Lezioni di Storia / Finanziamenti illeciti e giri di denaro da potenze straniere ieri come oggi
4 min letturaLezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente
Soldi e politica, un binomio inscindibile dall’inizio dei tempi. E fin dall’inizio dei tempi non c’è stata epoca storica in cui i politici non siano finiti sotto accusa per essersi arricchiti troppo, o aver tentato di arricchirsi, in virtù del loro potere, ma anche per aver accettato fondi da personaggi discussi e discutibili per portare avanti la loro attività politica.
Crasso, Il bancomat di Giulio Cesare
Dal punto di vista finanziario Giulio Cesare era un uomo assai spregiudicato. Anche perché i Giuli avevano un gran nome, ma soldi assai pochi, e a Roma per candidarsi e fare carriera invece i soldi servivano parecchio.
Per gran parte della sua vita Cesare risolse brillantemente il problema usando i fondi che gli passava Marco Licinio Crasso, che per anni, anche prima del Primo triumvirato, fu una sorta di suo bancomat personale.
Crasso era sì discendente di una nobile famiglia, i Licini, ma i soldi li aveva fatti esercitando un mestiere ancora oggi a Roma diffuso: il palazzinaro. Costruiva e affittava immobili popolari, ed era famoso per piombare come un falco, o forse sarebbe meglio dire come un avvoltoio, quando bruciava qualche caseggiato o un intero quartiere. Con le rovine ancora fumanti comprava terreni a pochi spicci, demoliva, ricostruiva e riaffittava.
I suoi interessi erano poi collegati anche agli appalti pubblici per la riscossione delle tasse. Nel 65 a.C. Propose per questo motivo di annettersi il Regno di Egitto, con l’intento di spartirsi con il giovane Cesare, che doveva essere inviato come plenipotenziario ad Alessandria per sbrigare la faccenda, i proventi. Purtroppo la cosa andò in fumo, perché Tolomeo Aulete, aspirante re d’Egitto, corruppe Pompeo, con una manovra di finanziamento internazionale estero su estero.
Aulete, il re che si comprò l’Egitto (e i romani)
Era il padre di Cleopatra, anche se in realtà, essendo un principe di nascita illegittima, non avrebbe potuto aspirare al trono. Ma Tolomeo Aulete era più spregiudicato di un principe dell’attuale Rinascimento arabo, e aveva capito che battagliare con i Romani era tempo perso: si faceva prima a comprarseli.
Così quando nel 65 a.C. Cesare e Crasso propongono di annettersi l’Egitto, lui ripiega su Pompeo, a cui graziosamente fa recapitare una corona in oro massiccio e paga senza fare un fiato le spese per 10mila mercenari che gli servono per la conquista della Giudea.
Siccome però i Romani stentano a riconoscere come legittime le sue pretese sul trono, nel 59 arriva un’altra tangente egiziana, anzi due. Seimila talenti, sull’unghia, versati ai due Triumviri in carica, Cesare e Pompeo. Crasso, per fortuna dell’Aulete, era ricco di suo.
Ma la storia dell’Aulete non finisce qui.
Nel 58 a causa di rivolte interne legate alla presenza alla sua corte di un avido banchiere romano, Rabirio Potumo, Tolomeo Aulete deve lasciare Alessandria di corsa, portandosi dietro la famiglia, e soprattutto le casse del tesoro. Ripara ad Albano, a casa di Pompeo, e qui, aprendo il borsellino, riesce a convincere Pompeo a mandare in Egitto il proconsole di Siria, Aulo Gabinio, che ha come suo aiutante di campo Marco Antonio. La spedizione è finanziata dall’Aulete e viola tutte le leggi di Roma, perché non viene nemmeno approvata dal senato. A Gabinio, cash, furono versati 10mila talenti d’oro. Che gli servirono anche per pagarsi gli avvocati, perché tornato in patria fu accusato di corruzione, ovviamente.
Destra e sinistra pari sono
Se i Populares progressisti come Cesare e Gabinio rubavano a man bassa, non è che gli optimates conservatori si tirassero indietro. Anzi, spesso si univano in proficue joint venture. Un caso da manuale fu l’acquisizione del regno di Cipro, promossa da Publio Clodio Pulcro, campione dei Populares, nel 58. Il povero re Tolomeo di Cipro (era il fratello di Tolomeo Aulete d’Egitto) pensava di essere al sicuro perché era un alleato fidato di Roma. Ma non pagava abbastanza. Così Clodio fece passare una legge che faceva annettere l’isola a Roma senza un preciso motivo. Per trovare i voti, fece un accordo con gli Optimates, assicurando che le pratiche per l’annessione sarebbero state affidate a Marco Porcio Catone il Giovane, che era il loro capo. Lui aveva fama di stoico e incorruttibile, ma si portò dietro il nipote, Marco Giunio Bruto. Che divenne famoso per la sua avidità eccessiva persino per un romano: in pratica a a Cipro con gli appalti fece terra bruciata. Sì, era lo stesso Bruto del tu quoque, che anni dopo ucciderà Cesare per nobili motivi ideologici.
In realtà Bruto aveva in casa un fulgido esempio di commistione proficua fra affari, politica e pure sesso. La madre, Servilia, che era stata per anni l’amante di Cesare, quando il rapporto amoroso fra i due finì e Cesare era diventato l’uomo più potente di Roma si fece però dare l’appalto per la riscossione dei tributi in diverse province, perché poteva anche accettare di essere lasciata come amante, ma la signora non permetteva di essere lasciata con le pezze al sedere.
La corruzione in politica, una abitudine che si mantiene nei secoli
Insomma i nostri avi romani tardo repubblicani quanto a finanziamenti illeciti e giri di denaro poco chiari da potenze straniere non erano secondi a nessuno. I loro discendenti odierni non sono, si direbbe, da meno. I Romani però, almeno fondavano imperi. Gli attuali, manco quello.