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Lezioni di Storia / Gender archaeology: l’archeologia che smaschera stereotipi e pregiudizi sul ruolo delle donne nell’antichità

19 Settembre 2021 6 min lettura

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Lezioni di Storia / Gender archaeology: l’archeologia che smaschera stereotipi e pregiudizi sul ruolo delle donne nell’antichità

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Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente

La guerriera scambiata per un uomo

Nel 1889 a Birka, in Svezia, l’archeologo Hjalmar Stolpe scopriva durante lo scavo di un villaggio vichingo la tomba Bj581. Lo scheletro del personaggio sepolto era vestito in seta intarsiata d’argento e attorniato da un ricco corredo che lo identificava come appartenente alla élite guerriera vichinga. Erano state deposte assieme al corpo infatti armi, frecce, asce, coltelli da battaglia, e ben due cavalli evidentemente usati in combattimento. Nonostante le dimensioni insolite della mandibola e delle ossa pelviche, lo scheletro fu identificato come quello di un uomo proprio per il corredo tombale, e per i successivi 128 anni nessuno mise in dubbio che si trattasse di un potente principe guerriero vichingo. Anzi la sepoltura fu considerata un punto di riferimento per lo studio delle tombe maschili di guerrieri vichinghi.

Finché qualcuno non cominciò a sollevare dubbi. Non sul ruolo rivestito dal personaggio sepolto, ma sul suo genere. Perché le ossa dello scheletro più venivano indagate più sembravano quelle di una donna.

L’ipotesi che si trattasse di uno scheletro femminile cominciò a circolare, ma incontrò notevoli difficoltà ad affermarsi. Per spiegare la presenza delle ossa femminili si ipotizzò che nella tomba fossero stati sepolti due corpi le cui ossa si erano mischiate nel corso dei secoli: un uomo, il principe guerriero, e una donna non identificata, forse una moglie o una concubina. Finalmente nel 2014 Anna Kjellström dell’Università di Stoccolma mise fine ai dubbi: estraendo il DNA dello scheletro provò al di là di ogni possibile dubbio che tutte le ossa appartenevano ad un solo individuo. Ma si trattava inequivocabilmente di una donna: una principessa che nella sua comunità aveva rivestito il ruolo di leader sia in pace che in guerra.

La cosa più strana di tutta questa storia è che la presenza di donne guerriere nelle società vichinga era ampiamente e diffusamente documentata dalle fonti letterarie, che parlano di “donne con lo scudo” e le ritraggono mentre prendono parte a battaglie e scontri armati. Ma il pregiudizio e il bias cognitivo era stato così forte che per un centinaio di anni gli archeologi (ovviamente in larga maggioranza maschi) avevano considerato questi racconti come pure leggende e rifiutato di riconoscere come femminili le ossa dello scheletro, perché, secondo gli schemi mentali della società patriarcale e borghese, gli uomini combattono e si occupano degli affari politici ed economici, e le donne stanno a casa e curano la famiglia.

La gender archaeology

La guerriera di Birka è la punta di un iceberg di cui solo adesso si comincia a percepire l’ingombro. L’archeologia, come molte altre scienze, deve oggi fare i conti con il gender, ovvero chiedersi quanto in passato i dati degli scavi siano stati interpretati in maniera scorretta per via di pregiudizi che impedivano di leggere correttamente i ritrovamenti, e questo abbia portato a ricostruzioni del passato che non tengono conto, sottostimano o completamente disconoscono l’importanza della presenza femminile o della presenza degli individui gender fluid nelle società antiche.

Questi misconoscimenti sono legati al fatto che per la maggioranza della sua storia la ricerca archeologica è stata praticata da maschi occidentali bianchi appartenenti alle classi dominanti. Che potevano essere studiosi competenti, e molto spesso sono stati grandi maestri geniali. Ma che assai spesso, anche, leggevano e interpretavano i dati dei loro scavi sulla base dei bias cognitivi che derivavano, appunto, da queste loro condizioni di partenza. Per questo da almeno una trentina d’anni si è sviluppata la gender archaeology, che attraverso la disamina attenta dei dati di scavo cerca di ricostruire i rapporti fra i sessi e le strutture sociali e di potere nelle antiche culture.

Gli uomini della preistoria erano anche donne

Proiettare sul passato i nostri schemi mentali è un errore comunissimo e spesso inconscio: è umano pensare che ciò che per noi è “normale” debba essere stato considerato tale da tutti gli esseri umani e in tutte le epoche storiche. Ma quando chi si occupa di archeologia cade in questa trappola commette un clamoroso errore metodologico, e oggi non ha scusanti.

Uno dei periodi su cui più in questi ultimi anni si e ragionato è la preistoria. Qui la mancanza di fonti scritte rende l’interpretazione dei reperti materiali assolutamente centrale. Oggi alcune rappresentazioni delle società preistoriche fatte anche solo alcuni decenni fa sono molto contestate o addirittura vengono ritenute ormai inaccettabili. L’idea per esempio che nei villaggi preistorici gli uomini si dedicassero alla caccia e le donne invece si occupassero della famiglia e della raccolta di cibo ha ormai la stessa attendibilità scientifica di un cartone animato degli Antenati. Le tribù preistoriche erano poco numerose e la sopravvivenza della comunità richiedeva che i ruoli fossero coperti senza distinzioni di genere: i padri trascorrevano lungo tempo con la prole, anche raccattando erbe e radici, le madri e le ragazze cacciavano e pescavano assieme ai maschi, e all’occorrenza, combattevano tutti contro animali o altre tribù. Anche i “lavori di casa” pare che fossero distribuiti equamente. I nostri antenati maschi preistorici non trovavano strano pulire, cucire o rammendare vestiti, cucinare e rassettare la capanna.

Artiste, gladiatrici, ginnaste, imprenditrici

La presenza femminile risulta sottostimata in quasi tutte le epoche storiche, questo perché spesso i pregiudizi sessisti fanno dare per scontato che determinati ruoli fossero una prerogativa maschile. Per esempio, quando si parla delle rappresentazioni nelle grotte preistoriche, si dà quasi per certo che gli artisti fossero maschi, anche se poi, viste le dimensioni delle mani che sono stampate all’interno delle grotte, è probabile che si trattasse invece di femmine. Donne potrebbero essere state anche le artiste che hanno scolpito o plasmato gli idoletti femminili delle dee madri paleolitiche e neolitiche.

Per venire a epoche più recenti, a Roma il mestiere di gladiatore pare che fosse esercitato anche da numerose donne. Sono parecchie le fonti che parlano di combattimenti a cui prendevano parte professioniste: le gladiatrici. Ma non solo: sembra che anche matrone di alto rango non disdegnassero di combattere nell’arena. L’imperatore Tiberio vietò esplicitamente ai membri della classe senatoria, maschi e femmine, di combattere in pubblico, considerandola una cosa non decorosa per persone di famiglia aristocratica. Ma il fatto che abbia dovuto vietare a chiare lettere di farlo anche alle donne dimostra che la pratica era diffusa. Menare avversari era un passatempo praticato con gusto fra le dame della buona società romana. Del resto i mosaici delle ville tardo antiche  in Sicilia ritraggono fanciulle che si dedicano alla ginnastica e alla lotta, indossando, per altro, l’antenato del nostro bikini.

Le donne erano anche imprenditrici, spesso di successo. Nel mondo romano uno dei settori dove erano più presenti era quello, oggi considerato prevalentemente maschile, dell’edilizia. Le donne infatti erano spesso proprietarie di fabbriche di tegole e mattoni, come testimoniano numerosi bolli laterizi, i marchi di fabbrica che riportano i nomi dei proprietari - anzi in questo caso delle proprietarie - delle imprese. Nel Nord-est dell’Italia, per esempio, è noto il caso di Minucia, imprenditrice di Borgoricco vicino a Patavium (Padova).

Le donne della famiglia di Traiano, dalla moglie Plotina alla nipote Matidia, erano ricchissime (più dei loro mariti) proprio grazie a questo tipo di attività. In pratica se Traiano aveva conquistato le terre dell’impero, le città dell’impero erano però state costruite con i mattoni della moglie.

Il gender e le nuove ricostruzioni storiche

Tutti questi dati non sono nuovi, spesso provengono da fonti letterarie conosciute da secoli e da ritrovamenti materiali noti da decenni. Ma quello che impediva di leggerli correttamente era il pregiudizio sessista. Oggi grazie alla maggiore sensibilità sull’argomento, è possibile invece formulare ipotesi più corrette sulla presenza femminile nel passato e capire che l’idea che certi ruoli siano immutabili o fissati dalla natura e in realtà frutto di una mentalità che si è sviluppata solo in determinate epoche e che noi prendiamo invece per eterna.

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Molte delle ricostruzioni storiche a cui siamo abituati non riflettono affatto la mentalità delle epoche antiche, ma, molto spesso, quella per esempio borghese del Novecento in cui sono state pensate.

È ora di liberarci da queste interpretazioni errate, per essere più liberi di conoscere davvero il nostro passato, e anche forse per essere più liberi di vivere senza vecchi pregiudizi il nostro presente.

Immagine anteprima: cultura La Tolita-Tumaco, Museo Nazionale dell'Ecuador, Quito (MUNA). Foto di Fernanda Ugalde via Sapiens

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