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Abbiamo provato Clubhouse: ed è subito ok boomer!

21 Febbraio 2021 7 min lettura

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Abbiamo provato Clubhouse: ed è subito ok boomer!

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Ti accorgi che un nuovo social è arrivato online perché improvvisamente ti trovi la mail ingorgata di gente che ti manda inviti per entrare. Io, di solito, attendo almeno una settimana ad accettarli, perché ragazzi sto su internet da un botto e mi ricordo persino di Diaspora, dove tutti accettammo entusiasti e al terzo giorno pareva di stare nel deserto del Negev.

Intanto su Facobook e su Twitter arriva un diluvio di post per spiegare quanto è figo Clubhouse, e allora, visto che nel frattempo gli inviti ad entrarci sono diventati legione, cedi e acconsenti.

Ed eccoti su Clubhouse.

Il paradiso dei ricchi iphoniani

A dire il vero ci entri spinta dalle geremiadi che ha sentito per giorni su Facebook, provenienti dai possessori di Android. Che non possono entrare in Clubhouse perché per ora la app funziona solo su IOS. E quindi si lagnano e si strappano i capelli, accusando chi c’è dentro di essere uno spregevole classista che guadagna pacchi di soldi e disprezza il resto del mondo. Ovviamente gli androidiani incazzati sono gli stessi che su Facebook si lamentano perché i social sono pieni di troppo popolo, ci vorrebbe la patente per usarli e signora mia la democrazia andrebbe abolita. Il problema è quindi che per una volta hanno trovato qualcosa che non li fa sentire élite. Risultato: anche se non te ne frega niente di Clubhouse e hai un iPhone vintage a manovella ci entri solo per vederli diventare verdi di bile.

Cos’è Clubhouse

È un social. Cioè, veramente più che un social a me ricorda una gigantesca chiamata vocale whatsapp, oppure i radioamatori d’antan. Non scrivi. Parli solo. Chiunque può aprire una stanza e mettersi a delirare. Spesso, incredibilmente, trova anche persone che lo ascoltano.
La dinamica, insomma, non è che sia diversa da Twitter, è una specie di balcone di piazza Venezia virtuale con l’aggravante che almeno su Twitter hai il vincolo di 150 caratteri o poco più e qui invece, potenzialmente, le dirette possono durare ore, giorni, o settimane intere.
I moderatori parlano, e gli altri? Ascoltano. Oddio c’è la manina e puoi chiedere di intervenire. Ma è a discrezione del moderatore farti parlare o meno. E anche risbatterti giù fra gli ascoltatori.

Chi c’è su Clubhouse

Arrivata su Clubhouse ti guardi intorno. Le stanze hanno un titolo, certo, ma spesso e volentieri è puramente indicativo di qualcosa che al moderatore pareva figo, e nel 90% dei casi dopo tre minuti gli è scappato di mano. Quando sono entrata 7 stanze su 10 erano presidiate da sedicenti esperti di marketing che spiegavano come si dovesse usarlo per il marketing e come monetizzare su Clubhouse. Che contando che lo avevano aperto da tre giorni e c’eravamo dentro in mille, mi resta oscuro i sedicenti esperti di marketing e socializzazione dove avessero imparato e soprattuto chi pensassero di intortare.
Perché nella prima settimana Clubhouse in Italia era davvero una specie di gigantesca chiamata whatsapp fra gente che si conosce su tutti gli altri social. I soliti 2000/3000 “Early adopter”, come dicono quelli fighi, cioè quei pazzi intossicati che dal 2000 provano forsennatamente qualsiasi cazzabubbolo social per curiosità. Sempre i 2000 che si erano iscritti pure a Diaspora, insomma.

Le lodi di Clubhouse

Tolte le stanze in cui ti insegnavano a monetizzare non si sa bene cosa, altro filone consistente erano quelle in cui sempre i soliti early adopter tessevano le lodi del nuovo social, che avevano approfonditamente studiato in tutte le sue potenzialità comunicative nei dieci minuti passati fra la loro iscrizione e l’apertura della stanza medesima.
Clubhouse, ho imparato ascoltando i guru, è la nuova frontiera, il paradiso dei social, il luogo dove i troll non avranno scampo, il livello della conversazione rimarrà altissimo, gli interscambi intelligenti, la socializzazione idilliaca, le informazioni impermeabili alle fake news, l’educazione degna della corte di Inghilterra, l’ambiente stimolante.
Mi sfugge esattamente in base a cosa queste analisi e proiezioni future siano state stilate, ma vabbe’, è l’entusiasmo nei neofiti, del resto metà di questi guru dopo una settimana dal lancio avevano preannunciato il successo globale di Google Plus, quindi abbiamo visto ben di peggio.

La realtà di Clubhouse

La realtà è più prosaica anche se più umanamente divertente.
Su Clubhouse come ovunque la fuffa regna sovrana. Le stanze dai nomi altisonanti sono aperte da uno o due moderatori, che invitano gli amichetti a discutere di un tema abbastanza vago (si dice “aperto”, ma è un modo per restare, appunto vaghi) e che per essere trattato in maniera esauriente richiederebbe dieci anni di corsi monografici specifici e una competenza da premio Nobel. Insomma, una roba tipo “come parlare di divulgazione culturale sui social media” (questo la scrivo perché la stanza l’ho aperta io, che quando decido di produrre fuffa non sono seconda a nessuno). Ma forse anche “proposte per ottenere la pace nel mondo” potrebbe riscuotere un notevole successo.
Le stanze migliori però sono quelle “non si parla ci si segue soltanto”. Che sono simpatici escamotage per ottenere follower: tu entri, segui tutti quelli che ci stanno e tutti seguono te. Non hai detto una parola, serve solo a far lievitare i numeri, e c’è gente che dopo due giorni ha già ottomila e passa follower. Che non hanno mai sentito una sola parola detta da te, e non sanno neppure chi sei, ma vuoi mettere la soddisfazione?

Gli influencer e il palinsesto

Ora c’è un palinsesto, come in radio. Cioè c’è una cosa, Clubhouse Italia, che ha messo su una serie di panel a orari predefiniti e gestiti dalle stesse persone. Fossimo in radio sarebbero i conduttori dei talk. La differenza è che in radio per farlo ti pagano, qui no. E a differenza degli altri social, dove puoi sparare un post, andartene e lavorare, e passare dopo una o due orette a vedere che è successo, su Clubhouse devi essere lì a parlare. Per cui io mi domando sempre: ma sta gente che sta in pratica tutto il giorno a parlare da una stanza all’altra di lavoro che fa? Mistero.
Ovviamente però ci sono già star e influencer. O almeno gente che si ritiene tale. Nella stragrande maggioranza dei casi, sono sempre quelli che sfarfallano anche negli altri social. Che scrivono su Facebook, si fotografano su Instagram e qui invece parlano a ruota libera. Anche sugli altri social, in effetti, ti sei sempre chiesta che lavoro facciano di preciso.

Interessantissimo

Una delle prime sere girellando per Clubhouse le possibilità erano: stanza in cui Scanzi parlava di politica con altri due o tre giornalisti suoi amici e in cui era inutile alzare la mano perché non ti filavano di striscio; stanza in cui esperti di social media parlavano della incredibile svolta di Clubhouse; stanza in cui si cazzeggiava allegramente su non si è capito cosa, stanza dal nome incomprensibile in cui appena entrati ti chiedevano cosa pensavi volesse dire il nome incomprensibile e poi ti sfottevano impietosamente se non lo sapevi, stanza in cui si parlava di arte contemporanea, funestata da un critico d’arte che insediatosi fra gli speaker ricordava ogni due per tre che lui era un famoso critico d’arte (cosa confermata dal fatto che quando parlava non si capiva una cippa).
Il giorno dopo in contemporanea in tre stanze diverse c’erano un ex cuoco di Masterchef che discettava di come si pescano i tonni che finiscono nelle sue ricette, un ex del Grande Fratello che parlava di introspezione, e una serie di giornalisti e/o opinionisti di vari giornali e TV che si raccontavano cosa era successo il giorno prima in varie stanze. L’aneddoto più divertente era che il giorno prima Red Ronnie si era divertito a prendere per il sedere altri utenti entrando nelle loro stanze con tutti i suoi follower e facendo casino, e in un paio di stanze la cosa gli era anche riuscita, ma arrivato in una stanza di giovani tiktoker, questi, niente affatto intimiditi (forse perché non sapevano manco chi fosse o ricordavano solo vagamente che era un DJ dei tempi dei loro nonni) lo hanno mandato a stendere dandogli del boomer.
Giuro, per un attimo ho pensato di riaccendere la televisione. E rimpianto quella di un tempo, in cui almeno Nunzio Filogamo non andava a rompere le scatole alle trasmissioni per giovani.

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I giovani

Eh, ce ne sono. Parecchi. Forse hanno anche delle buone idee per delle stanze loro. Ma noi vecchi non ci entriamo, se ci entriamo ne usciamo subito perché giustamente loro non ci filano e non sanno chi siamo, e noi ci offendiamo a morte per questa mancanza di rispetto e usciamo indignati.

L’umarell di Clubhouse

I vip sono scesi in massa a colonizzarlo perché pensano di usarlo come una specie di radio chiusa e privata, in cui il vip parla alla massa e la massa è formata da umarell che invece di guardare i cantieri ascoltano Clubhouse e recepiscono passivamente, al massimo alzando ogni tanto la manina per intervenire, come nelle vecchie radio quando lasciavano i tre minuti per le domande dal pubblico. Una sorta di Twitter vocale, con la differenza che qui per avere la parola devi avere il permesso del moderatore, e quindi per i vip il rischio pernacchia è ancora più limitato. È la una prospettiva geriatrica e geriatricocentrica, ma ragazzi siamo in Italia, non è che ti puoi aspettare tanto di meglio, eh.

Il futuro

Boh. No, davvero. Potrebbe diventare interessante. Quando arriverà la massa, compresi gli androidiani. Sempre che non chiudano prima e imploda tutto. Non lo so. Magari i giovani lo prendono davvero in mano e ciao, inventano qualcosa di nuovo. Le stanze americane ed inglesi sono più divertenti, meno paludate, meno asservite alle logiche del circoletto. Forse il problema non è Clubhouse, ma è l’Italia. Per ora ogni tanto ci passo. Lo studio, vedo che piega prende. Ah ovviamente apro stanze piene di fuffa in cui spiego con prosopopea come divulgare cultura sui social.
Sono italiana anche io, del resto.

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