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Honduras, omicidio dell’attivista ambientalista Berta Cáceres: la condanna di uno dei co-autori una vittoria del popolo indigeno

19 Agosto 2021 7 min lettura

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Honduras, omicidio dell’attivista ambientalista Berta Cáceres: la condanna di uno dei co-autori una vittoria del popolo indigeno

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di Susanna De Guio e Gianpaolo Contestabile

L’ex presidente della compagnia energetica Desarrollos Energeticos (DESA), Roberto David Castillo, condannato a 22 anni e 6 mesi

Aggiornamento 21 giugno 2022: Il 20 giugno, un tribunale honduregno ha condannato l’ex presidente della compagnia energetica Desarrollos Energeticos (DESA), Roberto David Castillo, a 22 anni e sei mesi perché riconosciuto colpevole di aver collaborato all'omicidio di Berta Caceres. Castillo, che era già stato condannato lo scorso 5 luglio come uno dei co-autori dell’omicidio dell’attivista ambientale, potrà presentare appello.

La famiglia di Berta Caceres si è detta contrariata dalla sentenza perché si aspettava il massimo della pena. Nel dicembre 2019, infatti, sette persone, tra i sicari del commando che ha ucciso l’attivista honduregna, sono stati condannati a 34 anni per l'omicidio e a 16 anni per il tentato omicidio. Altri tre hanno ricevuto condanne a 30 anni per il loro ruolo.

Ci vorrà ancora del tempo per sapere quanti anni di carcere dovrà scontare Roberto David Castillo Mejía, già condannato lo scorso 5 luglio come uno dei co-autori dell’omicidio di Berta Cáceres: così ha stabilito l’udienza dello scorso 3 agosto posticipando la definizione della pena, che oscilla tra 20 e 25 anni e sarà annunciata nei prossimi mesi.

L’attivista e leader indigena Berta Cáceres è stata uccisa nel 2016, nella notte tra il 2 e il 3 marzo nella sua casa a La Esperanza, in Honduras, a causa delle sue attività volte a contrastare la costruzione di una centrale idroelettrica dell’impresa privata DESA sul fiume Gualcarque, che appartiene al territorio ancestrale Lenca, il popolo originario più grande del paese. Aveva solo 44 anni e aveva dedicato tutta la vita alla difesa del suo popolo e a migliorare le condizioni di vita delle comunità indigene in Honduras. “Era conosciuta perché ha portato avanti molte lotte, contro le imprese minerarie, di legname, idroelettriche”, racconta suo figlio Salvador, “e contro il colpo di Stato nel 2009. Soprattutto a partire da quel momento è iniziata la persecuzione nei suoi confronti, e la criminalizzazione dell’organizzazione”, ovvero il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari Indigene dell’Honduras (COPINH), di cui Berta era stata tra i fondatori, nel 1993.

La sua fama come leader politica negli anni ha cominciato a chiamare l’attenzione dello Stato honduregno e delle imprese multinazionali che stava fronteggiando. Agli attentati e alle minacce contro la sua famiglia si è aggiunta anche la montatura di false accuse nei suoi confronti. La condanna di David Castillo, ex-presidente di DESA ed ex-membro dei servizi di intelligence e contro-spionaggio dell’esercito, è la conferma di un sistema persecutorio messo in piedi per sorvegliarla, delegittimarla e, in ultima istanza, eliminarla. 

“Abbiamo presentato prove per chiedere il massimo della pena”, continua Salvador, che è parte del COPINH con cui, da ormai cinque anni, porta avanti la battaglia per ottenere giustizia. “Tra le aggravanti c’è il fatto che Castillo aveva stabilito un contatto diretto con mia madre, che gli permetteva di controllare i suoi spostamenti; un altro elemento è la scelta dell’orario e del luogo dell’omicidio, pensati per garantirsi un alibi, e infine non ha mai confessato né collaborato con la giustizia”.

David Castillo è stato condannato per il suo ruolo nella pianificazione dell’omicidio e nella campagna di criminalizzazione del COPINH. Tra le prove che hanno permesso di incriminarlo c’è una grande quantità di conversazioni e messaggi tra Castillo, la dirigenza finanziaria di DESA e il coordinatore del gruppo di sicari, informazioni che il PM ha messo a disposizione durante il lungo processo, tra settembre e ottobre 2017. Computer, cellulari e memorie USB erano stati sequestrati un anno e mezzo prima durante una perquisizione negli uffici di DESA, avvenuta grazie alla pressione internazionale suscitata dall’omicidio, ma non erano mai stati utilizzati.

Una meticolosa inchiesta di The Intercept su questi documenti mostra che l’impresa pagava degli informatori per infiltrarsi nel movimento di protesta, sorvegliava e intercettava le persone che prendevano parte alle manifestazioni, offriva soldi ai mezzi di informazione per proporre una narrazione criminale degli attivisti del COPINH e insabbiare le violenze dell’esercito. Dell'amministrazione di DESA fanno parte diversi membri della famiglia Atala Zablah che in Honduras detiene un ingente capitale politico ed economico ed è in grado di garantire contatti e collaborazioni con le forze militari, i mass media e le istituzioni governative.

“Credo che una sentenza come quella di Castillo non ci sia mai stata in Honduras; nella maggior parte dei paesi dell’America Latina non abbiamo mai visto la condanna di un imprenditore, formato per lavorare nell’intelligence militare, che ha avuto incarichi statali”, continua Salvador. “È un risultato ottenuto grazie alla determinazione di tutti i movimenti del paese e di molte organizzazioni internazionali che hanno accompagnato questo processo. Anche solo riuscire ad aprire l’indagine è stato uno sforzo enorme, però abbiamo ottenuto il processo degli esecutori materiali e ora di uno dei quadri intermedi che hanno progettato l’omicidio”.

Nel novembre 2018 sono state condannate dal tribunale honduregno sette persone tra i sicari del commando che ha ucciso Berta Cáceres e un anno dopo hanno ricevuto pene tra i 30 e i 50 anni di carcere. Tra queste vi erano un ex istruttore di polizia militare e membro delle Forze Speciali e due ex-collaboratori dell’impresa DESA. Castillo è stato arrestato il 2 marzo 2018 ma i continui rinvii delle udienze hanno portato alla sua condanna solo tre anni dopo, e la sentenza finale che stabilisce la pena, prevista per il 3 agosto, è stata nuovamente rimandata a data da destinarsi, mentre nessun membro del consiglio direttivo di DESA né della famiglia Atala Zablah è stato accusato o interrogato.

“Sappiamo bene che non abbiamo ancora ottenuto una giustizia completa, manca molto in realtà, e purtroppo questo modo di agire contro i movimenti sociali è costante in Honduras, continua ad esserci impunità”, chiarisce Salvador che con il COPINH segue le diverse lotte ambientali e indigene nel paese.

Secondo Global Witness, nel 2019 in Honduras è stato registrato il più alto tasso di omicidi di difensori ambientali pro capite a livello mondiale. A fare le spese della violenza delle imprese private e della repressione statale sono soprattutto le donne impegnate nella lotta per la difesa del territorio che vengono stigmatizzate e criminalizzate ulteriormente per il loro ruolo di leadership. Secondo la campagna IM-Defensoras, il 48% dei casi di violenza verso le defensoras registrati in centroamerica avvengono in Honduras. 

La violenza continua anche nei confronti delle organizzazioni indigene che si oppongono alla distruzione dei loro territori, ne è un esempio il caso della sparizione forzata di 4 persone del popolo Garifuna e membri del OFRANEH (Organizzazione Fraterna Nera dell’Honduras), prelevate a luglio del 2020 da uomini armati e vestiti con indumenti della polizia e mai più riapparse. 

Sul fiume Gualcarque la costruzione della centrale idroelettrica di DESA è sospesa ma rimane vigente la concessione per poter portare avanti il progetto Agua Zarca. Il COPINH ha iniziato un nuovo processo legale per cancellare definitivamente i diritti dell’impresa che risalgono al 2010, quando il Congresso – dopo il colpo di Stato dell’anno prima – firmò contratti per diversi progetti energetici, senza consultare le comunità, come invece prevede il Convegno 169 della OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro) vigente in Honduras dal 1995.

Inoltre, da anni si conoscono e sono dimostrati i rischi legati ai grandi impanti idroelettrici e i danni ambientali che provocano, dalle inondazioni al prosciugamento dei corsi d’acqua. Come riconoscimento per la sua lotta in difesa del fiume, in grado di fermare la costruzione del progetto Agua Zarca, Berta Cáceres ha ricevuto nel 2015 il Goldman Prize per l’Ambiente. All’assegnazione del Premio, a San Francisco, Berta Caceres ha esordito spiegando ai presenti: “Nella nostra visione del mondo siamo esseri sorti dalla terra, dall’acqua e dal mais. Il popolo Lenca è custode ancestrale dei fiumi”. E poi ha lanciato un monito alla popolazione mondiale: “Svegliamoci umanità! Non abbiamo più tempo. Le nostre coscienze verranno scosse dal fatto di stare a guardare l’autodistruzione, fondata sul sistema predatorio capitalista, razzista e patriarcale”.

L’impegno di Berta come militante politica è un capitolo di una storia intergenerazionale. Sua madre, Austra Bertha Flores, è stata partera (levatrice tradizionale), attivista, governatrice locale e deputata honduregna. Cáceres è cresciuta vedendo la madre prendersi cura delle donne indigene, far nascere i loro figli e lottare per i diritti della sua comunità e quelli dei rifugiati politici salvadoregni in fuga dalla guerra civile. Fin da giovane, Berta si è impegnata nelle organizzazioni studentesche della sua città natale, La Esperanza, ha studiato per diventare maestra e con suo marito, il dirigente indigeno Salvador Zuniga, ha cresciuto Salvador insieme ad altre tre figlie: Olivia, Bertha e Laura. Per mantenere la famiglia si è dovuta recare negli Stati Uniti come lavoratrice migrante e una volta tornata in patria, oltre a guidare le battaglie del COPINH contro le imprese idroelettriche, il disboscamento e l’estrazione mineraria, ha sfidato i ruoli di genere tradizionali trasformandosi in una leader politica riconosciuta a livello internazionale. Berta veniva infatti invitata a partecipare a conferenze sulla difesa ambientale in Asia, Europa e nelle Americhe e la sua figura è diventata bandiera di molti movimenti ambientalisti nel mondo.

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“Aveva una grande umanità che si vedeva fin nei gesti più semplici, come occuparsi dei cani di strada, e aveva una grande capacità di tessere legami tra le comunità, di imparare e riportare le esperienze in altri territori dell’Honduras”, racconta suo figlio. “Per capire come siamo arrivati fino a questo punto bisogna considerare la determinazione di un popolo che viene da secoli di soprusi. Il processo di colonizzazione del popolo lenca è stato molto forte, per questo sentiamo che questa lotta per il fiume si lega al ritrovare l’identità del nostro popolo, la nostra storia. Questo processo collettivo significa in qualche modo anche sanare una ferita profonda, riconnettersi con la resistenza ancestrale lenca.”

Per i quattro figli di Berta, che sono nati nelle lotte che lei portava avanti, l’eredità che ha lasciato è qualcosa di collettivo che spinge a continuare il suo lavoro. “Negli incontri di formazione c’erano sempre donne e bambini, cosa che non è frequente in Honduras, erano spazi dove potevano esprimersi, perdere la paura, organizzarsi, e quei bambini sono come semi che oggi sono cresciuti. Come si dice nei diversi movimenti che appoggiano il COPINH: Berta non è morta ma si è moltiplicata".

Immagine in anteprima: UN Environment - ONU Brasil, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

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