversi messaggi a familiari e amici, dicendo che i medici stavano adottando un approccio troppo cauto: hanno atteso prima di drenarle l’utero fino alla morte del feto – il che, secondo Budzowska è in linea con le regole che limitano l’aborto.

La famiglia sta agendo legalmente. Budzowska accusa i medici di negligenza, ma ritiene che la morte di Izabela sia “una conseguenza della sentenza” di ottobre 2020. La procura ha aperto un’inchiesta, e i medici che hanno assistito Izabela sono stati temporaneamente sospesi.

In un comunicato pubblicato sul sito dell’ospedale di Pszczyna, la dirigenza della struttura ha espresso la sua vicinanza alla famiglia di Izabela, ma ha sottolineato come “tutte le decisioni mediche sono state prese tenendo conto delle disposizioni legali e degli standard di condotta in vigore in Polonia”. L’ospedale ha poi affermato che i suoi medici sono stati guidati solo dal garantire la sicurezza della paziente e del feto, e che la decisione di terminare la gravidanza rappresenta “un’altra questione”.

Budzowska ha poi detto in un’intervista che se da un lato è necessario verificare se ci siano state negligenze mediche, dall’altro «non si può ignorare il quadro legale in cui operiamo dopo la decisione della Corte». Mentre, infatti, la legge consente gli aborti in caso di rischio di vita per la madre, portare in grembo un feto malformato può essere di per sé una minaccia per la salute. La sentenza, non consentendo di abortire in caso di gravi problemi fetali, impone di fatto alle donne di portare avanti la gravidanza più a lungo, aumentando i rischi. È dunque difficile, secondo la legale, determinare il momento esatto in cui il pericolo diventa sufficientemente serio da giustificare l’aborto. Secondo Budzowska “si è creata una situazione di incertezza medica e incertezza giuridica”.

Non una di più”

La notizia della morte di Izabela ha provocato le proteste di movimenti e organizzazioni femministe, riunite sotto lo slogan “Ani jednej więcej”, “Non una di più”. Nelle ore successive alla divulgazione del caso, si sono tenute veglie e commemorazioni. Per le attiviste, infatti, Izabela è la “prima vittima” accertata della legge restrittiva voluta dal governo conservatore: la morte della donna sarebbe una conseguenza diretta del fatto che i medici in Polonia hanno paura di fare aborti perché temono le conseguenze legali.

PiS, il partito nazionalista e conservatore al governo, ha rigettato l’accusa secondo cui la sentenza di ottobre 2020 e la successiva legge siano correlate in qualche modo alla morte di Izabela, attribuendo la responsabilità a un errore dei medici. «Quando si parla della vita e della salute della madre... se questa è in pericolo, allora terminare la gravidanza è possibile e la sentenza non cambia nulla», ha affermato il primo ministro Mateusz Morawiecki. Il portavoce del ministro alla Salute ha detto che il governo farà un’audizione con i responsabili dell’ospedale, ma ha definito “non necessarie” ulteriori “parole che aggravano la situazione”. Altri membri di PiS hanno affermato che il caso non va “strumentalizzato e usato per limitare il diritto alla vita, per uccidere tutti i bambini malati o disabili”, o che “il fatto che le persone muoiano è un fatto biologico” e “sfortunatamente a volte le donne muoiono mentre partoriscono”.

Anche Jerzy Kwaśniewski, a capo dell’organizzazione ultraconservatrice Ordo Iuris, che si è battuta per restringere il diritto all’aborto in Polonia, ha dichiarato che la morte di Izabela non è legata alla sentenza costituzionale. L’organizzazione ha pubblicato una lettera di protesta contro la “disinformazione” sul caso, firmata da 36 tra avvocati, medici e preti, preoccupati che l’ondata di proteste possa portare a “nuove aggressioni contro i cattolici come successo nell’autunno del 2020”. Il riferimento è alle azioni contro alcune chiese nel paese (subito protette da gruppi nazionalisti) verificatesi durante le manifestazioni contro la sentenza che vietava l’aborto.

«Il caso di Izabela mostra chiaramente che la sentenza della Corte Costituzionale ha avuto un effetto raggelante sui medici», ha detto Urszula Grycuk della Federazione per le donne e la pianificazione familiare (FEDERA). «Una condizione che non dovrebbe essere messa in discussione – la vita e la salute della madre – non è sempre riconosciuta dai medici perché hanno paura».

Per Irene Donadio, advocacy officer per International Planned Parenthood Federation European Network (IPPFEN), «una paziente non dovrebbe mai essere nelle mani di un medico che ha paura di andare in prigione». Secondo il gruppo femminista Aborcyjny DreamTeam (che fornisce aiuto e informazioni a chi vuole abortire), “i medici hanno aspettato finché il feto non è morto. Stavano aspettando e guardando, finché il cuore del feto non ha smesso di battere. Ma anche lei aveva un cuore che batteva”.

Sabato 6 novembre migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Varsavia e altre città polacche.

Nella capitale, la manifestazione si è riunita davanti al Tribunale Costituzionale, e poi si è mossa fino al ministero della Salute. Proteste si sono tenute a Cracovia, Danzica, Poznan, Breslavia, Białystok e altre città.

La Commissaria per i Diritti umani al Consiglio d’Europa Dunja Mijatović ha inviato delle osservazioni scritte alla Corte europea per i Diritti Umani definendo il divieto di aborto in Polonia “l’ultimo passo di un quadro legale e procedurale già assolutamente proibitivo, con un impatto dannoso sui diritti umani delle donne” nel paese. Per Mijatović, gli Stati membri dell’Ue non hanno solo l’obbligo di rendere l’aborto sicuro legale, ma anche di rispettare e garantire l’accesso al servizio. L’11 novembre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che condanna la legge polacca e incoraggia gli altri Stati membri a facilitare gli aborti delle donne polacche nei loro territori.

Secondo Antonina Lewandoska, attivista di FEDERA, Izabela non è la prima vittima, ma solo la prima a essere resa nota, e ce ne saranno altre: «L’atmosfera politica generale e i discorsi del partito al potere hanno fatto sì che i medici siano terrorizzati di fare il loro mestiere, e i ginecologi non effettuano un aborto finché non sono assolutamente certi che la vita della madre sia a rischio. La legge vigente è stata influenzata da cattolici ultraconservatori e fondamentalisti ed è un problema enorme». Per Lewandoska, con la legge precedente i medici non sarebbero stati così spaventati e l’avrebbero fatta abortire.

Il giorno dopo le proteste del 6 novembre, il ministro della Salute Adam Niedzielski ha chiarito in un documento-guida che se la vita della madre o la sua salute sono a rischio, i sanitari “non devono avere paura di prendere ovvie decisioni” riguardanti l’aborto “sulla base della loro esperienza e delle attuali conoscenze mediche”. Nel documento vengono elencate una serie di procedure da seguire. Secondo Niedzielski, “forse l’interpretazione della decisione dell’anno scorso avrebbe potuto far sì che un medico avesse paura di prendere una decisione”, ma che ora questi dubbi sono chiariti.

Inanto, come riporta il sito Notes from Poland, stanno emergendo altre storie. Una di queste si è verificata a metà giugno, a Świdnica, nella Polonia sud occidentale. Dopo aver letto la storia di Izabela, un uomo ha raccontato al giornale polacco Gazeta Wyborcza quanto accaduto alla moglie. «Le è stato detto di partorire un bambino morto. È la stessa situazione», ha detto. La donna è stata portata in ospedale al quinto mese di gravidanza perché non stava bene. Dopo alcuni esami, è venuto fuori che il feto era morto. Nel frattempo le era salita la febbre alta. «Lo staff medico lo sapeva, ma le ha detto di partorire». La donna è morta di setticemia 24 ore dopo essere entrata in ospedale. Un’altra donna, di Kalisz, ha detto allo stesso giornale che dopo aver letto la storia di Izabela ha realizzato che la stessa cosa sarebbe potuta succedere a lei: le è stato negato l’aborto in una gravidanza extrauterina, con i medici che le dicevano:Questo è il clima che abbiamo in questo momento”.

Secondo un recente sondaggio, almeno tre quarti degli intervistati vorrebbe che l’attuale legge sull’aborto fosse resa meno stringente: il 43% auspica un ritorno alla situazione precedente alla sentenza di ottobre 2020, e un ulteriore 31% vorrebbe che l’aborto fosse consentito in tutti i casi fino alla dodicesima settimana, come accade in molti paesi europei.

Ma i tentativi di restringere ancora non si arrestano: una legge di iniziativa popolare proposta da un gruppo antiabortista (“Fundacja Pro Prawo do Życia”, “Fondazione per il diritto alla vita”) è stata depositata alla Camera bassa del Parlamento polacco, dove è stata ammessa per una prima lettura dalla presidente Elżbieta Witek (di PiS). La proposta prevede da cinque a venticinque anni di prigione per donne e medici che pratichino aborti e vorrebbe rimuovere stupro, incesto e pericolo per la madre dalle eccezioni consentite. Secondo il sito OKO.press, potrebbe essere discusso in un paio di mesi – anche se è improbabile che riesca a passare.

L’impatto della lotta per l’aborto legale

In Irlanda nel 2012 la morte della 31enne Savita Halappanavar dopo che le era stato negato un aborto ha provocato un’ondata di proteste che poi ha portato al referendum del 2018. Molti, tra media e attiviste, hanno fatto dei parallelismi tra la sua storia e quella di Izabela.

L’avvocata Budzowska ha detto a Reuters che un dibattito simile a quello nato in Irlanda era già in atto in Polonia: «Sia io che la famiglia di Izabela speriamo che questo caso porti a un cambiamento nella legge in Polonia».

In un lungo articolo su Foreign Policy, la storica esperta di Est Europa Joy Neumeyer ha ricostruito come le proteste dello Sciopero delle donne contro il divieto di aborto dell’ultimo anno – duramente represse dal governo - abbiano “cambiato il paese per sempre”: il consenso cattolico che ha dominato la politica polacca dalla caduta del comunismo è finito, sempre più persone sono favorevoli all’aborto, PiS sta perdendo terreno e l’attivismo progressista si sta riunendo in nuove coalizioni.

Le attiviste dietro lo “Sciopero delle donne” stanno raccogliendo le 100.000 firme necessarie per una proposta di legge popolare che consenta l’aborto in ogni caso fino alla 12esima settimana di gravidanza, cercando di emulare il successo dei movimenti argentini. «Il messaggio che vogliamo far passare è che non ci stiamo arrendendo», ha spiegato a FP Magdalena Biejat, parlamentare del partito di sinistra Lewica Razem. Il provvedimento ha poche possibilità di ottenere supporto a livello legislativo, raccogliere le firme necessarie servirà a forzare un dibattito sul tema all’interno del parlamento.

Leggi anche >> Polonia, le donne si mobilitano sul modello Argentina: ora una legge per legalizzare l’aborto

Neumeyer scrive che le manifestazioni dell’anno scorso sono state qualcosa di inedito per il paese: “Nonostante lo Sciopero delle donne non sia riuscito a ribaltare il divieto, l’impatto politico del movimento è già evidente”. In seguito alle proteste, il consenso del partito PiS è sceso al 30-35%, cinque punti in meno rispetto all’estate del 2020: un declino dovuto in parte alla pandemia, ma accompagnato anche dalla crescita nel supporto a movimenti e organizzazioni di opposizione, compreso lo Sciopero delle donne (supportato, a novembre 2020 dal 24% della popolazione contro il 9% del 2017). Sempre più persone sono favorevoli alla legalizzazione dell’aborto fino alla dodicesima settimana, tanto che il maggiore partito di opposizione, Piattaforma Civica (PO) ha deciso di supportare la proposta. Secondo una delle fondatrici dello Sciopero delle donne, Marta Lempart, significa «che facciamo più paura dei vescovi. E questa paura è una cosa positiva».

Anche la narrazione attorno all’aborto sta cambiando: l’interruzione volontaria di gravidanza è sempre più inquadrata come un servizio sanitario pubblico. Molti gruppi forniscono supporto e informazioni alle persone che vogliono abortire, aiutandole a ricevere le pillole a casa per farlo con metodo farmacologico o a organizzare viaggi in paesi con legislazioni più favorevoli.

Nonostante la secolarizzazione progressiva della società polacca – soprattutto tra i più giovani – la Chiesa cattolica continua ad avere una grande influenza sulla vita politica del paese e, scrive Neumeyer, “i legislatori sono ancora molto più conservatori della popolazione”.

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Ma i veri cambiamenti stanno nascendo fuori dalla politica istituzionale. Lo Sciopero delle donne conta oggi comitati in 600 città e supporta molte iniziative a livello locale in collaborazione con organizzazioni e partiti di sinistra. Una ricerca portata avanti dalla sociologa Magdalena Grabowska ha rilevato che l’energia sprigionata dalle proteste continua e si sta estendendo in nuove direzioni: ad esempio tra attivisti e attiviste delle aree rurali che sostengono il diritto all’aborto, l’educazione sessuale e i diritti della comunità LGBTQ+.

Secondo Neumeyer, “mentre i giovani e i gruppi precedentemente emarginati entrano sulla scena politica, le vecchie alleanze si stanno spezzando. Il sostegno ai diritti riproduttivi, una volta respinti in nome della democrazia, è entrato nel mainstream”.

Foto in anteprima via Monika Sikora

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