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Il ruolo dell’energia nucleare nella lotta alla crisi climatica

22 Ottobre 2021 35 min lettura

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Il ruolo dell’energia nucleare nella lotta alla crisi climatica

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32 min lettura

di Emanuela Barbiroglio e Angelo Romano

Parlare di nucleare è difficile. Anche gli esperti si dividono tra quelli marcatamente a favore e quelli che si battono per contrastarlo. Ma, a 35 anni dalla catastrofe di Chernobyl e dieci anni da quella di Fukushima, mentre l’Unione Europea sta decidendo se includere il nucleare nella sua tassonomia verde, parlarne è necessario. 

Alcuni paesi, Francia in testa, stanno premendo infatti da tempo affinché il nucleare sia inserito nella lista in cui rientrano gli strumenti energetici e finanziari classificati come sostenibili, dalla quale, per il momento, restano esclusi proprio il gas chiamato “naturale” e il nucleare. La decisione è motivo di contesa tra gli Stati membri e per questo la Commissione sta prendendo tempo.

In Italia, un recente intervento del ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, ha riacceso la discussione che ha preso ancora una volta – come commentava su Valigia Blu Antonio Scalari – “una piega astratta e identitaria, in cui la posizione pro-nucleare viene spesso rivendicata in contrapposizione a degli avversari”. A questo ha contribuito in prima battuta anche Cingolani stesso quando ha definito gli “ambientalisti oltranzisti e radical chic peggiori della catastrofe climatica”. In questa cornice, il ministro ha affermato che se il cosiddetto nucleare di IV generazione dovesse rivelarsi poco costoso e sicuro, «sarebbe da folli non considerare questa tecnologia». Ma in un’intervista successiva all’Espressoha invece precisato che «il nucleare da noi al momento non è un’opzione. Noi puntiamo sulle rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico».

Troppo tardi, perché intanto il dibattito è partito secondo i noti cliché in cui il nucleare è un vessillo da sventolare e non una delle possibili soluzioni da ponderare in una discussione razionale sugli scenari energetici.

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«Ci sono forze polarizzatrici e la gente prende una posizione che poi solidifica con selezione di fatti e notizie», osserva a Valigia Blu Giovanni Baiocchi, professore associato nel Dipartimento di Scienze Geografiche all’Università del Maryland e uno degli autori del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) per il report sulla mitigazione del cambiamento climatico.

In questo approfondimento, vogliamo uscire da un piano strettamente ideologico e rispondere ad alcune questioni.

Qual è il contesto politico ed energetico e quali sono gli attuali consumi e capacità produttive di energia nucleare nel mondo? Cosa sono i reattori di IV generazione e quelli a fusione di cui tanto si sta parlando in queste settimane, quanto costano, quando saranno realizzati, quale sarà l'impatto sull’ambiente e sulla produzione di energia? Fino ad arrivare alla questione finale su cui si dovrebbe concentrare la discussione pubblica: come dare energia al pianeta che, secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), nel 2050 avrà 2 miliardi di abitanti in più, riducendo le emissioni e il consumo globale di energia senza lasciare indietro nessuno e avendo cura dell'ambiente?

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Proviamo a farlo attraverso l’analisi di rapporti e studi e ascoltando la voce di esperti del settore, rappresentanti di associazioni pro e contro il nucleare ed europarlamentari che stanno seguendo la questione.

La lettera della Francia alla Commissione Europea per includere il nucleare tra le energie verdi
Il nucleare nel contesto globale
I reattori di IV generazione sono davvero la soluzione?
Il progetto ITER e i reattori a fusione
Rinnovabili o Nucleare? O Rinnovabili e Nucleare?

La lettera della Francia alla Commissione europea per includere il nucleare tra le energie verdi

La scorsa settimana, dieci Stati membri guidati dalla Francia hanno chiesto alla Commissione europea di riconoscere l'energia nucleare tra le fonti  a basse emissioni di carbonio e includerla nella tassonomia verde dell'UE (che include solare, geotermico, idrogeno, eolico, idroelettrico e bioenergia).

Finora Bruxelles ha ritenuto di non classificare il nucleare come energia pulita in attesa che gli Stati membri raggiungano un consenso. 

Dalla parte della Francia ci sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Romania. Dall’altro la Germania (che prevede di chiudere tutti i suoi reattori entro il 2022) insieme ad Austria, Danimarca, Lussemburgo e Spagna.

Una decisione dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno ma, alla luce dei profondi disaccordi, il dibattito potrebbe estendersi al 2022. A quel punto, la Francia avrà assunto la presidenza di turno del Consiglio e potrebbe dettare l’agenda di Bruxelles da una posizione privilegiata. Inoltre, i dieci firmatari della lettera sarebbero in grado di formare una maggioranza in seno al Consiglio.

Macron ha annunciato 1 miliardo di nuovi investimenti entro la fine del decennio. Così  ha contraddetto quanto sostenuto all’inizio della sua presidenza, quando aveva detto di voler ridurre dal 70% al 50% il contributo del nucleare al mix energetico francese entro il 2035. Lo ha fatto nonostante negli ultimi anni i tempi e i costi di realizzazione degli impianti siano aumentati in modo esponenziale e un rapporto della Corte dei Conti abbia mostrato come solo smantellare le centrali esistenti richieda 46 miliardi di euro e oltre un secolo di lavoro, mentre uno studio dell’Agenzia per l’Ambiente e la gestione dell’Energia (ADEME) abbia sconsigliato nuovi investimenti.

L’accelerazione di Macron arriva dopo la crisi energetica di queste settimane, che hanno visto il prezzo delle bollette per imprese e famiglie impennarsi. In particolare, la ripresa delle attività produttive ha contribuito all’aumento sostenuto dei prezzi del carbone, del petrolio e del gas, quest'ultimo passato in Europa da 14 a 87 euro per MWh in un anno. Nella lettera francese si legge che il nucleare potrebbe essere quella “fonte energetica economica, stabile e indipendente”, per proteggere i consumatori dell'Ue “dall'esposizione alla volatilità dei prezzi”, a causa della dipendenza da importatori stranieri, come la Russia nel caso del gas.

Il 13 ottobre la Commissione europea ha presentato una serie di misure nel breve periodo per aiutare famiglie e imprese, che vanno da sovvenzioni e altri versamenti diretti alla riduzione dell’IVA sull’energia. Nel medio e lungo termine, la Commissione auspica il potenziamento delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, considerato che finora è stato fatto solo un terzo degli investimenti in energia pulita necessari, come spiegato da Fatih Birol, il direttore esecutivo della IEA al Financial Times.

Secondo alcuni paesi UE, una della cause del caro energia sarebbe da associare ai costi della transizione energetica e dell’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica. Ma, come spiega il think tank indipendente Ember, "l'impennata dei prezzi del gas è dovuta a una combinazione di fattori: l'inverno freddo nell'emisfero settentrionale che ha esaurito i livelli di stoccaggio del gas fossile; l'aumento della domanda e dei prezzi in Asia e America Latina che ha fatto sì che le spedizioni di gas naturale liquefatto (GNL) finissero lì piuttosto che in Europa; l'aumento della domanda globale di gas dopo l'allentamento dei lockdown". Tutto questo, spiega Ember, evidenzia i problemi associati alla dipendenza del gas fossile importato, "altamente suscettibile alla geopolitica e agli eventi globali".

In questo vulnus si è inserita la proposta francese di dare un ruolo maggiore al nucleare, proponendo anche lo spacchettamento delle bollette di gas ed elettricità (che per la Francia, alla luce della dipendenza dall’energia nucleare, significherebbe un abbassamento delle bollette). “Sebbene le fonti energetiche rinnovabili svolgano un ruolo chiave per la nostra transizione energetica, non possono produrre abbastanza elettricità a basse emissioni di carbonio per soddisfare i nostri bisogni, a un livello sufficiente e costante”, si legge nella lettera presentata dalla Francia, descrivendo l'energia nucleare come “sicura e innovativa”.

Attualmente gli impianti nucleari generano oltre il 26% dell’elettricità prodotta nell’Unione Europea. La Francia è il paese UE in cui il nucleare ha più rilevanza nel suo mix energetico (oltre il 70%) ed è il paese maggiormente dipendente dal nucleare in Europa ed è stato quello che sta investendo meno in rinnovabili tra i paesi del G7. Il sostegno di alcuni paesi dell’est Europa non è casuale perché hanno già stanziato diversi milioni per investimenti nel nucleare.

La Spagna, al fianco della Germania nella posizione anti-nuclearista, ha invece lanciato l’idea degli acquisti in comune di gas e della creazione di riserve strategiche. La preoccupazione è che “l'inclusione dell'energia nucleare nella tassonomia danneggi in modo permanente la sua integrità, credibilità e quindi la sua utilità”. I paesi che si oppongono puntano l’attenzione su costi, tempi di realizzazione e rischi: “L'energia nucleare è decisamente costosa, pericolosa e lenta da costruire”.

Oltre la Manica, nella strategia per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 presentata il 19 ottobre, il Regno Unito ha annunciato investimenti nel cosiddetto nucleare di IV generazione e la realizzazione di un piccolo reattore modulare dimostrativo entro il 2030. L’obiettivo è raggiungere le zero emissioni nette, attingendo a una combinazione di energia nucleare, energie rinnovabili e schemi di "cattura e stoccaggio del carbonio" (CCS) collegati alle centrali elettriche a gas. Una roadmap più dettagliata sarà presentata il prossimo anno. I reattori esistenti nel paese dovrebbero essere ritirati entro il 2035, con la costruzione di un solo grande impianto, Hinkley Point C, già in corso.

Il nucleare nel contesto globale

La spinta verso il nucleare avviene nonostante negli ultimi anni le uniche fonti energetiche a crescere siano state le rinnovabili, anche in un contesto influenzato dalla pandemia di COVID-19. Infatti nell'ultimo anno il consumo dei combustibili fossili è crollato: il petrolio è sceso del 9,7%, il carbone del 4,2% e il gas naturale del 2,3%. Il consumo di energie rinnovabili è invece cresciuto del 9,7%.

In questa cornice, riporta il World Nuclear Industry Report 2021 [prodotto da Mycle Schneider, uno fondatori di WISE-Paris, filiale francese del gruppo anti-nucleare WISE, e con il sostegno di MacArthur Foundation, Natural Resources Defense Council, Heinrich Böll Foundation, il gruppo europarlamentare dei Verdi-EFA, Elektrizitätswerke Schönau, e la Swiss Renewable Energy Foundation], che ha elaborato dati ufficiali, il consumo di energia primaria nucleare è diminuito del 4,1%.

Ma, a causa del calo complessivo, la sua quota nel consumo globale è rimasta stabile al 4,3%: un livello simile a quello del 2014. Oltre al consumo, è diminuita anche la produzione di energia nucleare, scesa nel 2020 del 3,9% nonostante un aumento del 4,4% in Cina, dove sono stati aggiunti due nuovi reattori. Il che significa che, senza la Cina, il calo sarebbe stato del 5,1% e la produzione di energia nucleare globale sarebbe stata la più bassa dal 1995.

Energia nucleare prodotta nel mondo e in Cina via WNISR 2021

Per la prima volta, nel 2020 la Cina ha prodotto più energia nucleare della Francia. È così il paese con l’energia nucleare in più rapida crescita al mondo: gestisce 52 reattori, di cui 39 sono stati avviati negli ultimi dieci anni. Nonostante le due nuove unità aggiunte nel 2020, l’incremento di produzione di nucleare registrato è stato il più basso dal 2009. Contestualmente, lo Stato cinese sta intensificando gli investimenti in energie rinnovabili. Secondo l'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), la capacità rinnovabile totale installata in Cina è aumentata di quasi il 18% nell'ultimo anno.

Programmi nucleari attualmente attivi via WNISR

Attualmente sono 33 i paesi che gestiscono reattori nucleari, ma solo 14 sono attivamente impegnati in ricerca e sviluppo di questa tecnologia. Gli ultimi, la Bielorussia e gli Emirati Arabi Uniti. Oltre a questi ultimi, quattro paesi (Argentina, Cina, Pakistan, Russia) hanno raggiunto la loro più grande produzione nucleare di sempre.

Gli Stati Uniti sono, invece, il paese con più reattori operativi, 93 (che producono circa il 20% del consumo totale di energia elettrica del paese), undici in meno rispetto al 2011. Rispetto a dieci anni fa, il Giappone ha 39 reattori in meno e solo 9 attivi. Probabilmente, prosegue il World Nuclear Industry Report 2021, il Giappone rinuncerà presto all’energia nucleare, come hanno fatto l’Italia nel 1987, Kazakistan nel 1998 e Lituania nel 2009. Lo scorso febbraio, però, il ministro dell'Economia, Commercio e Industria del Giappone, Hiroshi Kajiyama, ha affermato di considerare l'energia nucleare "indispensabile" se il Paese vuole raggiungere l'obiettivo di raggiungere l'obiettivo di azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050. Altri paesi come Belgio, Svizzera, Danimarca, Irlanda, Portogallo e Austria hanno deciso di rimanere pressoché liberi dal nucleare.

In molti casi, tuttavia, anche quando la produzione di energia nucleare è aumentata, l'incremento non ha tenuto il passo degli aumenti complessivi della produzione di elettricità, abbassando il peso del nucleare nel mix energetico dei singoli paesi.

Paesi con maggior numero di reattori nel mondo via WNISR 2021

Cinque paesi - nell'ordine Stati Uniti, Cina, Francia, Russia e Corea del Sud – hanno generato il 72% di tutta l'elettricità nucleare nel mondo, a testimonianza di come la produzione sia concentrata in un numero molto ristretto di paesi.

Dopo il picco registrato nel 1996, quando rappresentava il 17,5% della produzione globale di elettricità, il nucleare ha progressivamente cominciato a perdere quota fino al 10,1% registrato nel 2020.

Vediamo cosa è successo. Nel 2020 otto paesi hanno aumentato la loro quota di nucleare (nel 2019 erano stati 12), nove l’hanno ridotta e 16 sono rimasti sullo stesso livello. Nel 2021, erano operativi in tutto il mondo 442 reattori. Altri 26 sono attualmente in stoccaggio a lungo termine e 51 sono in costruzione, la metà dei quali in Cina e India. Negli ultimi 20 anni, in tutto il mondo sono stati inaugurati 95 nuovi reattori e ne sono stati chiusi 98.

Quindi, considerando che 47 nuovi reattori sono stati avviati in Cina dove non ci sono state chiusure, rispetto a 20 anni fa gli impianti in meno nel resto del pianeta sono 50.

Aperture e chiusure di centrali nucleari nel mondo via WNISR

Un altro problema è che gli impianti stanno invecchiando. In assenza di nuove costruzioni significative negli ultimi anni, l'età media (dalla connessione alla rete) delle centrali nucleari operative è aumentata, attestandosi intorno ai 31 anni.I reattori più vecchi si trovano negli Stati Uniti (età media 40,2 anni) e in Francia (35,7). Questo significa che gli impianti presenti sul pianeta sono sempre più obsoleti e che si dovrà pensare anche a sostenere i costi di smantellamento di centrali vetuste. 

Età media centrali nucleari per paese via WNISR

Francia

Al contrario di quanto indicato all’inizio della sua presidenza, quando aveva affermato di voler chiudere 14 reattori e ridurre dal 70% al 50% il peso del nucleare nel mix energetico del paese, la scorsa settimana il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato investimenti per 1 miliardo di euro in energia nucleare entro la fine del decennio per poter far fronte alla domanda di energia della Francia.

“L'obiettivo numero uno è avere reattori nucleari innovativi su piccola scala in Francia entro il 2030 insieme a una migliore gestione dei rifiuti”, ha detto il presidente francese mentre presentava il piano di investimenti "Francia 2030".

I nuovi “mini-reattori” proposti da Macron, meno complessi da produrre e gestire rispetto a quelli convenzionali, scrive Financial Times, consentirebbero alla Francia di restare competitiva sul mercato, considerato che alcuni prototipi sono già in fase di sviluppo in Cina, Russia, Stati Uniti e Giappone.

Quella di Macron, in realtà, non è un’inversione di passo, come potrebbe sembrare. Già nel 2019  i ministri dell’Economia e della Transizione ecologica, Bruno Le Maire e Elisabeth Borne, avevano illustrato a Jean-Bernard Lévy, l’amministratore delegato di Edf, che gestisce il parco nucleare transalpino, l’intenzione di costruire 6 nuovi reattori nucleari EPR di terza generazione, nonostante  i ritardi e l'esplosione della spesa per la realizzazione di due centrali, la valutazione della Corte dei Conti sui costi e i tempi di smantellamento delle centrali più vecchie e dell’ADEME sui settori in cui investire per raggiungere la neutralità carbonica.

La realizzazione della centrale di Olkiluoto in Finlandia, ad opera dell’agenzia Orano, sta richiedendo 13 anni in più del previsto (l’avvio è stato ulteriormente rimandato a giugno 2022) con perdite previste al momento per 3,9 miliardi di euro, già oltre il prezzo di vendita del reattore, fissato a 3 miliardi. I lavori della centrale, iniziati nel 2005, avrebbero dovuto concludersi nel 2009, scrive Andrea Barolini su Valori.

Sempre per il 2022 è prevista l’inaugurazione della centrale di Flamanville, in Normandia. I ritardi si sono accumulati dopo che nel 2015 l’Autorità francese per il nucleare aveva individuato delle “anomalie nella composizione di determinate porzioni del coperchio e del fondo del serbatoio”. I lavori di costruzione della centrale sono iniziati nel 2006 e avrebbero dovuto concludersi nel 2012. Insieme ai tempi sono aumentati anche i costi di realizzazione, triplicati dai 3,3 iniziali ai 12,4 miliardi attuali.

Nel 2018, l’ADEME aveva pubblicato un rapporto (dal titolo “Traiettoria dell’evoluzione del mix energetico 2020-2060”) in cui sconsigliava investimenti in queste tipologie di reattori e invitava a destinare ai fondi alle rinnovabili. Investire sulla filiera del nucleare avrebbe rallentato lo sviluppo delle energie rinnovabili e avrebbe comportato un aumento dei costi medi della produzione di energia elettrica. Le rinnovabili «rappresentano l’opzione meno cara possibile per i francesi», aveva detto il direttore generale dell’ADEME, Fabrice Boissier, durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto.

A tutto questo poi si aggiungono i costi per la dismissione delle centrali vetuste. Nel 2020 un rapporto commissionato dal Senato di Parigi alla Corte dei Conti ha stimato in 46 miliardi di euro e in un secolo di lavori i tempi e i costi dello smantellamento delle centrali esistenti. La Commissione incaricata di valutare i costi di smantellamento delle centrali esistenti non si riunisce dal 2012. E per la chiusura della centrale di Fessenheim, inaugurata nel 1978, lo Stato ha previsto degli indennizzi fino al 2041 nonostante la società EDF abbia già previsto di chiudere le centrali costruite circa 50 anni fa.

Nel 2019 è stata abbandonata infine la ricerca sui cosiddetti reattori di quarta generazione, il sistema a neutroni veloci (RNR), chiamato Astrid, dopo una spesa di quasi 738 milioni di euro fino al 2017.

Germania

Dal 2011 la Germania ha rinunciato al nucleare e ha deciso di investire molto nelle energie rinnovabili nel suo percorso di transizione energetica verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Ciò che molti osservatori internazionali hanno descritto come una reazione di panico dopo il disastro di Fukushima nel 2011 ha in realtà una lunga storia di oltre 40 anni di movimenti anti-nuclearisti ed è profondamente radicata nella società tedesca.

In venti anni il peso dell’energia nucleare nel mix energetico tedesco è sceso dal 29,5% del 2000 all’11,4% del 2020. Entro il 2022 tutte le centrali nucleari verranno chiuse.

Cina

Le centrali nucleari hanno fornito il 4,9% dell’energia prodotta nel paese. Tuttavia, nonostante gli incrementi costanti degli ultimi anni e la scalata della Cina nella produzione mondiale, ci sono molte incertezze sul futuro del nucleare nel paese. Nel luglio 2020, riporta il World Nuclear Industry Report 2021, la National Energy Administration (NEA) e il Consiglio di Stato non hanno fornito dettagli sulla costruzione di nuovi impianti. Anzi, il piano quinquennale 2021-2025, presentato a marzo 2021, ha annunciato un obiettivo di appena 70 GW di capacità nucleare entro la fine del 2025, e dato priorità alle energie rinnovabili. Tanto è vero che i principali sviluppatori nucleari starebbero pensando di spostare i loro investimenti sull’energia solare. Intanto, a capacità di energia rinnovabile in Cina continua a crescere rapidamente. Secondo l'IRENA, la capacità rinnovabile totale installata è aumentata di quasi il 18% nell'ultimo anno.

Giappone

Nel 2020, l'energia nucleare ha contribuito al 5,1% della produzione di elettricità del Giappone, con un calo del 34% rispetto al 2019 in gran parte a causa di interruzioni forzate e prolungate legate al mancato adeguamento delle strutture di sicurezza di emergenza antiterrorismo. Per sei settimane, da metà novembre a fine dicembre 2020, in Giappone è stato operativo solo un reattore. A luglio 2021 risultavano funzionanti otto reattori (per gran parte dell’anno sono stati quattro), tra cui il Mihama-3 Pressurized Water Reactor (PWR), il primo reattore commerciale in Giappone a funzionare oltre 40 anni dopo la prima connessione alla rete.

Nel frattempo continuano le azioni legali avviate dai cittadini contro le centrali nucleari. Il 4 dicembre 2020, per la prima volta, un tribunale distrettuale ha stabilito che l’Autorità di regolamentazione nucleare (NRA) non stava applicando correttamente i suoi regolamenti e che la licenza di esercizio per un impianto avrebbe dovuto essere ritirata.

In base all'ultimo Piano Energetico Strategico (SEP), negoziato lo scorso anno, il Giappone prevede di incrementare in modo significativo la quota di energia rinnovabili nel mix energetico (dal 22-24% al 36-38%), di ridurre la produzione di combustibili fossili, in particolare il carbone, dal 56% al 41%, e di mantenere invariata al 20-22% la quota di energia nucleare.

Regno Unito 

Nel 2020, gli impianti nucleari del Regno Unito hanno fornito il 16% dell’energia totale, il 10% in meno rispetto al picco del 26,9% raggiunto nel 1997. In totale erano in funzione 13 reattori, due impianti (non operativi rispettivamente da settembre e agosto 2018), non verranno riavviati. L’età media delle centrali britanniche è ora di 37,4 anni. 

La produzione di energia dal nucleare è stata di 50,3 TWh, l’11% in meno rispetto al 2019 a causa di interruzioni non pianificate e in un contesto di diminuzione generale del consumo di elettricità (-4,7% rispetto al 2019). Tuttavia, la generazione da fonti rinnovabili è aumentata di anno in anno e nel 2020 ha superato per la prima volta l’energia prodotta da combustibili fossili. Le fonti rinnovabili hanno generato 134,3 TWh nel 2020, l'11% in più rispetto all'anno precedente.

Il Regno Unito sembra procedere verso la dismissione del nucleare. Un totale di 32 reattori di potenza sono stati definitivamente chiusi. Sei delle sette centrali nucleari di seconda generazione del Regno Unito, operativa da 25 anni, dovrebbero chiudere tra il 2022 e il 2030, mentre l'unico reattore ad acqua pressurizzata (PWR) del paese, è programmato per funzionare fino a almeno il 2035. Dopo il 2035 dovrebbero rimanere operative solo tre centrali nucleari.

Nel giugno 2019, il Parlamento ha stabilito per legge l'impegno a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 e, nell'ambito di questo processo, sei comitati selezionati hanno concordato congiuntamente di istituire un'assemblea dei cittadini sui cambiamenti climatici e su come raggiungere le emissioni zero nette. 

Il Comitato ha evidenziato tre principali svantaggi riguardo al nucleare – costi, sicurezza e questioni relative allo stoccaggio e disattivazione dei rifiuti – e nei cinque scenari energetici del Regno Unito ha previsto per il nucleare una capacità tra i 5 e i 10 GW, puntando decisamente sulle energie rinnovabili.

Tuttavia, nella strategia per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 presentata il 19 ottobre, il Regno Unito ha annunciato investimenti nel cosiddetto nucleare di IV generazione e la realizzazione di un piccolo reattore modulare dimostrativo entro il 2030. L’obiettivo è raggiungere le zero emissioni nette, attingendo a una combinazione di energia nucleare, energie rinnovabili e schemi di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) collegati alle centrali elettriche a gas. Una roadmap più dettagliata sarà presentata il prossimo anno. I reattori esistenti nel paese dovrebbero essere ritirati entro il 2035, con la costruzione di un solo grande impianto, Hinkley Point C, già in corso.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, i costi saranno sostenuti da un modello di finanziamento di "base patrimoniale regolamentata" (RAB), già utilizzato per altri progetti infrastrutturali, come la super fognatura Thames Tideway di Londra. Secondo lo schema, alle famiglie verrà addebitato il costo dell'impianto tramite un'imposta sull'energia molto prima che inizi a produrre elettricità, il che potrebbe richiedere un decennio o più da quando viene presa la decisione finale di investimento.

Il meccanismo è pensato per favorire l'investimento da parte degli investitori istituzionali, come i fondi pensione, garantendo sin dall'inizio rendimenti costanti. La legislazione sul modello RAB nucleare sarà pubblicata alla fine di questo mese. Ma c’è già chi si oppone, sostenendo che i consumatori potrebbero essere colpiti dal superamento dei costi di costruzione. 

L'utility francese EDF prevede di utilizzare un modello RAB per finanziare un nuovo impianto da 3,2 gigawatt a Sizewell nel Suffolk, nel sud-est dell'Inghilterra. Nel nord del Galles, la società nucleare statunitense Westinghouse sta progettando di rilanciare i piani per una centrale nucleare a Wylfa che è stata abbandonata dalla giapponese Hitachi nel 2019.

Stati Uniti

Con 93 reattori commerciali operativi dal 1° luglio 2021, gli Stati Uniti continuano a possedere di gran lunga la più grande flotta nucleare del mondo. Due reattori sono stati chiusi nell’ultimo anno. 

I reattori statunitensi hanno fornito 789,9 TWh nel 2020, il 2,4% in meno rispetto al 2019. La quota di nucleare nel mix energetico americano è stata del 19,7%, il 3% in meno del picco del 22,5% raggiunto nel 1995. 

Per mantenere gli attuali livelli, con la chiusura degli attuali impianti, servirebbero 22 GW di nuova capacità capacità nucleare entro il 2030 e 55 GW entro il 2035. Tuttavia, al di là di due unità attualmente in costruzione a Vogtle, con l’abbassamento dei prezzi del gas natural dal 2010 in poi gli Stati Uniti stanno investendo meno in nuova capacità nucleare e stanno valutando di introdurre dei sussidi per gli impianti esistenti per soddisfare l'obiettivo di ridurre entro le emissioni statunitensi del 50%-52% rispetto ai livelli del 2005, come previsto dal piano Biden.

Con un solo nuovo reattore avviato negli ultimi 20 anni, la flotta statunitense continua a invecchiare, con una media nel 2021 di 40,7 anni, per la prima volta oltre i 40 anni: 44 unità hanno operato per più di 41 anni (tre impianti hanno più di 51 anni). Al primo luglio 2021, 85 delle 93 unità statunitensi operative avevano già ricevuto il rinnovo di 20 anni della licenza iniziale, che consente il funzionamento del reattore durante il periodo di 40-60 anni.

I reattori di IV generazione sono davvero la soluzione?

I nuovi investimenti annunciati da Macron sul nucleare riguardano i piccoli reattori modulari (SMR), conosciuti al grande pubblico come reattori di IV generazione, il nome del complesso programma predisposto nel 2001 dal Dipartimento per l’energia statunitense.

Le diverse generazioni indicano gli sviluppi che nel corso degli anni hanno riguardato i reattori nucleari sia per gli aspetti tecnologici (tipo di combustibile, sistema di raffreddamento, tipo di moderatore) sia per la sicurezza.

Dal punto di vista della sicurezza, è di fondamentale importanza il raffreddamento del nocciolo (o nucleo), la zona in cui avvengono le reazioni controllate di fissione [nella fissione si bombarda con un neutrone il nucleo atomico di un elemento pesante, come l’uranio, che viene disintegrato in frammenti più piccoli, liberando energia], costituita da una struttura in cui ci sono barre di combustibile, circondate da un moderatore (acqua, acqua pesante o grafite) e alternate a elementi metallici ritraibili (leghe di argento, cadmio, indio o carburi di boro). 

Nelle centrali nucleari il calore sviluppato dalle reazioni di fissione permette di scaldare l’acqua fino a produrre vapore. Come nelle convenzionali centrali termoelettriche a combustibile fossile (olio combustibile, carbone o gas naturale), l’energia liberata sotto forma di calore viene trasformata prima in energia meccanica e successivamente in energia elettrica: il vapore prodotto aziona infatti una turbina che, a sua volta, mette in moto un alternatore.

Se non opportunamente raffreddato, il nocciolo può fondersi e, a causa delle elevate temperature e di possibili reazioni esplosive, si può giungere alla rottura della struttura di contenimento e delle barriere protettive con la diffusione all’esterno di prodotti radioattivi.

“Proprio per evitare la diffusione di sostanze radioattive, un reattore nucleare è generalmente contenuto in strutture in grado di resistere sia a sollecitazioni esterne (per esempio terremoti o incidenti di altra natura, compresi attacchi terroristici) sia a potenziali sollecitazioni interne non solo di tipo meccanico (per esempio esplosioni di gas accumulatosi per malfunzionamento degli impianti di ventilazione), ma anche chimico (per esempio corrosione indotta dai fluidi impiegati)” [Scienza in Rete].

I reattori di prima generazione sono gli impianti di bassa potenza (decine o centinaia di MW) costruiti tra il 1950 e il 1960 in URSS, Stati Uniti, Regno Unito e Canada. Dalla metà degli anni ‘60 alla metà degli anni ‘90 vengono costruiti i reattori di seconda generazione, impianti di grande potenza (1.000 MW) a raffreddamento ad acqua che ancora costituiscono gran parte degli impianti nucleari funzionanti al mondo.

A partire dalla metà degli anni ‘90 risale la progettazione dei primi impianti di terza generazione. Il reattore europeo EPR, ad acqua pressurizzata, appartiene alla terza generazione avanzata (III+), con standard di sicurezza maggiori ma sulla cui reale efficacia in caso di grave incidente non tutti concordano. Nel 2009, scrive Scienza in Rete, “le agenzie per la sicurezza nucleare francese, inglese e finlandese chiesero ai costruttori una lunga serie di modifiche ai sistemi di controllo degli EPR, giudicati troppo complessi e pertanto non ottimali”. La costruzione della centrale di Flamanville, in Francia, sta subendo gravi ritardi dopo che nel 2015 l’Autorità francese per il nucleare ha individuato delle anomalie.

Negli Stati Uniti è stato avviato il progetto NuScale, che deve andare ancora sul mercato; il progetto BREST-300 in Russia lo scorso febbraio ha ottenuto la certificazione di progettazione ed è in ritardo di anni. L'obiettivo è inaugurare l'impianto nel 2026.

Secondo i criteri indicati dal Dipartimento per l’energia statunitense, il nucleare di IV generazione deve essere sostenibile (usando combustibili più facilmente reperibili, rendendo possibile la produzione di nuovi vettori, come l’idrogeno, e riducendo drasticamente i rifiuti a lunga vita), competitivo ed economico (con rischi finanziari ed economici, costi d’esercizio e del combustibile bassi, attraverso lo sviluppo di impianti modulari), sicuro e affidabile, anche nella prevenzione del potenziale uso bellico o di possibili atti di sabotaggio o terrorismo.

Rispetto ai reattori delle generazioni precedenti, quelli di IV generazione sono capaci sia di assorbire il calore prodotto sia di ridurre la vita radioattiva dei rifiuti. Inoltre, utilizzano l’Uranio-238 (presente in natura al 99,28%, contro lo 0,71% dell’Uranio-235 finora utilizzato).

Da oltre 100 proposte tecniche, il programma statunitense ha prescelto sei sistemi: tre a neutroni lenti (reattori termici) e tre a neutroni veloci (reattori autofertilizzanti), raffreddati a gas, sodio e piombo. In Italia, ENEA e Ansaldo Nucleare stanno sviluppando la tecnologia del reattore refrigerato a piombo (LFR) presso il centro di ricerca del Brasimone, a Camugnano, vicino Bologna.

Nell’ultimo anno i reattori di IV generazione hanno ricevuto grande enfasi da governi e media. Mentre non ci sono ancora stati risultati industriali importanti, le criticità che devono affrontare questi reattori sembrano molto simili a quelle dei loro predecessori. E se ne aggiungono alcune nuove, come indicato nel rapporto 2020 del "Generation IV International Forum".

Al netto degli annunci di nuovi investimenti, non ci sono certificazioni di nuovi progetti. In Argentina e Cina si registrano ulteriori ritardi nella costruzione di alcune unità di questo tipo. Nell’agosto 2020, un rapporto che doveva valutare la bozza del piano di nuove costruzioni nucleari in Polonia ha respinto il concetto dei reattori di IV generazione dicendo che “al momento non esiste una documentazione completa di progettazione e realizzazione (progetti di costruzione) che possa essere oggetto di verifica” e non “pertanto ancora possibile stimare in modo attendibile i costi futuri di tali impianti”.

Il progetto ITER e i reattori a fusione

Oltre che sui reattori a fissione, l’attenzione di governi, aziende e start-up è orientata verso una nuova tipologia di impianti che utilizzano la fusione come procedimento di generazione dell’energia. 

La fusione è il processo opposto a quello della fissione.

Nella fissione, viene bombardato con un neutrone il nucleo atomico dell’uranio o del torio che si disintegra in due frammenti di carica positiva che si allontano con elevata energia cinetica. Così si liberano anche neutroni che possono a loro volta indurre altre fissioni, innescando una reazione a catena che permette di mantenere in funzione un reattore nucleare, producendo energia in modo continuo e costante.

Nel caso della fusione, invece, due nuclei leggeri si uniscono per costituirne uno più pesante, generando energia. Esattamente quello «che avviene nel sole e nelle stelle con una produzione di una quantità enorme di energia», spiega a Valigia Blu l’ingegnere Alessandro Dodaro, direttore del dipartimento ENEA di fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare.

«Due nuclei di elementi leggeri, quali deuterio e trizio, a temperature e pressioni elevate, fondono formando nuclei di elementi più pesanti, come l’elio, con emissione di grandi quantità di energia. I due nuclei possono fondersi solo a distanze molto brevi e - affinché questo accada - è necessario che la velocità con la quale si urtano sia molto alta: per ottenere in laboratorio reazioni di fusione è necessario portare una miscela di deuterio e trizio a temperature elevatissime (100 milioni di gradi) per tempi sufficientemente lunghi», spiega a Valigia Blu l’ingegnere Alessandro Dodaro, direttore del dipartimento ENEA di fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare. «A temperature così alte le singole particelle tendono a dissociarsi negli elementi costitutivi (ioni ed elettroni) e il gas si trasforma in una miscela di particelle cariche, cioè un plasma, che deve essere confinato in uno spazio limitato per un tempo sufficiente affinché l'energia liberata dalle reazioni di fusione possa compensare sia le perdite, sia l'energia usata per produrlo: non esistendo in natura recipienti che possano resistere in queste condizioni si deve ricorrere al confinamento magnetico. In questo modo, le particelle sono costrette a seguire traiettorie a spirale intorno alle linee di forza del campo mantenendosi lontano dalle pareti del recipiente». 

«Sostituire il nucleare da fissione con la fusione consentirebbe praticamente di azzerare l’impatto sull’ambiente», aggiunge Dodaro, per diversi motivi:

  • Le conseguenze di un eventuale incidente in un reattore a fusione sarebbero limitate alla sfera economica del gestore dell’impianto e avrebbero un impatto del tutto trascurabile per l’ambiente (al contrario, nel caso di incidente in un impianto a fissione, se non sono implementate tutte le procedure di sicurezza più aggiornate, le conseguenze possono essere devastanti).
  • Il combustibile utilizzato per la fusione è costituito da isotopi dell’acqua, di cui solo il trizio è debolmente radioattivo, disponibili in quantità illimitate (quello per la fissione, generalmente uranio o torio, è caratterizzato da alta radiotossicità e tempi molto lunghi per decadere a livelli non pericolosi per l’ambiente).
  • I rifiuti prodotti durante il periodo di funzionamento e durante lo smantellamento di un reattore a fusione sono costituiti da materiali attivati che possono facilmente essere trattati, messi in sicurezza e smaltiti in un deposito superficiale (nel caso di reattore a fissione, a questa tipologia di rifiuti si aggiungono quelli ad alta attività e lunga vita che, oltre ad una più delicata gestione delle fasi di trattamento e messa in sicurezza, possono essere smaltiti solo in depositi geologici che hanno un costo di realizzazione più alto del deposito superficiale di un fattore fra 5 e 10).

Ma, anche nel caso dei reattori a fusione, sono state sollevate criticità su combustibili, materie prime e sicurezza dei processi di produzione dell'energia.

Unione Europea, Giappone, USA, Russia, Cina, Corea e India stanno collaborando a un programma comune per realizzare il reattore a fusione sperimentale ITER (International thermonuclear experimental reactor). I lavori sono iniziati nel 2007 e prima di arrivare al reattore commerciale verrà realizzato un reattore dimostrativo DEMO.

In Italia, ENEA sta partecipando alla realizzazione di ITER, contribuendo alla progettazione di alcuni componenti, alla definizione degli scenari fisici, alla progettazione di diagnostiche e di sistemi di riscaldamento del plasma.

L’UE ha anche firmato con il Giappone un accordo bilaterale, denominato “Broader Approach”, per lo sviluppo dell’energia da fusione.

Sono poi stati avviati due progetti in Cina, mentre negli Stati Uniti il Commonwealth Fusion Systems (CFS), società spin-out del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, di cui il gruppo Eni è il maggiore azionista, ha annunciato lo scorso anno di voler accendere il primo reattore già nel prossimo decennio. Nelle scorse settimane, il CFS ha annunciato di aver portato a termine con successo il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva HTS (HighTemperature Superconductors) che assicura il confinamento del plasma nel processo di fusione.

I costi di costruzione di questi impianti sono più elevati di quelli dei reattori a fissione, ma secondo Dodaro sono tutte spese poi recuperabili nel tempo. «L’energia da fusione, quando sarà disponibile, sarà ancora più economica. Infatti, se è vero che il costo di costruzione è del 50% più elevato, le spese di smantellamento e gestione dei rifiuti saranno di gran lunga inferiori», spiega l’ingegnere di ENEA, «in quanto la produzione di rifiuti è decisamente inferiore in termini di contenuto radiologico e tempi di decadimento».

Non così ottimista Eleonora Evi, eurodeputata del gruppo dei Verdi europei e co-portavoce nazionale di Europa Verde, che, sentita da Valigia Blu, vede invece nelle rinnovabili l’investimento con minori controindicazioni dal punto di vista ambientale ed economico: «Il progetto di ricerca ITER, lanciato nel 2007, sta compiendo esperimenti scientifici e ingegneristici per trovare una nuova fonte di energia nucleare da fusione. L’UE ospita un esperimento in Francia, contribuendo al 45% dei suoi costi. Costi che, inizialmente stimati in 10 miliardi di euro, sono stati rivalutati nel 2016 a €22 miliardi - senza che nel frattempo il progetto abbia dato alcun risultato concreto, se non continuare a rimandare le scadenze. Nel frattempo, i costi delle rinnovabili e dello stoccaggio di energia elettrica si sono dimezzati rispetto al 2010, e si prevede caleranno ulteriormente del 50-60% da qui al 2030. Per questo è inspiegabile che la Commissione europea abbia deciso di rifinanziare il progetto ITER con altri 6 miliardi nel QFP 2021-2027, tra l’altro sottraendoli dalla quota di investimenti per il clima». 

Rinnovabili o Nucleare? O Rinnovabili e Nucleare?

Evi pone una delle questioni principali intorno alle quali si articola il dibattito pro o contro il nucleare. Conviene investire in rinnovabili e lasciar perdere definitivamente il nucleare, o il nucleare è necessario a sostegno delle fonti rinnovabili il cui flusso non può essere costante? O è possibile trovare una via alternativa in ogni caso al nucleare?

Nell’ultimo anno gli investimenti fatti nelle rinnovabili sono stati notevolmente superiori a quelli nel nucleare. 

Investimenti in nucleare e nelle rinnovabili via WNISR

Questo andamento, secondo Bloomberg New Energy Finance (BNEF), è in gran parte spiegabile perché a livello globale il costo delle rinnovabili è in questo momento notevolmente inferiore a quello dell'energia nucleare o del gas. Inoltre, Bloomberg prevede che tra cinque anni sarà più costoso far funzionare le centrali elettriche esistenti a carbone o gas naturale piuttosto che costruire nuovi parchi solari o eolici.

Sulla stessa falsariga le valutazioni dell'IRENA che, nella sua revisione annuale dei costi delle energie rinnovabili, conclude: "Nel 2020, il costo globale livellato medio ponderato dell'elettricità (LCOE) derivante da nuove aggiunte di capacità dell'eolico onshore è diminuito del 13%, rispetto al 2019. Nello stesso periodo, l'LCOE dell'eolico offshore è diminuito del 9% e quello del fotovoltaico utility-scale (grandi impianti da almeno 5 MW) del 7%."

La sostituzione degli impianti a carbone, i cui costi operativi sono più elevati rispetto al nuovo solare fotovoltaico su larga scala e all'eolico onshore, prosegue l'IRENA, ridurrebbe i costi di sistema annuali di 32 miliardi di dollari (oltre 27 miliardi di euro) all'anno e ridurrebbe le emissioni annuali di circa 3 miliardi di tonnellate di CO2.

Lo stesso discorso vale per il funzionamento delle centrali nucleari. La gestione di centrali nucleari obsolete generalmente comporta costi operativi e di manutenzione più elevati. Laddove si registrano, i minori costi sono legati in generale a un calo degli investimenti. Come nel caso degli Stati Uniti, dove i costi sono scesi da una media di 44,6 US$/MWh nel 2012 a una di 30,4 US$/MWh nel 2019, con un fattore di carico però del 90%. Il fattore di carico è il rapporto fra l’energia elettrica effettivamente prodotta in un impianto in un anno e l’energia teoricamente producibile dal medesimo impianto nell’ipotesi di funzionamento continuo a piena potenza. Allungando i cicli di irraggiamento, diminuendo le fermate per manutenzione programmata e la durata delle fermate, è possibile incrementare il fattore di carico. Maggiore è il fattore di carico, migliore è la gestione dei costi. 

Quanto accade negli Stati Uniti è rappresentativo di un indirizzo generale. Man mano che le energie rinnovabili diventano più economiche e il costo dell’elettricità prodotta da energie rinnovabili scende al di sotto dei costi di funzionamento, manutenzione e carburante delle centrali nucleari, queste ultime diventano sempre meno competitive. Per poter tenere competitiva sul mercato l’energia nucleare è necessario così abbassare i costi operativi. Operazione difficile, senza sussidi statali, considerato che le centrali sono molto vecchie. 

In altre parole, i piani indicati dai diversi governi per decarbonizzare il settore energetico (per contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti sulla vita di tutti i giorni del pianeta) stanno toccando non solo i combustibili fossili ma anche il nucleare, il cui settore sta vivendo un momento critico a livello globale.

In dieci anni il costo dell'elettricità proveniente da solare ed eolico è letteralmente crollato, mentre quello di tutti gli altri settori (nucleare incluso) è salito. I motivi, si legge nell'approfondimento sulle fonti energetiche a cura di Our World in Data, sono essenzialmente due: i pannelli solari o le pale eoliche non hanno bisogno di combustibile per produrre energia visto che è tutto in natura; man mano che è aumentata la produzione è migliorato il processo produttivo. Un classico caso di learning by doing, scrive Our World in Data, che ha innescato un ciclo virtuoso di aumento della domanda e calo dei prezzi: per soddisfare la crescente domanda vengono impiegati, ad esempio, più moduli solari, il che porta a un calo dei prezzi; a quei prezzi più bassi la tecnologia diventa conveniente in nuove applicazioni, il che a sua volta significa che la domanda aumenta. Il nucleare è l'esatto opposto: sconta costi maggiori per garantire gli standard di sicurezza e perché la sua tecnologia non è molto standardizzata e viene costruita molto raramente.

Andamento costi dell'elettricità negli ultimi 10 anni via Our World in Data

Nel 2019, per la prima volta, le fonti rinnovabili non idroelettriche (solare, eolica e biomasse) hanno generato più energia delle centrali nucleari nel mondo. Nel 2020, il divario si è ampliato, con le energie rinnovabili che si espandono massicciamente e generano globalmente il 16,5% in più di elettricità rispetto ai reattori nucleari.

A meno che il processo non si inverta nei prossimi anni e l'energia nucleare sia significativamente inclusa nei Nationally Determined Contributions (NDC, contributi nazionali determinati) per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, l'energia nucleare - conclude il World Nuclear Industry Report 2021 - sarà destinata in modo permanente a essere trovata solo in mercati di alcuni paesi.

Secondo il rapporto "Net Zero" della IEA, nel percorso “più tecnicamente fattibile, conveniente e socialmente accettabile” per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, quasi il 90% della produzione di elettricità dovrà provenire da fonti rinnovabili, con l'eolico e il solare fotovoltaico che insieme rappresentano quasi il 70%. La maggior parte del restante 10% proverrà dal nucleare. Se si riduce troppo rapidamente il peso di energia nucleare e delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio – spiega la IEA – si corre il rischio che l’obiettivo della neutralità carbonica sia più costoso e più difficile da raggiungere entro 30 anni perché richiederebbe una crescita ancora più rapida di solare ed eolico.

Se vogliamo dare energia a un pianeta che nel 2050 avrà una popolazione maggiore di 2 miliardi riducendo le emissioni e il consumo globale di energia senza lasciare indietro nessuno, dobbiamo ripensare innanzitutto il sistema energetico nel suo complesso: passare alle rinnovabili, ma anche ridurre il fabbisogno attraverso l’efficientamento e un nuovo stile di vita.

Un percorso estremamente impegnativo – prosegua la IEA – che richiede a tutte le parti interessate (governi, imprese, investitori e cittadini) di agire subito e che necessita di “grandi quantità di investimenti, innovazione, abile progettazione e attuazione di politiche, dispiegamento di tecnologie, costruzione di infrastrutture e cooperazione internazionale”.

Nel pianeta del 2050 immaginato dalla IEA, la fornitura dei combustibili fossili sarà calata del 75% e avrà lasciato il posto alle fonti rinnovabili (in particolare solare fotovoltaico ed eolico), l’elettricità rappresenterà quasi il 50% del consumo totale di energia, gli investimenti in centrali a carbone saranno cessati e due terzi della fornitura totale proverrà da energia eolica, solare, bioenergetica, geotermica e idroelettrica. I combustibili fossili verranno utilizzati solo in prodotti in cui il carbonio è incorporato come la plastica, in strutture dotate di CCS e nei settori in cui le opzioni tecnologiche a basse emissioni sono scarse.

E il nucleare? Quel che resta. Senza gli interventi necessari sulle centrali esistenti e senza investimenti in nuove tecnologie, la produzione di energia nucleare rischia di diminuire di due terzi nei prossimi 20 anni. Entro il 2030, in un contesto di neutralità carbonica, la capacità dovrà aumentare di 24 GW ogni anno se si vorrà mantenere la percentuale del 10% nel mix energetico. Nello specifico, la IEA indica che nelle economie avanzate la quota di nucleare nella generazione totale di energia elettrica dovrà scendere dal 18% nel 2020 al 10% nel 2050. Due terzi della nuova capacità di energia nucleare saranno prodotti nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, principalmente sotto forma di reattori su larga scala, dove la flotta di reattori quadruplicherà nel 2050.

«Dal momento che stiamo vivendo un’emergenza, tutto può servire. Persino il nucleare sarebbe funzionale se messo a sostegno di energie alternative che non garantiscono un flusso costante», osserva il prof. Baiocchi. «Si tratta infatti una tecnologia che possiamo migliorare e che possiamo implementare subito, ma che non sta mantenendo le promesse».

Secondo il professore dell’Università del Maryland, i motivi sono soprattutto tre: il costo troppo alto, la percezione del rischio e il fatto che da solo non basti nemmeno il nucleare. «Nei paesi occidentali non si riesce mai a stare nei piani, sia di tempo che finanziari», dice Baiocchi. «Siccome non si sono costruite molte centrali per decine di anni, manca la conoscenza pratica per costruire efficientemente».

Cina, Russia, Sud Est asiatico, Medio Oriente vengono di solito usati come esempi dove si può costruire una centrale in tempi brevi, a differenza dei paesi occidentali. Ma proprio questi esempi aprono un ulteriore piano di discussione, di carattere geostrategico, su cui si stanno concentrando diversi studi che cercano di capire il rapporto tra ordinamenti democratici, utilizzi più o meno trasparenti dell'energia nucleare (a scopo bellico o civile?) ed economia di mercato. E come vengono declinati aspetti come quelli della sicurezza, degli oneri nucleari, delle infrastrutture e protezione della salute e dell'ambiente.

«Bisogna pensare anche a migliaia di anni nel futuro, per esempio ai rischi di proliferazione nucleare», spiega Baiocchi. «Il nucleare è una tecnologia utilizzabile anche a scopi militari come vediamo nella vicenda del nucleare iraniano. La questione climatica è una questione globale e dunque ci vogliono opzioni tecnologiche che si possono distribuire a livello globale, mentre una democrazia nucleare aumenterebbe solo i rischi oltre a essere economicamente svantaggiosa», aggiunge al riguardo Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, sentito da Valigia Blu. E poi c'è la questione della produzione dell'uranio«Non solo le risorse di uranio sono concentrate in pochi paesi, ma altrettanto pochi paesi sono autorizzati a condurre alla luce del sole programmi di sviluppo del nucleare a scopo civile o bellico», commenta l’eurodeputata dei Verdi europei, Eleonora Evi, che arriva ad auspicare a tal proposito l'abolizione totale del nucleare. «L’unica soluzione per abolire l’uso del nucleare a scopo bellico è quella di abolirne anche l’uso a scopo civile».

Infine, ci sono le preoccupazioni di tipo ambientale che finora hanno avuto la meglio e che secondo Baiocchi potrebbero non essere del tutto ingiustificate. A 60 anni di produzione, ancora nessun paese sembra aver trovato una soluzione per gestire i rifiuti nucleari, tanto a medio-bassa che ad alta attività: «Il costo va contrapposto ai danni evitati in futuro dall'agire oggi. A confronto di altre tecnologie, il nucleare è troppo costoso ed è destinato a scomparire se non non ci sono sviluppi significativi. Ovviamente ci sono altre ragioni strategiche per continuare a sviluppare il nucleare per molte nazioni».

Ma, prima ancora di chiederci se possiamo raggiungere gli obiettivi climatici senza o con il nucleare, dovremmo cambiare proprio il piano della discussione e uscire dal paradigma del consumo illimitato di risorse e della produzione illimitata di energia per sostenere i nostri stili di vita.

La ricerca dell’economista indiano Partha Dasgupta, commissionata dal ministero del Tesoro del Regno Unito lo scorso febbraio, può dare un'idea del futuro ideale.

Con un tono quasi rivoluzionario, la ricerca contiene frasi come: “Siamo radicati nella natura”, “La natura è più di un mero bene economico”. E ancora: "La pratica contemporanea di utilizzare il prodotto interno lordo (PIL) per giudicare le prestazioni economiche si basa su un'applicazione errata dell'economia". “Siamo tutti gestori patrimoniali,” scrive Dasgupta. “Che si tratti di agricoltori o pescatori, cacciatori o raccoglitori, silvicoltori o minatori, famiglie o aziende, governi o comunità, gestiamo le risorse a cui abbiamo accesso in linea con le nostre motivazioni, nel miglior modo possibile”.

Dasgupta chiede un radicale cambio di prospettiva, in cui ogni risorsa abbia il suo giusto posto e la cura che merita. Per farlo, dobbiamo cambiare comportamento, imparare a vivere in un mondo senza crescita esponenziale, che non dipenda dal consumo eccessivo di beni e servizi dannosi.

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Aggiornamenti

Aggiornamento 22 ottobre, ore 11,30: Su sua richiesta abbiamo provveduto a eliminare dall'articolo il commento di Enrico Brandmayr, responsabile comunicazione dell’Associazione Italiana Nucleare, perché non rispecchia il suo pensiero. Prima della pubblicazione, a tutti gli intervistati, abbiamo inviato l'articolo per l'approvazione e sfortunatamente la sua risposta è finita nello spam. Quindi non avevamo preso visione della sua risposta. Ci scusiamo con i lettori e le lettrici e con l'interessato. 

Aggiornamenti

Aggiornamento 22 ottobre, ore 11,59: Abbiamo aggiornato l'articolo, recependo alcune delle osservazioni che ci erano arrivate via email da Enrico Brandmayr, responsabile comunicazione dell’Associazione Italiana Nucleare. Abbiamo corretto alcuni dati erronei sul numero di reattori attivi e in costruzione nel mondo, aggiornato l'informazione sulla certificazione di progettazione del progetto BREST-300 in Russia e inserito una dichiarazione del ministro dell'Economia, Commercio e Industria giapponese sull'importanza del ruolo del nucleare in Giappone per il raggiungimento della neutralità carbonica

Immagine in anteprima: Bjoern Schwarz, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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