Grecia, la protesta di migliaia di studenti contro l’istituzione di un corpo di polizia nei campus universitari
8 min letturaCon 166 voti a favore e 132 contrari, il Parlamento greco ha approvato lo scorso 11 febbraio una controversa riforma dell’istruzione che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di un corpo di polizia incaricato di sorvegliare i campus universitari. Voluta dal governo di centrodestra guidato da Kyriakos Mitsotakis, la riforma ha lo scopo dichiarato di eliminare dagli atenei l’illegalità e gli episodi di vandalismo e violenza. Ma opposizione e associazioni di studenti sono sul piede di guerra, e accusano il governo di violare la costituzione minando la libertà accademica.
Nelle frequenti manifestazioni che invadono le strade di Atene e delle altre città greche, i rapporti con la polizia si sono fatti sempre più tesi nel corso degli ultimi mesi. La riforma dell’istruzione ha portato migliaia di manifestanti in piazza ogni settimana: a Salonicco, lo scorso 22 febbraio, 31 studenti sono stati arrestati dopo aver occupato gli uffici del rettorato dell’Università Aristotele, sfidando il divieto pressoché totale di manifestare. E anche se le restrizioni sono giustificate dal governo con la necessità di contenere i contagi – in Attica è stato da poco inasprito il lockdown iniziato a novembre – c’è chi vede nelle decisioni dell’esecutivo un progetto di repressione del dissenso di cui la nuova polizia universitaria è solo la più recente e sfacciata espressione.
La generazione del Politecnico e l'asilo universitario
Quello tra forze dell’ordine e atenei è un rapporto delicato, che in Grecia evoca un passato ancora vivido nell’immaginario collettivo. Gli studenti che nel novembre del 1973 occuparono il Politecnico di Atene assursero a simbolo di resistenza popolare alla dittatura dei colonnelli. Nella notte tra il 16 e il 17 novembre, il dittatore Papadopoulos mandò i carri armati dell'esercito per fare breccia nei cancelli del Politecnico e sgomberare un’occupazione che durava ormai da giorni. Rigettati in strada dai militari, gli studenti trovarono ad attenderli la polizia, che quella notte ne uccise 24.
Papadopoulos fu deposto pochi giorni dopo, ma la junta militare restò al potere fino al luglio dell’anno successivo. L’eredità delle proteste studentesche si sarebbe però rivelata ben più profonda e duratura rispetto ai modesti sconvolgimenti che l’occupazione provocò nell’immediato. La ‘Generazione del Politecnico’ ha dato infatti forma alla Grecia post-dittatura e ha istituito, tra le altre cose, il cosiddetto “asilo universitario”. Fino al 2019, la polizia poteva entrare nelle scuole e nei campus pubblici solo se invitata dalle autorità dell’istituto, che includevano una rappresentanza degli studenti. Ridimensionato per la prima volta nel 2011, l’asilo era stato reintrodotto nel 2017, per poi essere abolito definitivamente due anni più tardi dal governo di Nuova Democrazia, che si è proposto di porre fine alla cultura di impunità e di illegalità diffusa nei campus universitari.
Da un punto di vista giuridico, per la verità, l’asilo non faceva delle università un Wild West senza leggi di sorta. Gli atenei si facevano carico della loro stessa sicurezza, anche tramite personale di sorveglianza che rispondeva al rettore, e la polizia poteva entrare nei campus anche senza autorizzazione, in deroga all’asilo universitario, in caso di crimini gravi, come i reati contro la vita delle persone. Le frequenti occupazioni e gli occasionali episodi di vandalismo e violenza hanno però indotto il governo all’abolizione dell’asilo, spalancando alle forze dell’ordine i cancelli delle università. Ma neanche questo, secondo l’esecutivo in carica, è stato sufficiente a eradicare l’illegalità. E la riforma appena approvata si spinge oltre.
La nuova Polizia
Il 30 ottobre 2020 una quindicina di aggressori incappucciati si è introdotta nell’ufficio del rettore dell’Università di Economia e Commercio di Atene, Dimitris Bourantonis, appendendogli al collo un cartello con scritto “solidarietà con le occupazioni” prima di immortalarlo e postare la foto online. La grande risonanza mediatica della vicenda ha indotto Nuova Democrazia a annunciare misure più stringenti, che si sono concretizzate nella riforma approvata l’11 febbraio.
Le 1000 unità della nuova polizia universitaria stazioneranno in modo permanentemente all’interno dei campus. Il Consiglio dei Rettori, largamente favorevole a misure per aumentare la sicurezza – tessere elettroniche per l’accesso agli atenei, migliore illuminazione e telecamere di sorveglianza – voleva che la nuova polizia rispondesse direttamente alle autorità universitarie. Ma alla fine ha prevalso la linea della ministra dell’istruzione Niki Kerameus: le nuove guardie saranno pagate con i fondi dell’università ma risponderanno solo all’ELAS, la polizia ellenica. Non avranno armi da fuoco in dotazione, ma potranno sottoporre a fermo eventuali sospetti e chiamare a supporto i loro colleghi delle squadre antisommossa.
Il governo conservatore ha presentato i cambiamenti introdotti dalla riforma come misure di buon senso, necessarie per allineare le università greche a standard di decoro e sicurezza già in vigore in gran parte dei paesi occidentali. Ma se corpi di polizia deputati alla sorveglianza dei campus sono presenti negli Stati Uniti e in certa misura in Canada, in Europa si tratta invece di un unicum. Lo ha rimarcato il sindacato accademico University and College Union (UCU) dell’Università di Oxford in una mozione approvata il 26 gennaio, precisando che “l’Università di Oxford non dispone di una forza di polizia universitaria, e che alla sicurezza nei siti universitari provvede il personale stesso dell’università”. Nel solidarizzare con i colleghi ellenici, l’UCU ha aggiunto che è improbabile che la presenza della polizia rappresenti un rimedio valido per i problemi cronici degli atenei greci, come le risorse economiche insufficienti e i tagli al personale. Secondo alcune voci critiche verso la riforma, la presenza in pianta stabile della polizia nei campus mette a rischio la libertà accademica nella sua integrità e viola l’articolo 16 della Costituzione, in cui è sancito che le università sono luoghi completamente autogovernati.
L'escalation delle tensioni
L’istituzione della nuova polizia universitaria si colloca in un contesto di tensioni crescenti tra le forze dell’ordine e una fetta dei cittadini ellenici. Già relativamente all’ultimo quarto del 2019, quando il governo Mitsotakis si era da poco insediato, Amnesty International esprimeva preoccupazione per i sempre più frequenti atti di uso eccessivo della forza da parte delle autorità, e per la “pervasiva cultura di impunità” ad essi associata.
Con la pandemia, il clima si è fatto anche più incandescente. A partire dallo scorso luglio, gli organizzatori di ogni manifestazione sono tenuti a informare in anticipo le autorità, che si riservano il potere di negare l’autorizzazione per prevenire eccessivi disagi alla vita sociale ed economica delle città. Gli organizzatori delle manifestazioni sono anche ritenuti legalmente responsabili per i danni materiali provocati dai partecipanti (o da eventuali infiltrati) – una norma criticata anche dall’ordine degli avvocati di Atene.
A metà novembre, nell’anniversario della protesta degli studenti del Politecnico contro la dittatura dei Colonnelli, le tradizionali manifestazioni sono state vietate, ufficialmente per prevenire l’aumento dei contagi. Ogni raduno pubblico con più di quattro partecipanti è stato proibito e il governo ha dispiegato per le strade di Atene oltre 5000 agenti di polizia con tanto di droni e elicotteri per far rispettare il divieto.
La stessa proibizione si è ripetuta il 6 dicembre. In quella data, nel 2008, un agente di polizia sparò al 15enne Alexandros Grigoropoulos nel quartiere ateniese di Exarcheia, uccidendolo. Le massicce rivolte di piazza che si scatenarono sull’onda di quell’evento si ripetono da allora ogni anno. Lo scorso dicembre però, sempre sull’onda delle preoccupazioni per la diffusione del contagio, la polizia è stata particolarmente severa, impedendo ai manifestanti di commemorare Grigoropoulos. Hanno fatto scalpore le immagini di un agente di polizia ripreso mentre distruggeva un mazzo di fiori deposti in ricordo del ragazzo a Exarcheia.
Le restrizioni non risparmiano neanche i giornalisti, i quali, quando seguono le manifestazioni, dovranno limitarsi a specifiche postazioni assegnate dalla polizia. Secondo Reporters Without Borders (RSF), le nuove linee guida limitano la possibilità dei giornalisti di svolgere il loro lavoro e rendono più facile per le autorità disseminare la loro versione dei fatti. Un elemento tanto più preoccupante alla luce di alcuni recenti episodi, come il fermo del fotogiornalista Tony Rigopoulos lo scorso novembre.
Gli altri aspetti controversi della riforma
Nel clima di tensione che si respira ad Atene, l’istituzione di un corpo di polizia all’interno delle università è il tema che ha catalizzato la maggior parte dell’attenzione (e delle polemiche) nelle ultime settimane. Ma la riforma dell’istruzione, approvata dal Parlamento con i voti di Nuova Democrazia e del partito di estrema destra Soluzione Greca, contiene anche altri punti controversi.
Il primo aspetto è l’introduzione di un limite di tempo per il completamento degli studi. Gli studenti avranno a disposizione un massimo di sei anni per concludere un corso di laurea quadriennale, e nove anni per un corso sessennale. Secondo i critici della riforma, il tetto massimo alla durata degli studi rischia di penalizzare gli studenti lavoratori; tuttavia, a chi ha modo di dimostrare un impiego di 20 o più ore a settimana potrà essere concesso del tempo extra per ottenere la laurea. In alternativa, gli studenti possono fare domanda per la sospensione temporanea degli studi - in caso di gravidanza, ad esempio - ma le loro situazioni verranno valutate caso per caso. La recente esplosione del movimento #MeToo in Grecia, poi, ha aperto il dibattito su un’altra categoria di cause che possono impedire di completare un corso di laurea nei tempi previsti: una studentessa dell’università di Salonicco ha raccontato di aver sospeso per diversi anni gli studi, per riprenderli solo dopo che il professore che la abusava era andato in pensione.
Inoltre, la riforma nega l’accesso all’istruzione universitaria pubblica agli studenti che otterranno meno di un certo punteggio agli esami di Stato, che in Grecia si sostengono alla fine dell’ultimo anno di scuola superiore. Finora, il risultato ottenuto agli esami aveva un peso solo relativo: un voto alto aumentava le possibilità di essere ammessi alle facoltà più ambite nelle università più prestigiose, ma anche con un voto basso si poteva accedere alle università pubbliche fino all’esaurimento dei posti disponibili. Attribuendo invece alla performance negli esami un peso assoluto, non rapportato ai posti disponibili nelle università, il nuovo sistema penalizza le facoltà meno ambite e soprattutto gli atenei regionali, che rischiano di ritrovarsi fino al 60% di iscritti in meno negli anni a venire. Gli esclusi dall’università potranno iscriversi ai college privati, che non hanno una soglia di accesso ma i cui diplomi, in Grecia, non godono dello stesso status legale e del prestigio di quelli pubblici.
Le nuove regole sono destinate a inasprire la competizione tra gli aspiranti studenti universitari, favorendo il già florido settore dei frontistiria, le scuole pomeridiane che i maturandi più ambiziosi – e più abbienti – frequentano per prepararsi agli esami di ammissione. A lavorare nei frontistiria, peraltro, sono spesso gli stessi insegnanti delle scuole pubbliche a caccia di un modo per arrotondare: in Grecia, i salari reali degli insegnanti sono calati del 20% tra il 2000 e il 2019 secondo dati OECD.
Un cablo del 2009 tra gli Stati Uniti e l’allora ambasciatore americano ad Atene Daniel V. Speckhard, pubblicato da Wikileaks, mostra che i problemi cronici di sottofinanziamento dell’istruzione in Grecia erano già presenti quando parole come troika, memoranda e austerity ancora non erano sulla bocca di tutti. I dati Eurostat del 2019 mostrano che la Grecia spende nell’istruzione il 4% del PIL, una percentuale che nell’UE è superiore solo a quella di Bulgaria, Romania e Irlanda. Sono numeri a cui un corpo di polizia difficilmente può porre rimedio.
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