Tasse sulle eredità più ricche per dare di più ai giovani: una via per una società più giusta
15 min letturaNegli ultimi giorni ha fatto molto discutere la proposta del Partito democratico di dare ogni anno a 280 mila neodiciottenni 10 mila euro, da utilizzare per voci di spesa come l’istruzione, il lavoro o la casa. Le risorse per finanziare questa misura arriverebbero da un aumento delle imposte di successione solo per chi eredita una cifra superiore ai 5 milioni di euro, dunque una netta minoranza della popolazione. Già nelle scorse settimane, in diverse interviste, il segretario del Pd Enrico Letta aveva anticipato questa proposta, senza però attirare le attenzioni di politici e giornali, che avevano preferito concentrarsi sulla richiesta di Letta di semplificare, con lo “ius soli”, l’ottenimento della cittadinanza italiana per i minori stranieri.
Questa volta la proposta della dote ai diciottenni ha generato forti critiche, sia da politici della maggioranza (anche del Pd) che dall’opposizione. In una conferenza stampa del 20 maggio il presidente del Consiglio Mario Draghi ha inoltre subito stoppato questa ipotesi, dicendo che «non è il momento di prendere i soldi dei cittadini, ma di darli» e che la priorità è una riforma complessiva del fisco. Le parole scelte da Draghi non sono neutre perché pongono l’accento su una cornice specifica (il framing, come vedremo meglio più avanti), ossia quella del “togliere” – omettendo di dire “a chi ha accumulato di più” – piuttosto che quella del “dare” o “redistribuire a chi ha di meno”, nello specifico ai giovani.
Al di là della proposta del Pd e di quello che pensa Draghi, cerchiamo di capire perché oggi in Italia – e non solo – è necessario discutere con serietà e fermezza la possibilità di ripensare le imposte di successione, con l’obiettivo di aiutare chi ha di meno e di mirare ad avere una società più giusta ed equa. A scanso di equivoci, sottolineiamo che un serio dibattito su questo tema non è assolutamente alternativo ad altre questioni, di cui ci siamo già occupati in passato, sia in ambito fiscale (si pensi al tema più generale della patrimoniale o delle tasse alle multinazionali che spostano profitti all’estero) sia per la crescita del paese a favore dei giovani, in settori come la ricerca, il divario di genere e il mercato del lavoro.
La ricchezza e le eredità sono sempre più concentrate
L’11 maggio l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che raccoglie i paesi al mondo economicamente più avanzati, ha pubblicato un rapporto in cui spiega perché le tasse sull’eredità – o meglio, le imposte di successione e sulle donazioni – possono essere un valido strumento per contrastare le disuguaglianze, in particolare quelle generate dalla pandemia di COVID-19. Lo studio, lungo 149 pagine, parte da due dati di fatto e una previsione, poco incoraggiante.
Il primo dato di fatto è che nel mondo la ricchezza delle famiglie è distribuita in modo fortemente diseguale. Tra i paesi analizzati, il 10% delle famiglie più ricche possiede (p. 19) in media oltre la metà di tutta la ricchezza netta (ossia senza considerare i debiti), con l’1% più ricco che possiede quasi un quinto di tutta la ricchezza. C’è un’ampia differenza tra le varie nazioni prese in considerazione: negli Stati Uniti – prima in classifica – quasi l’80% della ricchezza è posseduta dal 10% più ricco, mentre in Slovacchia – ultima in classifica – è di oltre il 30% (Grafico 1).
A prima vista potrebbe sembrare che l’Italia sia tra i paesi meno diseguali, con un 43% della ricchezza in mano al 10% più ricco e il 12% posseduto dall’1% più ricco. Recenti evidenze empiriche mostrano che negli anni la ricchezza è sempre più concentrata anche nel nostro paese. Secondo uno studio pubblicato ad aprile 2021, basato sui lasciti ereditari e realizzato, tra gli altri, dall’economista dell’Università Roma Tre Salvatore Morelli, dalla metà degli anni Novanta al 2016 (ultimo anno disponibile) lo 0,1% più ricco in Italia ha visto raddoppiare la propria ricchezza netta media, passando dal possedere una quota del 5,5% sul totale al 9,3% circa. Il 50% meno ricco – o meglio, più povero – che nel 1995 controllava l’11,7% della ricchezza totale, nel 2016 è sceso al 3,5%.
Il secondo dato di fatto registrato dall’OCSE è che i trasferimenti di ricchezza – non sorprendentemente – tendono a favorire (p. 34) chi è più ricco. Detta altrimenti, chi ha già di più ha maggiori probabilità di ricevere in eredità o in dono maggiori ricchezze, alimentando una situazione di partenza per nulla equilibrata. Come mostra il Grafico 2, chi si trova nel 20% di popolazione più ricco – il blu scuro – riceve eredità e donazioni con un valore maggiore. In Italia le differenze sono evidenti.
Sempre uno studio di Morelli e dell’economista Paolo Acciari, uscito a marzo scorso, ha mostrato che nel 1995 tutti i lasciti sopra al milione di euro erano circa l’1,2% di quelli totali e corrispondevano a un valore pari al 18,7% di tutte le eredità. Nel 2016 (ultimo anno disponibile) superava la cifra di un milione di euro il 2,5% di tutti i lasciti, coprendo il 24,8% del totale di tutte le eredità. Detta altrimenti, anche le eredità da tempo registrano un fenomeno di accentramento.
Secondo l’OCSE, a livello internazionale queste dinamiche non sono destinate ad affievolirsi, anzi. La generazione dei cosiddetti “baby boomer” – nata subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e vissuta in decenni di fortuna – sta diventando sempre più anziana. Con tutte le ricchezze accumulate nel tempo il numero delle eredità è destinato a crescere nei prossimi anni. Senza contare che la crisi economica del 2008 e quella della COVID-19 – come spiegato anche di recente dalla Banca d’Italia – hanno creato le condizioni per accrescere ancor di più le disuguaglianze di opportunità tra le generazioni più giovani e quelle più anziane, radicatesi nei decenni scorsi.
Qui secondo l’OCSE entrano in gioco le tasse sull’eredità: vediamo perché e com’è la situazione attuale nel nostro paese.
Le imposte di successione in Italia sono tra le più basse al mondo
Un intero capitolo del rapporto dell’OCSE è dedicato agli argomenti pro e contro le imposte di successione, che in larga parte ricalcano quelli che abbiamo analizzato a dicembre scorso per l’introduzione di un’imposta patrimoniale su tutta la ricchezza detenuta da una persona, e non solo su quella ereditata.
I ricercatori dell’OCSE hanno raccolto (p. 37) decine di studi, sia teorici che empirici, per valutare due dimensioni delle imposte di successione: la loro equità e la loro efficienza. Per quanto riguarda il primo punto, in breve le evidenze empiriche mostrano che le imposte sulle eredità – in particolare quelle progressive, che chiedono di più a chi ha di più – possono ridurre le disuguaglianze sulla ricchezza, soprattutto sul lungo periodo e se le entrate raccolte vengono redistribuite alla popolazione. Per quanto riguarda l’efficienza delle imposte di successione, i ricercatori hanno raccolto evidenze meno decisive. In generale, le tasse sull’eredità non sembrano modificare più di troppo la propensione al risparmio delle persone e possono incentivare di più al lavoro chi riceve un’eredità. Anche l’obiezione della “doppia tassazione” – ossia che con le imposte di successione si tassino patrimoni su cui sono già state pagate altre tasse – è piuttosto «debole» secondo l’OCSE, dal momento che non in tutti i paesi la ricchezza accumulata è stata tassata in toto.
Tra i punti critici, da un punto di vista pratico, resta il rischio che le imposte di successione incentivino i cittadini a cercare di eludere il fisco e a spostare all’estero i propri patrimoni. Il tema è particolarmente articolato e proprio per questo merita una riflessione su come limitare questi rischi, piuttosto che rinunciare a priori a mettere mano alle imposte di successione. Questo ovviamente richiede un serio impegno a progettare imposte (il cosiddetto tax design) che tengano in considerazione tutti i fattori in campo, in particolare gli altri settori del sistema fiscale. Ma come vedremo tra poco, questo non significa necessariamente rinunciare a una discussione su un singolo intervento, rimandando il dibattito per forza a questioni più generali – e di certo non derogabili – come la riforma generale del fisco (in particolare delle tasse sul lavoro) o delle pensioni.
Infine l’OCSE suggerisce (p. 117) anche di “incorniciare” (policy framing) le proposte di revisione delle imposte di successione spiegando meglio come funzionano, chi riguardano e come si intendono riutilizzare le risorse raccolte e introducendo altre riforme parallele, per esempio per abbassare il livello generale della pressione fiscale. Diversi studi mostrano che le tasse sull’eredità sono infatti tra le meno apprezzate dai cittadini, ma anche quelle su cui c’è minore conoscenza e consapevolezza. Visto il dibattito degli ultimi giorni, viene da pensare che sia questo anche il caso dell’Italia, come mostrano i seguenti numeri.
In media, tra i paesi analizzati nel rapporto, solo lo 0,5% di tutte le entrate raccolte proviene (p. 65) da imposte sull’eredità o sulle donazioni. Nel nostro paese questa percentuale si aggira intorno allo 0,1%, mentre in Stati come la Corea del Sud la percentuale arriva all’1,6% (Grafico 3). Ci sono paesi – come Australia, Svezia e Israele, solo per citarne alcuni – dove la percentuale è invece dello 0%. C’è dunque chi ricava meglio del nostro paese, che comunque è tra i fanalini di coda.
A livello internazionale durante gli anni Settanta le entrate dalle imposte di successione sono costantemente calate (p. 67), per poi stabilizzarsi dagli anni Ottanta in poi. In Italia, sempre gli economisti Acciari e Morelli hanno rilevato che dalla metà degli anni Novanta al 2016 il gettito fiscale proveniente dall’imposta di successione, in rapporto a tutte le entrate dell’erario, si è dimezzato, mentre il flusso delle eredità è continuato a salire. Ricordiamo che nel nostro paese le tasse sull’eredità sono state reintrodotte dal secondo governo Prodi nel 2006, dopo che Silvio Berlusconi le eliminò nel 2001, ma uno dei problemi maggiori è che attualmente sembrano essere ancora troppo generose. Anzi, sono tra le più generose al mondo.
In Italia è tassata con un’aliquota del 4% la parte delle eredità nette (tolti dunque i debiti) che supera la franchigia da un milione di euro e che viene lasciata a parenti in linea diretta, ossia figli o genitori. Esempio concreto: se un figlio eredita meno di un milione di euro da un genitore, non paga imposte di successione; se eredita 2 milioni di euro, paga il 4% di imposte sul milione di euro oltre il valore della franchigia, quindi 40 mila euro. Un’aliquota del 6% viene invece applicata alla parte eccedente le eredità da 100 mila euro dirette a fratelli o sorelle. Un’aliquota sempre del 6%, senza soglie di valore, si applica per i trasferimenti verso parenti più lontani (per esempio cugini o i figli di sorelle e fratelli), mentre un’aliquota dell’8% si applica per i casi non contemplati dai tre precedenti. Come mostra (p. 84) il Grafico 4, le aliquote in vigore in vari paesi analizzati dall’OCSE – che poi possono variare con una serie di esenzioni – sono quasi tutte più alte rispetto a quelle italiane e scattano a franchigie più basse.
Le discrepanze dell’Italia rispetto allo scenario internazionale sono evidenti (p. 86) anche guardando il Grafico 5, con le aliquote massime e minime delle imposte di successione nei Paesi analizzati dall’OCSE, in base a tre legami di parentela – figli, sorelle fratelli, zii e nipoti – o all’assenza di legami. L’Italia è in fondo in tutti e quattro i riquadri.
Si potrebbe obiettare che l’Italia è uno dei paesi OCSE con la pressione fiscale più alta, senza dimenticarsi l’alto livello di evasione fiscale. Ma ciò non toglie che quanto visto finora mostra la necessità di discutere seriamente di quando e come intervenire per riequilibrare una situazione anomala, come è stato segnalato anni fa anche dal Fondo monetario internazionale (FMI).
Le risposte alle obiezioni della dote per i diciottenni
La seconda scelta politica, di cui si discute molto negli ultimi giorni, riguarda invece il come usare le eventuali risorse raccolte con un revisione delle imposte di successione.
Innanzitutto, sottolineiamo che l’idea di Letta di dare una dotazione finanziaria ai neodiciottenni non è nuova nel panorama politico italiano, anzi. Già nel 2018 alcuni deputati del Partito democratico – capitanati da Andrea Marcucci, oggi contrario alla proposta di Letta – presentarono una proposta di legge per dare 18 mila euro ai diciottenni (mille euro per ogni anno di vita) da spendere in istruzione, lavoro e casa.
Di recente anche il Forum disuguaglianze diversità (ForumDD) – presieduto dall’ex ministro Fabrizio Barca – ha presentato 15 proposte, dopo mesi di discussione sulle idee dell’economista britannico Anthony Atkinson, scomparso nel 2017. Senza entrare troppo nei dettagli (che trovate qui), la proposta numero 15 del ForumDD è quella di dare ogni anno a tutti i neodiciottenni 15 mila euro, senza distinzioni economiche e senza vincoli di spesa, due caratteristiche ben differenti rispetto al progetto avanzato dal Pd. In più, secondo il ForumDD una dotazione universale di questo tipo andrebbe finanziata con una riforma più ambiziosa del sistema fiscale, con l’introduzione di un’imposta sui “vantaggi ricevuti”, ossia un’imposta progressiva sulla somma di tutti i trasferimenti di ricchezza alla morte (eredità) e liberalità in vita (donazioni) ricevute da un singolo individuo durante tutto l’arco della vita.
Buona parte delle critiche che sono state fatte in questi giorni all’idea avanzata da Letta possono essere fatte anche alla proposta del ForumDD, che però ha dettagliato il suo progetto molto più a fondo rispetto al Pd, che si è solo limitato a proporre di alzare al 20% l’aliquota per i lasciati oltre i 5 milioni di euro.
Una prima obiezione contro la dote ai diciottenni è chiedere se sia un efficace strumento di redistribuzione della ricchezza, viste le disuguaglianze di cui abbiamo parlato prima. «Esistono simulazioni per l’Italia e gli Stati Uniti che suggeriscono come l’istituzione di una politica simile possa, nell’arco di 15 anni circa, più che dimezzare la proporzione di adulti con ricchezza nulla o negativa, avendo un potenziale effetto concreto sulla vulnerabilità finanziaria. Ci sono però più incertezze su cosa possa accadere fuori dal contesto di una simulazione statica, tenendo più precisamente in considerazione le risposte comportamentali di chi riceve e di chi viene tassato», ha spiegato a Valigia Blu Salvatore Morelli, economista dell’Università Roma Tre, membro del ForumDD e direttore del Wealth Project dello Stone Center on Socio-Economic Inequality di New York, un progetto di ricerca sulla disuguaglianza economica. «È giusto dire che al momento esistono solo evidenze parziali e certamente non sistematiche. Si tratta di una proposta mai attuata in nessun Paese».
Un esempio simile di dote ai giovani è stato il Child trust fund nel Regno Unito, un conto di risparmio lanciato nel 2005 e soppresso nel 2011 dove il governo britannico versava per ogni bambino nato una somma – con il contributo volontario nel tempo anche dei genitori – che, una volta accresciutasi, poteva essere ritirata raggiunta la maggiore età. «Le evidenze empiriche sul Child trust fund scarseggiano, ma sulla dote ai diciottenni si potrebbe approfittarne per effettuare una sperimentazione su un campione limitato ed in un contesto controllato in modo da effettuare un’accurata analisi di impatto», ha aggiunto Morelli. «Una sperimentazione potrebbe fornire basi informative cruciali anche per il confronto scientifico internazionale e agire da guida alle scelte di politica pubblica, anche all’estero: per una volta l’Italia potrebbe fare da apripista».
Secondo altri critici, la proposta del Pd, e in generale quella di dare una dote finanziaria ai neomaggiorenni, rischia di essere solo uno slogan demagogico, per di più finanziato con l’aumento delle tasse, in un Paese come l’Italia dove la pressione fiscale è già parecchio alta e dove la priorità dovrebbe essere riformare il fisco più in generale o riorganizzare la spesa pubblica. Una posizione, come abbiamo visto, che sembra sposare anche il presidente del Consiglio Mario Draghi.
«Si può e si deve anche parlare di modifiche ai singoli pezzi dell’insieme, se non altro perché meritano attenzione, energia e ragionamenti separati e complessi. Detto questo, certamente una misura che tassi le eredità e distribuisca risorse finanziarie ai giovani e alle giovani non potrebbe bastare a ristabilire condizioni di giustizia sociale e né dovrebbe costituire un alibi per non fare nient’altro», ha sottolineato Morelli a Valigia Blu. «La crisi generazionale viene da lontano e ha radici complesse che si fondano nella crisi demografica e di natalità, nell’instabilità e precarietà del mondo del lavoro, e nella crisi dell’istruzione. Ciò per ribadire che non esiste certo una bacchetta magica e che gli interventi di politica pubblica devono tenere conto di vari aspetti. Tuttavia, è anche importante ribadire che affrontare ognuno di questi temi senza toccare la questione del peso delle ricchezze familiari nel condizionare le scelte di vita e le opportunità delle nuove generazioni appare inopportuno e persino controproducente. La ricchezza conta molto perché è una formidabile base di libertà di azione e pianificazione. La competizione è truccata dalla lotteria della nascita e se si ha a cuore l’uguaglianza di opportunità ci sono gli spazi per intervenire».
Un punto delicato, come ha tra gli altri sottolineato in passato su Il Foglio anche l’economista della Stony Brook University di New York Sandro Brusco, è quello sulle coperture finanziarie. Secondo le stime del Pd, dare 10 mila euro a 280 mila neodiciottenni costerebbe ogni anno 2,8 miliardi di euro, mentre nel 2020 le entrate dalle imposte sulle eredità e sulle donazioni sono state di circa 430 milioni di euro (l’anno prima erano state 360 milioni in più). Da qui la proposta di aumentare al 20% l’aliquota per i lasciti oltre i 5 milioni di euro, senza però introdurre un sistema veramente progressivo dei lasciti inferiori a questo valore. A questo si aggiunge il fatto che da anni si ribadisce la necessità – senza risultati concreti – di approvare una riforma del catasto, in grado di correggere i valori catastali degli immobili (oggi più bassi di circa tre volte rispetto a quelli di mercato) su cui si basano imposte patrimoniali come l’Imu o quelle di successione. Lo stesso “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR) ricorda che anche l’Unione europea ha più volte raccomandato al nostro paese di intervenire in questo settore e di approvare velocemente una riforma del catasto.
«Sì, l’incertezza sul gettito è grande, ma se si vuole essere seri nell’affrontare la riforma non si può certo ignorare questi aspetti cruciali. La riforma del catasto è importante per raggiungere gli obiettivi di gettito ma anche per considerare qualsiasi proposta come equa», ha evidenziato Morelli. «Faccio un esempio: immaginate una casa con valore di mercato di circa 6 milioni di euro. Al catasto ne varrebbe circa 2 milioni di euro, considerando che in media i valori catastali sono tre volte più bassi di quelli di mercato. Con l’attuale imposta e senza riforma del catasto, e quindi anche con la proposta avanzata da Letta, i due ipotetici figli erediterebbero un milione di euro a testa. Sarebbero dunque esenti da tassazione. Allo stesso modo è importante ridurre gli spazi di deduzione fiscale allargando la base imponibile dell’imposta. Qualunque imposta con una base imponibile piena di buchi, permettendo diversi trattamenti fiscali di favore, sarà inefficiente, eludibile e sostanzialmente iniqua».
C’è poi chi, anche a sinistra del Pd, ha dato il suo parere favorevole all’aumento delle imposte di successione, come Possibile di Pippo Civati, ma schierandosi contro l’idea della dote ai giovani intesa come «bonus una tantum da spendere in formazione e istruzione». L’obiezione è che le risorse raccolte con le nuove tasse andrebbero usate per investimenti di più ampio respiro, per esempio per l’università o l’accesso al mercato del lavoro.
«Discutere degli utilizzi delle risorse pubbliche è fondamentale e bisognerebbe farlo ponderando accuratamente le scelte a disposizione. Bisogna ricordare anche che una misura è sempre un tassello e non può essere considerata senza pensare a tutte le altre esistenti», ha sottolineato a Valigia Blu Morelli. «Infine le risposte dipendono anche dagli obiettivi che ci si prefigge. Quali sono gli aspetti della vita delle persone e del vivere collettivo che si intende migliorare con una proposta? Molto spesso ci si dimentica di fornire questa visione di intervento. Ma è importante. Perché poi gli strumenti proposti si giudicano anche in coerenza con gli obiettivi prefissati. La misura di eredità universale proposta dal ForumDD ha l’obiettivo generale di accrescere la libertà sostanziale dei giovani e delle giovani in fase di transizione verso la vita adulta. L’obiettivo è volto ad accrescere le capacità dei nostri giovani e le nostre giovani di raggiungere gli obiettivi che indipendentemente si prefiggono nella vita e a cui danno valore, non obiettivi che ha fissato qualcun altro. In accordo con questa visione, il ForumDD propone di istituire una base di ricchezza universale per tutti i giovani e non suggerisce di condizionare l’uso delle risorse economiche ma di accompagnare le scelte con servizi abilitanti. Ciò riconoscerebbe che non tutti hanno le capacità e gli strumenti per effettuare scelte oculate».
Al momento non è chiaro se e come il Partito democratico porterà avanti la sua battaglia sull’aumento delle imposte di successione per dare una dote ai neodiciottenni. Ospite a Che tempo che fa su Rai 3 il 23 maggio, il segretario Enrico Letta ha ripetuto (min. 32:10) che è consapevole della necessità di riformare il fisco in generale, ma che la dote ai diciottenni sarebbe un «segnale», sia perché pensata per i giovani sia perché finanziata da chi ha di più. Le posizioni di Draghi e di altri membri della maggioranza però non sembrano lasciare la minima speranza che questa misura diventi realtà con l’attuale esecutivo.
«Sono certamente temi delicati e, a mio avviso, ci si deve concedere il tempo per parlarne con ragione, anche con fermezza», ha concluso Morelli. «Le reazioni sono finora perlopiù scomposte, acerbe e istintive. È una cosa positiva che il Partito democratico abbia posto questi temi all’attenzione pubblica. Vedremo come si porteranno avanti».