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La frase sfortunata del viceministro Martone

24 Gennaio 2012 3 min lettura

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La frase sfortunata del viceministro Martone

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Dino Amenduni @doonie
valigiablu - riproduzione consigliata

La frase del giorno, almeno nelle discussioni online dei nostri coetanei, è quella pronunciata da Michel Martone, viceministro del lavoro, alla "Giornata sull'apprendistato" organizzata dalla Regione Lazio:

"Dobbiamo iniziare a dare nuovi messaggi culturali: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto professionale sei bravo e che essere secchioni è bello, perchè vuol dire che almeno hai fatto qualcosa"

(articolo e reazioni qui)

Questa uscita, come quasi tutto nel nostro Paese, ci sta già dividendo in favorevoli e contrari.

Basterebbe questa considerazione per ritenere l'uscita di Martone improvvida. Soprattutto perché parte dalla segnalazione di un problema (gli studenti universitari che passano anni senza risultati di rilievo) sostanzialmente condivisa, vanificata però da una "provocazione".

Due premesse prima di spiegarvi perché la penso così:

1. mi sono laureato (specialistica) a 24 anni. Non ho una proiezione autobiografica da difendere;

2. non è accettabile che una frase (l'equazione tra laureati sopra i 28 anni e 'sfigati') detta da un membro del Governo durante un confronto pubblico sia considerata "provocazione" solo perché è errata dal punto di vista comunicativo. È una frase detta davanti a una platea, all'interno di un ragionamento articolato, ed è dunque pienamente lucida.

Come si poteva trasformare questa uscita in un elemento di stimolo e riflessione comune?

A. Non generalizzando: nella rete della semplificazione finiranno tutti i ragazzi che non hanno, alle loro spalle, famiglie che possono permettersi di pagare gli studi; chi ha deciso di andare a vivere da solo e per farlo deve studiare e lavorare contemporaneamente; chi deve affrontare malattie, maternità, lutti, trasferimenti per i motivi più disparati. Se la frase di Martone era rivolta anche a loro, allora ne contesterei totalmente la sostanza; se non lo è (e così parrebbe) Martone ha commesso un errore;

B. Non piegando l'identità personale alla semplice componente accademica: chissà quanti italiani non sono laureati e hanno avuto successo nella vita. Chissà quanti 110 e lode girano per anni alla ricerca di lavoro, e non lo trovano perché magari qualche "sfigato" è raccomandato ha soffiato il loro posto. Chissà quanti hanno studiato per tutta la vita e non sono riusciti a realizzarsi e chissà quanti "sfigati" hanno messo su famiglia, hanno una casa, sono felici.

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C. Non parlando come un uomo della strada, ma facendo proposte: Michel Martone è viceministro del lavoro. Lo è da poco, certo, ma questo non gli impedisce di governare. Se dopo l'analisi avesse condiviso un'idea per valorizzare gli studenti meritevoli e penalizzare chi non si impegna (ad esempio: tassazione progressiva basata sul rendimento, coi più bravi che pagano molto meno dei meno bravi), la sua uscita avrebbe portato a un risultato concreto o perlomeno a una discussione pubblica sul merito della questione e non sul grado di condivisione di quella affermazione.

Per chiudere, se Martone avesse detto: "Chi resta parcheggiato in Università per dieci anni è uno sfigato" avrebbe probabilmente espresso lo stesso concetto che intendeva avanzare con quell'infelice equazione, con il merito (che dovrebbe essere un dovere per un uomo di Stato) di non colpire ragazzi che non se lo meritano.

Avrebbe riscontrato un grado di condivisione pubblica certamente maggiore, ma forse non sarebbe finito sulle prime pagine dei giornali.

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734 Comments
  1. Vincenzo Fiore

    Trascuri un elemento fondamentale, che ha contribuito ad accendere gli animi: il soggetto che ha espresso l'opinione. Martone è diventato professore Ordinario a circa 30 anni (32 o 29 a seconda delle biografie che circolano online). Chi ha dimestichezza del mondo accademico sa con assoluta certezza che questo significa concorso truccato (sottolineo, assoluta certezza: sono ricercatore assegnista da 4 anni e so di cosa sto parlando). A questo potremmo anche non dover aggiungere considerazioni varie e note sulle consulenze ministeriali. In questo senso qualsiasi messaggio positivo potesse esserci di fondo, l'etica personale del soggetto che lo propone lo fa diventare una provocazione. Il fatto stesso che soggetti simili possano avere ruoli di responsabilità senza altro merito se non quello delle conoscenze e delle "spinte" è umiliante per tutte le persone oneste che hanno rifiutato, quando sono state loro proposte, queste stesse spinte e raccomandazioni. E per fortuna ce ne sono ancora molte.

  2. Marco

    Ma come verifichiamo la correttezza degli esami, omogeneità e valutazione? Come obblighiamo i dicenti reticenti che rifiutano persino di rilasciate il programma d'esame? Come tuteliamo chi ha problemi? Avete idea del livello raggiunto attualmente dalle rette universitarie? E chi è figlio di due lavoratori che pagano le tasse (e quindi mantengono le università) deve anche pagare le rette ed un eventuale aumento? A questo punto si privatizzino Ed infine dei docenti divenuti tali per raccomandazione ne vogliamo parlare?

  3. athos asinari

    la mamma degli imbecilli continua sempre ad essere incinta

  4. Marco

    Mi scuso per gli errori nel post #2, purtroppo non ho ancora piena padronanza del mio nuovo cellulare

  5. Emanuela

    Grazie. Mi ero molto depressa dopo aver sentito la dichiarazione e aver letto articoli e commenti al riguardo. Hai espresso con lucidità quello che io non riuscivo ad esternare, perché invece sono coinvolta in prima persona. Ho 27 anni, lavoro, vivo da sola, mi mancano 2 esami e mi laureerò a 28 anni. Aggiungo solo un'altra cosa: dal mio primo giorno di università mi sono sentita ripetere che fuori non c'è lavoro, che fuori non c'è niente, che ci conveniva restare in università o trovarci lavoro come commessi. Non è che forse pure questo clima di completa sfiducia nel percorso accademico porta le persone a dilatare i tempi, a non mettercela tutta, a cogliere altre opportunità, extra universitarie, che si incontrano sul percorso mentre si studia?

  6. Mark

    ho 62 anni e credo che x certi versi non abbia torto. l'ha solo se genralizza, ma vedendo come si approccia in It l'università da SEMPRE ha ragione. troppo spesso ma e pa ti tengono "in vita" a prescindere. Emanuela x me non rientra in questo caso... ma non bisogna sempre incazzarsi quando si fanno degli esempi spinti che poi con un minimo di autoanalisi comprendi benissimo e sai dove ti puoi collocare...

  7. Claudio Riccio

    riassumo in breve alcune criticità che vi pongo: 1. dire "chi sta all'università fino a 28 è uno sfigato è sbagliato anche perché si dovrebbe dire "chi impiega 9/10 anni per laurearsi" dato che non conta l'età anagrafica ma la durata del percorso di studi, ma questo al prof Martone forse sfugge. 2. un altro problema è legato al ruolo che ricopre chi afferma che chi sta all'università fino a 28 anni è sfigato. Se sei il ministro del welfare non puoi eludere il problema di chi sta fino a 28 all'università perché deve lavorare per pagarsi gli studi, devi porti il problema della mancata copertura delle borse di studio, che costringe a lavorare migliaia di studenti in italia facendo loro perdere tempo negli studi, e parlo di chi all'università è in regola, ha medie alte, reddito basso, e avrebbe diritto alla copertura della borsa di studio, ma non la riceve a causa dei tagli. Molto spesso gli abbandoni universitari o i ritardi eccessivi sono connessi alle carenze del welfare. aggiungo che la percentuale dei laureati oltre i 27 anni è in vertiginoso aumento negli ultimi anni. È vero, nel 2010 la percentuale di laureati specialistici sopra i 27 anni è davvero altissima: 34,15%. Ma non è sempre stato così: - 2008 22,54%; - 2009 28,84%; - 2010 34,15%. considerate che per il diritto allo studio il taglio di risorse negli ultimi due anni è stato del 46,5%. 3. il problema principale dell'università italiana non sono i tempi di laurea, ma la qualità della formazione. Da qualche anno i criteri di assegnazione dei fondi alle università prevedono come criterio premiale il fatto che ci siano pochi fuori corso in un ateneo. Ciò porta molti atenei a rendere più facile il percorso di studi per avere più risorse, abbassando quindi il proprio livello qualitativo. Questo è un problema. 4. chi resta 15 anni all'università non è un costo per gli atenei. Generalmente non determinano consumi particolari (la maggior parte di loro non frequenta) e pagano tasse elevatissime, nei bilanci delle università i fuori corso portano risorse, sono quasi dei benefattori.

  8. Claudio Riccio

    RIPOSTO PERCHE' AVEVO SBAGLIATO LA FORMATTAZIONE DEL TESTO, SCUSATE. riassumo in breve alcune criticità che vi pongo: 1. dire "chi sta all'università fino a 28 è uno sfigato è sbagliato anche perché si dovrebbe dire "chi impiega 9/10 anni per laurearsi" dato che non conta l'età anagrafica ma la durata del percorso di studi, ma questo al prof Martone forse sfugge. 2. un altro problema è legato al ruolo che ricopre chi afferma che chi sta all'università fino a 28 anni è sfigato. Se sei il ministro del welfare non puoi eludere il problema di chi sta fino a 28 all'università perché deve lavorare per pagarsi gli studi, devi porti il problema della mancata copertura delle borse di studio, che costringe a lavorare migliaia di studenti in italia facendo loro perdere tempo negli studi, e parlo di chi all'università è in regola, ha medie alte, reddito basso, e avrebbe diritto alla copertura della borsa di studio, ma non la riceve a causa dei tagli. Molto spesso gli abbandoni universitari o i ritardi eccessivi sono connessi alle carenze del welfare. aggiungo che la percentuale dei laureati oltre i 27 anni è in vertiginoso aumento negli ultimi anni. È vero, nel 2010 la percentuale di laureati specialistici sopra i 27 anni è davvero altissima: 34,15%. Ma non è sempre stato così: - 2008 --> 22,54%; - 2009 --> 28,84%; - 2010 --> 34,15%. considerate che per il diritto allo studio il taglio di risorse negli ultimi due anni è stato del 46,5%. 3. il problema principale dell'università italiana non sono i tempi di laurea, ma la qualità della formazione. Da qualche anno i criteri di assegnazione dei fondi alle università prevedono come criterio premiale il fatto che ci siano pochi fuori corso in un ateneo. Ciò porta molti atenei a rendere più facile il percorso di studi per avere più risorse, abbassando quindi il proprio livello qualitativo. Questo è un problema. 4. chi resta 15 anni all'università non è un costo per gli atenei. Generalmente non determinano consumi particolari (la maggior parte di loro non frequenta) e pagano tasse elevatissime, nei bilanci delle università i fuori corso portano risorse, sono quasi dei benefattori.

  9. Paolo Granara

    invito tutti a leggere qui: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=10150512637313912&set=a.101777153911.91013.101748583911&type=1&theater e a dirmi se non siete d'accordo con questa interpretazione...

  10. Mauro

    Rispondo a Vincenzo Fiore, senza voler fare polemica. Affermare che l'essere professore ordinario a 29 anni sia sinonimo di concorso truccato è frutto dello stesso errore dei 28enni sfigati: generalizzazione. Io non sono un ricercatore, ma ho finito l'università da tre mesi ed ho avuto più di cinque professori con meno di 32 anni (di cui due ordinari) e almeno il doppio sotto i 45. Di contro nel mio corso in particolare e nel mio dipartimento in generale la norma sono i professori tra i 40 ed i 50 anni. E' così ovunque? Certo che no, sono consapevole del fatto di aver vissuto un ambiente molto particolare in proposito. Dico però che, con un'affermazione come la Sua, si rischia di asserire che persone qualificate e capaci occupino il posto che occupano per cause che prescindono le loro qualità. E non è giusto. Fermo restando che deploro la raccomandazione.

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