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L’accaparramento dei vaccini da parte dei paesi più ricchi a danno dei più poveri mette a rischio l’immunità globale: “La lotta contro la pandemia si vince o si perde tutti insieme”

17 Febbraio 2021 14 min lettura

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L’accaparramento dei vaccini da parte dei paesi più ricchi a danno dei più poveri mette a rischio l’immunità globale: “La lotta contro la pandemia si vince o si perde tutti insieme”

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«Lo sviluppo e l'approvazione di diversi vaccini sicuri ed efficaci meno di un anno dopo che il Sars-CoV-2 è stato isolato e sequenziato è un risultato scientifico sbalorditivo». Con queste parole Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha aperto lo scorso 15 gennaio un forum virtuale a cui hanno partecipato oltre 2800 scienziati di 130 paesi.

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Nel corso della discussione, però, è emerso anche che l’avvio della campagna vaccinale nel mondo ha messo in luce evidenti disuguaglianze nell'accesso a questo strumento su cui sono riposte le speranze per uscire dalla pandemia. «Lo spirito di collaborazione deve prevalere in questi tempi difficili, mentre cerchiamo di capire questo virus. Dobbiamo essere consapevoli delle disuguaglianze e dobbiamo promuovere investimenti per creare parità di condizioni», ha affermato durante il meeting online il dott. John Nkengasong, direttore dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie.

A poco meno di un mese dal forum, questa problematica cruciale è più che mai viva.

In una dichiarazione congiunta pubblicata il 12 febbraio, l’OMS e l’UNICEF hanno sottolineato che “delle 128 milioni di dosi di vaccino somministrate finora, oltre i tre quarti delle vaccinazioni sono avvenute in soli 10 paesi che rappresentano il 60% del PIL mondiale. Ad oggi, in circa 130 paesi, con 2,5 miliardi di persone, deve essere ancora somministrata una singola dose di vaccino”.

Le due agenzie internazionali hanno denunciato che “questa strategia autolesionista costerà vite e mezzi di sostentamento e darà al virus ulteriore opportunità di mutare, eludere i vaccini e minacciare la ripresa economica globale” e chiesto ai leader mondiali “di guardare oltre i propri confini e attuare una strategia di vaccinazione che possa porre veramente fine alla pandemia”. «Temiamo tanto le quattro varianti più preoccupanti (una delle quali non viene mai menzionata), cioè quella inglese, quella sudafricana, la brasiliana e quella senza nome nata in California, e non ci accorgiamo che due arrivano proprio dai paesi poveri? O ci prenderemo cura del mondo nella sua globalità, o queste mutazioni continueranno a toglierci la pace, ma la colpa sarà di una miopia irresponsabile e autolesionista», ha avvertito Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas in un’intervista ad Avvenire

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Il pericolo non è solo a livello epidemiologico, ma anche economico. Chiara Sabelli su Scienza in Rete, riportando uno studio pubblicato il mese scorso sul sito del National Bureau of Economics Research in cui vengono analizzati diversi scenari sia dal punto di vista economico che epidemiologico, scrive che nel caso in cui le economie avanzate riuscissero a immunizzare completamente la popolazione suscettibile entro aprile, mentre i paesi in via di sviluppo solo la metà dei loro cittadini entro la fine dell’anno, “la perdita economica globale ammonterebbe a 3.763 miliardi di dollari in più rispetto al caso in cui la campagna di vaccinazione procedesse ovunque con lo stesso ritmo con cui va avanti nei paesi ricchi”, con “il 50% di questa perdita” che “sarebbe sofferta dalle economie avanzate”. Nel caso estremo in cui, invece, i paesi in via di sviluppo non avessero accesso alle vaccinazioni e dunque l’epidemia viaggiasse incontrollata sui loro territori con l’istituzione periodica di lockdown prolungati, “la perdita globale sarebbe quasi doppia, 6.144 miliardi di dollari (di cui le economie avanzate pagherebbero più del 40%)”. 

Secondo Agathe Demarais, direttrice delle previsioni globali dell'Economist Intelligence Unit (EIT), di questo passo, la maggior parte dei paesi in via di sviluppo avrà un accesso diffuso al vaccino non prima del 2023: «Alcuni di questi paesi, in particolare quelli più poveri con un profilo demografico giovane, potrebbero perdere la motivazione a distribuire vaccini, soprattutto se la malattia si diffonde ampiamente o se i costi associati si rivelano troppo elevati». Fatima Hassan, attivista per la giustizia sociale e per i diritti umani e fondatrice della Health Justice Initiative (HJI) in Sudafrica ha dichiarato: «Ci troviamo in una grave crisi. Se anche in Sudafrica non riusciamo a far vaccinare presto nemmeno metà della nostra popolazione, non riesco nemmeno a immaginare come faranno Zimbabwe, Lesotho, Namibia e il resto dell'Africa. Se continuerà così per altri tre anni, non si raggiungerà alcun tipo di immunità continentale o globale». Questa situazione rimanda agli anni '90, scrive la BBC, “quando negli Stati Uniti veniva effettuato il trattamento antiretrovirale (ARV) per l'HIV/Aids. Anche se il continente africano aveva una popolazione molto più numerosa di persone infettate dall'HIV, ci vollero almeno sei anni prima che il trattamento potesse essere disponibile per gli africani”.

via BBC

Su The Bureau of Investigative Journalism, Madlen Davies e Rosa Furneaux affermano che questa strada porterà diritti a un "apartheid vaccinale": “Gli effetti di questa ingiustizia sarebbero evidenti. I modelli della Northeastern University indicano che se le prime 2 miliardi di dosi di vaccini COVID-19 fossero distribuite in proporzione alla popolazione di ciascuna nazione, i decessi nel mondo diminuirebbero del 61%. Ma se le dosi vengono monopolizzate dai 47 paesi più ricchi del mondo, la percentuale dei decessi diminuirebbe solo del 33%”.

A dicembre un’indagine del New York Times (basata sui dati provenienti da tre fonti diverse: UNICEF, Duke University e Airfinity, una società di analisi scientifica) aveva mostrato che i paesi più ricchi hanno rapidamente prenotato dosi sufficienti per vaccinare la propria popolazione più volte, mentre i paesi più poveri saranno in grado di immunizzare al massimo un quinto dei loro abitanti. Richard Mihigo, a capo dell'immunizzazione e dello sviluppo dei vaccini presso l'ufficio dell'OMS in Africa, ha specificato che «la maggior parte della fornitura dei principali vaccini è stata preordinata dalle nazioni ricche anche prima che i dati di sicurezza ed efficacia fossero resi disponibili».

La scorsa settimana il presidente degli Stati Uniti d’America ha annunciato che la sua amministrazione si è assicurata accordi per altri 200 milioni di dosi di vaccino COVID-19 (100 milioni di dosi del vaccino Pfizer/BioNTech e 100 milioni di Moderna), portando a 600 milioni il numero delle dosi che saranno consegnate agli Stati Uniti entro la prossima estate. L'Economist ha calcolato che i 54 paesi più ricchi rappresentano il 18% degli adulti sulla Terra, ma hanno il 40% degli ordini di vacciniQueste decisioni dei paesi più ricchi, scrive Adam Taylor sul Washington Post, vanno però a discapito di quelli più poveri: «Rimane in larga misura un gioco a somma zero, il che significa che ogni dose che va negli Stati Uniti o nel Regno Unito o in un paese dell’Ue è una dose che non è più disponibile sugli scaffali. E gli scaffali non verranno riforniti per un po'», ha detto Andrea Taylor, ricercatore presso il Global Health Innovation Center della Duke University che tiene traccia delle dosi di vaccini ordinate da ogni paese nel mondo. (...) I produttori non possono ancora soddisfare la domanda”.

via The Washington Post

Per questo motivo, continua il giornalista, alcuni esperti di salute pubblica globale e disuguaglianze hanno esortato le nazioni ricche ad affrontare questa situazione, attraverso una politica che però rischia di trovare poco sostegno da parte della propria opinione pubblica: la donazione di dosi ai paesi che ne hanno bisogno, dopo aver raggiunto una soglia di vaccinazione basata ad esempio sull’età e sui gruppi di persone a rischio. Secondo Sema Sgaier, esperta di salute globale, l’obiettivo di una strategia di vaccinazione durante una simile pandemia non dovrebbe essere infatti quella di vaccinare tutti i cittadini di un paese, ma lavorare per vaccinare le persone maggiormente a rischio in tutto il mondo. Finora, però, questa proposta ha riscontrato un consenso limitato.

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Intanto paesi come Cina, India e Russia stanno donando milioni di dosi ad altri paesi più in difficoltà o con minori risorse economiche o hanno siglato contratti vantaggiosi fornendo a basso costo i vaccini prodotti dalle proprie aziende con il risultato di estendere la propria influenza politica o recuperare rapporti diplomatici in crisi. “Con le nazioni più ricche – riporta il Financial Times – che si stanno accaparrando la maggior parte dei vaccini autorizzati in Occidente, i paesi a reddito medio-basso dal Brasile alla Nigeria, all'Algeria e all'Egitto stanno guardando a Mosca e Pechino. I vaccini cinesi stanno trovando acquirenti in America Latina e Medio Oriente. I vaccini della Sinopharm di proprietà statale sono distribuiti negli Emirati Arabi Uniti e nei Balcani. Sinovac ha ricevuto ordini dalla Turchia e dal Brasile, mentre il vaccino CanSino a iniezione singola è in fase di sperimentazione in paesi tra cui Pakistan e Messico. (...) La Russia, nel frattempo, dichiara di aver ricevuto ordini per 1,2 miliardi di dosi del vaccino Sputnik V (...), ottenendo l'approvazione per l'uso di emergenza in paesi come Argentina, Messico e Bielorussia. L'Iran ha iniziato la vaccinazione di massa somministrando una dose di Sputnik V al figlio del suo ministro della salute”.

Questo quadro di disuguaglianze e ritardi nella produzione e nelle consegne di vaccini, dovuti alla difficoltà di rispondere da parte delle case produttrici alla grande domanda da parte dei paesi nel mondo, ha spinto organizzazioni non governative (ONG) ed esperti di salute pubblica a chiedere di sospendere i diritti sui brevetti delle aziende farmaceutiche (che hanno ricevuto in totale circa 10 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici per lavorare sui propri vaccini, si legge su Lancet) per permetterne una produzione più ampia.

In un recente comunicato Oxfam, Emergency, Frontline AIDS e Global Justice Now, membri della People’s Vaccine Alliance (GAVI, una cooperazione di soggetti pubblici e privati con lo scopo di migliorare l'accesso all'immunizzazione per la popolazione umana in paesi poveri), hanno presentato "un appello urgente ai governi e all’industria farmaceutica ad aumentare la produzione, superando l’attuale sistema che garantisce i monopoli e che sta provocando una crisi globale di forniture con conseguenze drammatiche in termini di vite umane e impatto economico". Un risultato che, affermano queste associazioni, può "essere centrato solo con la sospensione delle regole che tutelano la proprietà intellettuale e la condivisione della tecnologia necessaria alla produzione dei vaccini. Solo così, ponendo fine al controllo dei monopoli dell’industria farmaceutica, chiunque, in ogni parte del mondo, potrà avere accesso al vaccino il più rapidamente possibile".

Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe, e Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri, hanno chiesto ai governi di liberare le licenze dei vaccini. Garattini ha dichiarato in un'intervista a Il Mattino«Se ci sono ragioni importanti di salute pubblica, gli Stati possono chiedere o pretendere la licenza del farmaco per produrlo in grosse quantità [ndr, intervenendo sull’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPs)]. (...) In un momento di grandi difficoltà bisognerebbe avere il coraggio di abolire i brevetti sui farmaci salvavita come i vaccini». Lo scorso ottobre India e Sud Africa hanno chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) di sospendere temporaneamente i brevetti su alcuni farmaci e sui vaccini anti COVID-19 per far in modo che possano essere prodotti e distribuiti senza vincoli legati alle aziende farmaceutiche.

Questa proposta, però, è stata contrastata da diversi paesi ricchi come Stati Uniti, Gran Bretagna ed Ue perché, si legge su Deutsche Welle, la sua approvazione "soffocherebbe l'innovazione nelle aziende farmaceutiche privandole dell'incentivo a fare enormi investimenti in ricerca e sviluppo" e "ciò sarebbe particolarmente controproducente durante l'attuale pandemia". Secondo un'analisi de Il Post sulla questione, nel caso in cui un governo per via dell'emergenza decida di utilizzare il brevetto senza il consenso di chi lo ha registrato e produrre il vaccino autonomamente, si potrebbero avere delle conseguenze da non sottovalutare nel medio e lungo termine: "Si creerebbe un precedente tale da rendere più restie le aziende farmaceutiche a fare grandi investimenti per lo sviluppo di nuovi vaccini o farmaci, perché alle incertezze legate alle fasi di sviluppo e sperimentazione si aggiungerebbero quelle sul rischio di vedersi sospendere il brevetto. Alcune aziende potrebbero inoltre decidere di non brevettare le loro soluzioni, con il rischio che queste non siano mai pienamente nel pubblico dominio". Sulla proposta di India e Sud Africa non è stata ancora presa una decisione e la prossima riunione del WTO è prevista il 23 febbraio.

Per Thomas Cueni, direttore generale della Federazione internazionale dei produttori e associazioni farmaceutiche (IFPMA), un sì a queste richieste inoltre «non farebbe aumentare nel breve termine l'offerta di una singola dose di vaccino perché viene trascurata la complessità della loro produzione (ndr, tra strutture specifiche, infrastrutture e il know-how), ignorando anche in che modo i produttori di vaccini, le aziende farmaceutiche e le nazioni in via di sviluppo stiano già collaborando per aumentare le capacità di vaccinazione».

Il riferimento è, ad esempio, all'accordo siglato dalla casa farmaceutica AstraZeneca con l'India's Serum Institute, il più grande produttore di vaccini al mondo, per la produzione di un miliardo di dosi del vaccino anti COVID-19. Grazie poi a un ulteriore accordo di GAVI con il Serum Institute e il governo indiano metà di questo miliardo di dosi saranno riservate a paesi a basso reddito. C'è anche la collaborazione tra Johnson&Johnson e Aspen Pharmacare, il più grande produttore di farmaci dell'Africa, per produrre il vaccino della casa farmaceutica statunitense (nel caso in cui il processo di autorizzazione dia esito favorevole). Il governo del Sudafrica è in trattative con J&J per garantire che parte delle centinaia di milioni di dosi prodotte da Aspen Pharmacare siano somministrate ai propri cittadini. Ancora, il gigante farmaceutico tedesco Bayer ha annunciato che aiuterà CureVac nella produzione del suo vaccino sperimentale contro la COVID-19, mentre la casa farmaceutica francese Sanofi ha dichiarato che produrrà fino al 2021 oltre 100 milioni di dosi del vaccino Pfizer/BioNTech.

Chi non ritiene utile la proposta di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini anti COVID-19, sostiene anche che un accesso equo a questi strumenti per sconfiggere la pandemia può essere ottenuto attraverso altre strade come ad esempio la concessione volontaria delle licenze da parte delle case farmaceutiche e il sostegno a COVAX (Covid-19-Vaccine Global Access Facility), un progetto della GAVI Alliance che comprende OMS, Banca Mondiale, UNICEF e la Bill & Melinda Gates Foundation con l'obiettivo di garantire una distribuzione equa dei vaccini in tutto il mondo, indipendentemente dal potere d’acquisto di ogni singolo paese, e che fa parte di "Access to Covid-19 Tools Accelerator" (ACT-A), la cooperazione globale per accelerare lo sviluppo e la produzione di farmaci e vaccini contro il nuovo coronavirus.

Per facilitare la condivisione di informazioni, protette da brevetto, inclusi dati diagnostici, terapeutici e sperimentali e permettere a produttori qualificati in tutto il mondo di produrre attrezzature, farmaci o vaccini senza timore di essere perseguiti legalmente, lo scorso maggio, l’OMS ha lanciato la piattaforma “COVID-19 Technology Access Pool” (C-TAP). Dalla sua nascita a gennaio, però, riporta il Guardian, non è stata condivisa nessuna tecnologia o trattamento. «C-TAP è un'iniziativa innovativa e ha un potenziale per il medio e lungo termine, ma eravamo consapevoli fin dall'inizio che sarebbero stati necessari maggiori sforzi e tempi più lunghi per riunire i diversi gruppi di interesse», ha detto un portavoce dell'Organizzazione mondiale della sanità al quotidiano britannico, aggiungendo che si è fatto affidamento su altre iniziative globali come “COVAX” «per fornire più rapidamente risultati». Il 16 febbraio l'OMS ha pubblicato una nota annunciando un aggiornamento "sui progressi del C-TAP e per discutere gli aspetti chiave della sua implementazione".

Per quanto riguarda poi COVAX, il progetto entro la fine del 2021 prevede di mettere a disposizione almeno 2 miliardi di dosi di vaccino, di cui 1,3 miliardi da destinare ai Paesi più poveri, spiega l'UNICEF che sostiene l'iniziativa. Il progetto, a cui partecipano 190 paesi (98 Stati benestanti e 92 a reddito basso e medio-basso), funziona in questo modo: "COVAX negozia un prezzo per ciascun vaccino con i vari produttori di vaccini. Mentre i paesi ricchi pagano il prezzo pieno negoziato, quelli più poveri sono tenuti a versare soltanto un contributo finanziario. I paesi più ricchi pagano per l’accesso alla gamma dei vaccini COVAX. Inoltre, ci sono paesi, come la Germania, la Francia e la Spagna, che non ordinano vaccini tramite COVAX, ma sostengono finanziariamente l’approvvigionamento per altri paesi. COVAX è così finanziata dagli investimenti di donatori pubblici, ONG e persone del settore privato".

Finora, si legge sulla BBC, COVAX ha raccolto 6 miliardi di dollari, ma per raggiungere il suo obiettivo per il 2021 servono altri 2 miliardi. Lo scorso mese Andrea Taylor, ricercatore presso la Duke University nel North Carolina, ha dichiarato a Nature che sembra probabile che nel 2021 COVAX riuscirà a fornire circa 570 milioni di dosi, cioè tra un quarto e un terzo del suo obiettivo totale per l'anno. COVAX però non è d'accordo con queste affermazioni, specificando di avere molti altri accordi in cantiere.

Il 18 gennaio, il direttore generale dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha però denunciato che «anche se parlano la lingua dell'accesso equo, alcuni paesi e aziende continuano a dare la priorità agli accordi bilaterali, aggirando COVAX, facendo salire i prezzi e tentando di saltare in prima fila. Questo è sbagliatoInoltre, la maggior parte dei produttori ha anche dato la priorità all'approvazione normativa nei paesi ricchi, dove i profitti sono più alti, piuttosto che presentare i loro dossier all'OMS per la prequalificazione». Questo approccio «mette a rischio le persone più povere»«potrebbe ritardare le consegne di COVAX e creare esattamente lo scenario che COVAX è stato progettato per evitare, con l'accaparramento, un mercato caotico, una risposta non coordinata e continui sconvolgimenti sociali ed economici».

All'inizio di febbraio COVAX ha stipulato un contratto con il Serum Institute of India per una fornitura di vaccini anti COVID-19 fino a 1,1 miliardi di dosi al prezzo di circa 3 dollari a dose per i paesi più poveri. Inoltre, diversi produttori di vaccini si sono impegnati a mettere a disposizione del progetto grandi quantità di vaccini, una volta autorizzati.

Il 15 febbraio l'OMS ha poi concesso l'autorizzazione d'emergenza all'uso del vaccino di AstraZeneca, specificando che tramite COVAX sarà possibile una diffusione più rapida del vaccino a livello globale, soprattutto nei Paesi più poveri.

Mariângela Simão, vicedirettore generale dell'OMS per l'accesso ai farmaci e prodotti sanitari ha avvertito che è necessario «mantenere alta la pressione per soddisfare le esigenze delle fasce di popolazioni che hanno più bisogno ovunque e facilitare l'accesso globale. Per fare ciò, abbiamo bisogno di due cose: un aumento della capacità di produzione e la presentazione tempestiva dei vaccini da parte degli sviluppatori per la revisione dell'OMS».

Foto anteprima hakan german via Pixabay

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