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Paesi e aziende sperimentano la settimana lavorativa corta: “È in discussione la struttura etica del lavoro”

18 Novembre 2021 16 min lettura

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Paesi e aziende sperimentano la settimana lavorativa corta: “È in discussione la struttura etica del lavoro”

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La pandemia che ci ha travolti ci spinge oggi anche a ripensare la nostra relazione con il lavoro. La proposta di una riduzione della settimana lavorativa così da avere più tempo per sé rientra in questo nuovo "approccio". Bisogna specificare che si tratta di un tematica non nuova. Quasi 20 anni fa la Francia ha attuato "una riduzione dell'orario di lavoro (les 35 heures) per creare un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. La misura è ancora fortemente dibattuta, con i sostenitori che affermano che crea posti di lavoro e preserva l'equilibrio tra lavoro e vita privata e i critici che affermano che riduce la competitività delle imprese francesi”, spiegava un articolo del 2019 su Harvard Business Review. Da diversi anni, inoltre, in varie economie sono in atto dibattiti sulla riduzione del numero di giorni lavorativi settimanali. Ma è con la pandemia che questa proposta è tornata prepotentemente nel dibattito pubblico a livello internazionale.

In base ai dati di Eurostat, nel 2020 nell'Unione europea gli occupati di età compresa hanno trascorso al lavoro in media 37 ore a settimana. Come si vede nella mappa sottostante, esistono molte differenze tra i paesi: "Le settimane di lavoro più lunghe, sopra le 40, sono state riscontrate in Polonia, nella penisola balcanica e in Turchia. Al contrario, quelle più brevi, inferiori a 35 ore, sono state osservate in Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera".

via Eurostat

Allargando lo sguardo ai dati dei circa 40 paesi OCSE, si vede che nel 2020 la media delle ore lavorate settimanalmente dai lavoratori dipendenti è stata di 37 ore (anche qui esistono nette differenze tra i vari paesi). Come si legge in un recente studio condotto dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dall'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sull’impatto delle ore di lavoro sulla salute dei lavoratori, "dopo che l'orario di lavoro medio è diminuito costantemente nella seconda metà del XX secolo nella maggior parte dei paesi, questa tendenza generale è cessata e ha iniziato a invertirsi in alcuni paesi durante il 21° secolo. Poiché le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione rivoluzionano il lavoro, si prevede che l'orario di lavoro aumenterà ulteriormente per alcuni settori". Nel presentare il rapporto, l'ILO ha sottolineato anche che "uno studio condotto in 15 paesi da parte del National Bureau of Economic Research ha mostrato che durante la pandemia di COVID-19 il numero di ore di lavoro è aumentato di circa il 10% a causa del lavoro da remoto che ha reso più difficile la demarcazione tra i tempi di lavoro e quelli dedicati alla vita privata e al riposo. Inoltre, dopo il primo periodo di confinamento si sono verificati dei casi di regioni o paesi che hanno congelato l’applicazione della legislazione sociale in materia di orari di lavoro chiedendo di lavorare di più per ammortizzare il ritardo dovuto all’interruzione delle attività produttive. Lo stesso è avvenuto per molte lavoratrici e lavoratori che sono occupati nelle filiere globali di fornitura come, ad esempio, nel settore del tessile".

Secondo Jonathan Malesic, autore del libro ‘The end of burnout’ che uscirà negli Stati Uniti nel 2022, “già prima della pandemia il modo tradizionale di concepire il lavoro – dalle intoccabili quaranta ore settimanali all'idea della scala sociale – ci ha portato a un'insoddisfazione diffusa e a immancabili esaurimenti nervosi". Oggi, però, continua Malesic, "è in discussione la struttura etica del lavoro": si è aperto "lo spazio per ripensare il modo in cui il lavoro si combina a una vita soddisfacente” e capire che il lavoro "non è solo uno strumento per guadagnarsi da vivere: è il modo in cui si conquista la dignità e il diritto ad affermarsi nella società e a goderne i benefici". 

 

Questa estate diversi media hanno raccontato del “successo travolgente” della sperimentazione condotta in Islanda di una settimana lavorativa ridotta. Il periodo di prova, in cui i lavoratori sono stati pagati lo stesso importo per orari più brevi, si è svolto tra il 2015 e il 2019 e ha coinvolto più di 2500 lavoratori islandesi, pari all’1% della popolazione lavoratrice, racconta la BBC. I risultati della studio (commissionato dal comune di Reykjavík e dal governo nazionale islandese) hanno mostrato che, passando da una settimana lavorativa di 40 ore a una di 35 o 36 ore, nella maggior parte dei luoghi di lavoro coinvolti – ad esempio scuole materne, uffici, fornitori di servizi sociali e ospedali –, la produttività è rimasta la stessa o, in alcuni casi, è anche aumentata. I lavoratori hanno riferito di sentirsi meno stressati, affermato che la loro salute e l'equilibrio tra lavoro e vita privata sono migliorati e spiegato di aver avuto più tempo da trascorrere con le loro famiglie e per dedicarsi agli hobby e svolgere faccende domestiche. 

Al termine della sperimentazione, i sindacati nel paese hanno rinegoziato i modelli lavorativi e “l'86% della forza lavoro del paese sta ora lavorando a orari più brevi o guadagnando il diritto di abbreviare le proprie ore”, spiegano i ricercatori del think tank britannico Autonomy e dell'Associazione per la democrazia sostenibile (ALDA) in Islanda che hanno condotto l’indagine. Will Stronge, direttore della ricerca presso Autonomy, ha detto: «Questo studio mostra che il più grande tentativo al mondo di una settimana lavorativa più corta nel settore pubblico è stato sotto tutti i punti di vista un successo travolgente. L'Islanda ha fatto un grande passo avanti verso la settimana lavorativa di quattro giorni, fornendo un grande esempio di vita reale per i consigli locali e quelli del settore pubblico del Regno Unito che stanno considerando di implementarla». Gudmundur D. Haraldsson, uno dei ricercatori di ALDA, ha affermato che questa sperimentazione «ci dice che non solo è possibile lavorare di meno nei tempi moderni, ma che è anche possibile un cambiamento progressivo. La nostra tabella di marcia per una settimana lavorativa più corta nel settore pubblico dovrebbe interessare chiunque desideri vedere ridotto l'orario di lavoro».

Il Belgio, ad esempio, potrebbe passare da una settimana lavorativa di cinque giorni a quattro. «La crisi causata dalla pandemia ha cambiato radicalmente il modo in cui lavoriamo», ha detto a inizio ottobre a POLITICO un portavoce del Ministero belga dell'Economia e del Lavoro: «L'idea è quella di dare a un lavoratore più flessibilità per organizzare la propria settimana lavorativa». La proposta in Belgio prevederebbe una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro, con i giorni lavorativi che passerebbero da cinque a quattro, ma il numero di ore lavorative rimarrebbe lo stesso. Per questo motivo, per ottenere un giorno libero in più, i dipendenti dovrebbero lavorare circa 9,5 ore al giorno, ipotizzando un carico di lavoro a tempo pieno tra le 38 e le 40 ore settimanali. Per questo motivo questa tipologia di proposta è stata criticata dal sindacato socialista che ha sottolineato che l'obiettivo di una settimana lavorativa ridotta dovrebbe essere principalmente quello di far lavorare meno ore settimanali i dipendenti a tempo pieno, riporta Brussels Times. L’idea avanzata in Belgio è stata anche contestata da Stronge del think tank britannico Autonomy che ha condotto lo studio in Islanda: «Si tratta solo di ore compresse, quindi non è strettamente una settimana lavorativa più corta. In questo modo i lavoratori probabilmente non otterranno gli stessi benefici per la salute e il benessere di una riduzione delle ore di lavoro. Ciò significherà anche che eventuali aumenti di produttività saranno minimi, poiché i lavoratori saranno stanchi». Il 15 febbraio 2022, il governo federale ha approvato poi un pacchetto di leggi che consentiranno una maggiore flessibilità lavorativa. I dipendenti potranno lavorare fino a un massimo di 9,5 ore al giorno (con la possibilità di arrivare a dieci ore al giorno) tramite un contratto collettivo tra aziende e sindacati in modo tale da poter andare al lavoro un giorno in meno, scendendo da cinque giorni lavorativi a quattro. I dipendenti potranno anche scegliere di lavorare di più una settimana e di meno quella successiva. Infine, le aziende con più di 20 dipendenti dovranno osservare il diritto alla disconnessione, come avviene già per i dipendenti pubblici federali dal 1° febbraio. I dipendenti non dovranno più rispondere alle chiamate del loro capo dopo il normale orario di lavoro. Anche in questo caso, gli accordi dovranno essere presi con i sindacati.

A marzo 2021, in Spagna, il governo ha accettato di avviare un progetto pilota, su richiesta del partito di sinistra Más País, che prevede per le aziende interessate la sperimentazione di una settimana lavorativa di quattro giorni senza una riduzione dello stipendio. «Stiamo vivendo una vita in cui non c'è tempo per niente. Abbiamo una vita stressante che consiste nell'andare da casa al lavoro, dal lavoro a casa e fare la spesa durante il fine settimana» ha dichiarato Iñigo Errejón deputato di Más País: «Con la settimana lavorativa di 32 ore, ci stiamo lanciando nel vero dibattito dei nostri tempi». Secondo recenti notizie, sarebbero stato stanziati 10 milioni di euro nel 2022 per l’avvio del progetto e a beneficiarne potrebbero essere tra le 170 e le 200 aziende, a seconda della loro dimensione (tra i 6 e 250 dipendenti). 

Altre iniziative che prevedono un ripensamento dell’orario di lavoro settimanale sono state avviate o sono in discussione in Svezia, Scozia, Nuova Zelanda, Giappone e Germania. Nel paese tedesco, dove comunque è attiva una delle settimane lavorative medie più brevi d'Europa, ci sono richieste di riduzione dell'orario di lavoro, racconta Deutsche Welle: “Nel 2020 il più grande sindacato del paese, l'IG Metall, ha chiesto settimane lavorative più brevi, sostenendo che avrebbe aiutato a mantenere i posti di lavoro ed evitato i licenziamenti. Il leader del sindacato ha affermato l'anno scorso che era nell'interesse delle aziende ridurre l'orario di lavoro invece di ridurre il numero di dipendenti, garantendo il mantenimento degli specialisti e risparmiando sui costi di licenziamento. Tuttavia, è ancora da vedere se tale misura sarà attuata o discussa”. 

Anche diverse aziende stanno analizzando la prospettiva di una settimana lavorativa con meno ore lavorative. Lo scorso giugno, la piattaforma di crowdfunding Kickstarter ha annunciato l’avvio a partire dal 2022 di un progetto pilota che prevede una settimana lavorativa di quattro giorni, senza alcun taglio della paga. Una simile settimana lavorativa porterebbe anche dei vantaggi per le aziende, scrive Forbes che cita alcuni esempi: “Da un punto di vista finanziario, la ricerca indica che il passaggio a una settimana lavorativa di quattro giorni può ridurre le spese generali e altri costi”; inoltre, i risultati di uno studio dell'Università di Reading “mostrano che circa il 63% dei datori di lavoro nel Regno Unito ha affermato che una settimana lavorativa di quattro giorni ha contribuito ad attrarre e trattenere talenti”. Una riduzione delle ore lavorative pone però anche delle sfide di organizzazione, spiega l’Economist, ricordando i casi Microsoft e Shake Shack che negli ultimi anni hanno sperimentato settimane di quattro giorni lavorativi in alcune parti delle loro attività: “Per cominciare, i modelli di lavoro devono essere ripensati per garantire che i lavoratori utilizzino il loro tempo ridotto in modo efficiente. Per la sua prova nel 2019, Microsoft Japan ha ridotto il numero di riunioni e ha incoraggiato una maggiore collaborazione online. Le vendite per dipendente sono aumentate del 40% rispetto all'anno precedente”.

Lo scorso ottobre, i dipendenti dell'azienda spagnola di moda Desigual hanno approvato a larga maggioranza (l'86%) l’accordo proposto dall'azienda ai lavoratori degli uffici centrali (sono esclusi quelli appartenenti all'operations team e a quello commerciale) che prevedeva di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni (dal lunedì al giovedì), con l'opzione del lavoro da remoto in uno di questi giorni, racconta El Periodico. L'accordo prevede che "la nuova settimana lavorativa comporterà dei cambiamenti nelle condizioni contrattuali dei dipendenti che beneficeranno di tale misura, che passeranno dalle attuali 39,5 ore settimanali a 34 ore settimanali. Questo nuovo formato implica anche una riduzione salariale associata all'adeguamento delle ore (circa del 13%). Una riduzione che l'azienda propone di condividere, assumendone il 50% della differenza, il che significa che ciascun dipendente avrà una riduzione dello stipendio pari solo al 6,5%", si legge sul Sole 24 Ore. Prima del raggiungimento dell'accordo il direttore generale dell'azienda, Alberto Ojinaga, aveva riconosciuto che la proposta era stata accolta dai dirigenti con alcuni dubbi, poiché avrebbe riguardato la riorganizzazione del lavoro ed eventualmente nuove assunzioni. Dopo il via libera da parte dei dipendenti, Ojinaga ha affermato: «La nuova settimana lavorativa richiederà un processo di adattamento e uno sforzo da parte di tutti, ma se la pandemia ci ha mostrato qualcosa, è che possiamo organizzare il lavoro e le attrezzature in modo diverso e continuare ad essere efficienti, dando priorità a ciò che è veramente importante».

Discussioni sull’opportunità di sistematizzare una riduzione delle ore settimanali lavorative sono in atto anche oltre oceano, negli Stati Uniti d’America. Finora, la settimana lavorativa di quattro giorni è stata per lo più abbracciata dalle imprese più piccole, in particolare nei settori dell'informazione e della tecnologia, più aperte alla sperimentazione, spiega il Los Angeles Times: “La piattaforma di crowdfunding Kickstarter prevede di lanciare una settimana lavorativa di quattro giorni il prossimo anno. Ci sono stati alcuni esempi di produttori e case di cura che hanno ridotto l'orario di lavoro senza tagliare i compensi. Ma è ancora in gran parte un concetto estraneo negli Stati Uniti. Una coalizione di leader aziendali e sostenitori della proposta ha lanciato una campagna per reclutare aziende per testare una settimana lavorativa di quattro giorni e collaborare con ricercatori accademici per misurare i risultati. L'aspettativa (basata su sperimentazioni precedenti) è che il programma aiuterà ad attrarre e trattenere i talenti, ridurre il burnout (ndr, cioè uno stato di esaurimento dovuta a stress lavorativo), promuovere l'efficienza e la creatività e persino ridurre le emissioni di carbonio tagliando un giorno di pendolarismo per coloro che non possono lavorare a casa”. 

Per Mark Takano, membro del Congresso statunitense, dopo la pandemia i lavoratori statunitensi “sono pronti per una nuova normalità, ed è esattamente ciò che può fornire una settimana lavorativa di 32 ore”. Per questo motivo Takano ha presentato una legislazione federale per abbassare la soglia dello straordinario da 40 ore a 32 ore settimanali per i dipendenti non esenti: “Questo disegno di legge – spiega il politico sul Guardian – non limita il numero di ore che una persona può lavorare; dà diritto ai dipendenti di iniziare a guadagnare il 50% in più all'ora dopo 32 ore di lavoro, con conseguente aumento della retribuzione del 10%. Il mercato del lavoro sta diventando più competitivo e i lavoratori devono sentirsi abilitati a chiedere migliori condizioni di lavoro a salari più alti”. La proposta del politico statunitense ha incontrato anche obiezioni e dubbi. Brent Orrell, senior fellow presso l'American Enterprise Institute (un think tank di area liberista) ha dichiarato che “la forza lavoro statunitense è composta da 153 milioni di persone e impiega una popolazione diversificata con tipologie di lavoro, competenze ed esigenze di programmazione molto diverse. Alcuni lavorano a tempo pieno, mentre altri lavorano a tempo parziale o su base contrattuale. (...) Introdurre una settimana lavorativa di 32 ore in un simile amalgama è come entrare in una stanza piena di mobili, spegnere le luci e poi provare a muoversi. Hai la garanzia di farti male”. Per Orrell, invece, “dovremmo essere pazienti e consentire ai lavoratori e alle aziende di negoziare la loro strada verso condizioni in cui un numero maggiore di lavoratori possa godere della possibilità di una settimana lavorativa più breve senza le conseguenze indesiderate che un mandato federale quasi certamente comporterebbe”.

Takano riconosce che il suo progetto è audace e difficile, ma specifica anche che gli Stati Uniti “hanno precedenti storici per dimostrare che il cambiamento che stiamo cercando è completamente ragionevole e raggiungibile”: “Un secolo fa, una settimana lavorativa di cinque giorni e un fine settimana di due giorni erano concetti nuovi che i datori di lavoro esitavano ad accettare. Nel 1908, un cotonificio del New England fu tra i primi a istituire una settimana lavorativa di cinque giorni, in modo che i lavoratori ebrei non dovessero lavorare di sabato dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato. Nel 1926, Henry Ford seguì l'esempio e iniziò a chiudere le sue fabbriche automobilistiche il sabato e la domenica. Nel 1929, gli Amalgamated Clothing Workers of America divennero il primo sindacato a richiedere e ricevere una settimana lavorativa di cinque giorni. E, infine, nel 1940, una disposizione del Fair Labor Standards Act imponeva una settimana lavorativa massima di 40 ore ed entrò ufficialmente in vigore a livello nazionale”. Processi storici che si possono riscontrare anche in Europa: “Nel 1870, i lavoratori in Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi lavoravano in media più di 60 ore settimanali. (...) Il numero medio di ore lavorate a settimana nell'Europa occidentale è diminuito considerevolmente nel secolo successivo e nei primi anni '80 era intorno alle 42-44 ore. Nel 2019 i dipendenti a tempo pieno hanno lavorato in media per 39-42 ore settimanali”, si legge su un’analisi sul sito Oxera (società di consulenza economica e finanziaria). 

Come abbiamo visto finora, dunque, decisori pubblici e aziende private hanno iniziato a considerare in maniera concreta la possibilità che questa “nuova” modalità di lavoro da eccezioni si trasformi in normalità. Questo è successo perché, dice a Quartz Andrew Barnes – imprenditore e tra i fondatori di 4 Day Week Global in Nuova Zelanda, una comunità no profit che sostiene e porta avanti nel mondo l’idea di una settimana lavorativa di 4 giorni –, le persone, durante pandemia, hanno iniziato «a ripensare a come veniva svolto il lavoro» e capito «che forse il modo in cui abbiamo lavorato negli ultimi cento anni non è necessariamente giusto per il ventunesimo secolo». In questo processo, continua Barnes, ha giocato un ruolo cruciale anche il grande esperimento del lavoro da remoto messo in atto in tutto il mondo per contrastare la diffusione dell’epidemia del nuovo coronavirus Sars-CoV-2 perché ha fatto sembrare meno inverosimile l’idea di una settimana lavorativa di quattro giorni.

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Per questi motivi, in un mondo post pandemia, Juliet B. Schor, professoressa di sociologia al Boston College e autrice del libro 'The Overworked American: The Unexpected Decline of Leisure', crede che la popolarità della settimana lavorativa di quattro giorni crescerà enormemente. Secondo Schor il cambiamento si vedrà prima con i lavoratori della classe media, molti dei quali avevano stipendi regolari durante la crisi, ma hanno dovuto fare i conti durante l'ultimo anno e mezzo con il bilanciamento tra lavoro e la cura dei bambini o degli anziani. 

Una riduzione delle ore lavorative settimanali, in base a come viene realizzata, potrebbe presentare però anche alcune criticità. Ad esempio, racconta The Conversation, la sperimentazione in Islanda di una settimana composta da quattro giorni lavorativi, citata all’inizio del nostro articolo, sarebbe stata “ampiamente sopravvalutata”. Lo studio, spiega l’autore del pezzo, "ha coinvolto due prove su larga scala di orari di lavoro più brevi – in cui i lavoratori sono passati da una settimana di 40 ore a una di 35 o 36 ore, senza avere la retribuzione ridotta". Ma "una settimana di prova di quattro giorni avrebbe comportato la riduzione della settimana lavorativa dalle sette alle otto ore. Invece, la riduzione massima in questa sperimentazione è stata di appena quattro ore. In 61 dei 66 posti di lavoro coinvolti nello studio la riduzione è stata da una a tre ore". Per questo motivo, afferma il pezzo, "siamo molto lontani dal rendere una settimana di quattro giorni la norma”. Inoltre, si legge ancora, riguardo a questo e ad altri esperimenti simili, è sempre possibile che ci sia stato il cosiddetto ‘effetto Hawthorne’: “Questo effetto si riferisce agli esperimenti degli anni '30 con gli operai negli Stati Uniti che hanno mostrato come la loro consapevolezza di essere oggetto di esperimenti influenzasse il loro comportamento e quindi i livelli di produttività”. 

Sempre riguardo alla sperimentazione islandese, Wired Uk ha sottolineato inoltre come non tutti i lavori possono essere svolti in turni più brevi, specificando "che il governo islandese ad esempio ha dovuto assumere più operatori sanitari al costo di 28 milioni di euro all'anno – anche se questo non rappresenta un significativo aumento del bilancio pubblico annuale di oltre 6 miliardi di euro”. Proprio su questo aspetto, Abigail Marks professoressa alla Newcastle University ed esperta di tematiche legate al mondo del lavoro, afferma che una settimana di quattro giorni lavorativi rischia di esacerbare le disuguaglianze esistenti – come tra i lavoratori della conoscenza e quelli che di solito sono pagati in base al tempo che trascorrono a lavorare – e “creare risentimento nei confronti di coloro che possono trascorrere un fine settimana di tre giorni”.

Secondo poi Janne Gleerup, professore alla Roskilde University in Danimarca che ha studiato un programma di riduzione delle ore settimanali svoltosi in alcune realtà del paese, i fattori che possono far apprezzare questo cambiamento ai lavoratori abilitati sono diversi: «Il livello di istruzione, il tipo di lavoro svolto, le relazioni sociali e il grado di autonomia giocano tutti un ruolo». «Le famiglie con bambini piccoli – continua l’esperto – tendono a scoprire che una settimana di quattro giorni in realtà aumenta lo stress su di loro piuttosto che ridurlo. Soprattutto le donne possono sentirsi in una trappola del tempo perché nel tardo pomeriggio devono essere genitori, ma devono essere allo stesso tempo lavoratrici». La misura, dunque, scrive il Time “può avere conseguenze indesiderate anche per l'uguaglianza di genere”: “Nel 2020, la chiusura delle scuole e l'adozione del lavoro da casa hanno accentuato lo squilibrio esistente tra lavoro non retribuito maschile e femminile. Secondo uno studio della Commissione europea, le donne dedicavano in media 62 ore a settimana alla cura dei bambini e 23 alle faccende domestiche, mentre gli uomini ne dedicavano rispettivamente 36 e 15. «In Europa abbiamo anche assistito durante [la pandemia] a un processo di ri-tradizionalizzazione», afferma Gleerup. «Le donne hanno ancora il loro lavoro da fare, ma si assumono anche tutti i compiti domestici, quindi reinstalla questi ruoli di genere tradizionali».

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Per Will Stronge, co-autore del libro ‘Overtime: Why We Need a Shorter Working Week’, l'ostacolo principale all'attuazione di una settimana lavorativa più corta è il cambiamento della cultura del lavoro: “Potresti avere persone che vogliono lavorare di più. Potrebbero voler dimostrare che stanno lavorando sodo dedicando ore extra. Ma questo è dannoso perché un luogo di lavoro con una cultura del lavoro decente sarebbe uno in cui la qualità del lavoro è buona, in cui tutti svolgono il proprio ruolo e collaborano all'interno del team. Non si tratta di dimostrare individualmente che sei un lavoratore più ‘forte’ degli altri. Per questo motivo, è necessario stabilire linee guida chiare e regole di base su quali sono gli orari di lavoro e cosa ci si aspetta dal personale”. Inoltre, sottolinea Giorgio Maran, autore del libro 'Il tempo non è denaro. Perché la settimana di 4 giorni è urgente e necessaria', è necessario che la riduzione degli orari lavorativi avvenga «a parità di salario, solo così si aggredisce alla radice il cancro del nostro tempo: la diseguaglianza». Sempre per Maran, infine, è importante che la riduzione debba essere per tutti e di cui tutti possano sperimentare i benefici: «Non dobbiamo creare lavoratori di serie A e altri di serie B. Lo Stato si deve incaricare di mitigare le difficoltà della transizione: formazione dei lavoratori e sostegno temporaneo per le imprese a più bassa marginalità, vincolato alla riconversione. Sono nodi che presto o tardi vanno affrontati, non possiamo continuare a mettere la testa sotto la sabbia».

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Aggiornamento 17 febbraio 2022: Abbiamo aggiornato l'articolo inserendo l'approvazione da parte del governo federale belga della nuovalegge sulla flessibilità lavorativa.

Foto in anteprima via Pixabay.com

 

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