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Come i fan del K-pop sono riusciti a trollare l’estrema destra americana

27 Giugno 2020 6 min lettura

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Come i fan del K-pop sono riusciti a trollare l’estrema destra americana

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Nelle ultime settimane è tornato alla ribalta su Twitter un hashtag che è stato già usato in passato: #WhiteLivesMatter. Si tratta di uno slogan utilizzato dall'estrema destra che fa il verso al movimento Black Lives Matter e cerca di screditare la protesta dei neri americani contro il razzismo sistemico, inquadrandola come a sua volta "razzista nei confronti dei bianchi". In un esercizio di retorica spicciola, che risulta però convincente per molte persone, si leggono online rivendicazioni come "Tutte le vite contano! Anche quelle dei bianchi!". In realtà, basta scorrere l'hashtag #WhiteLivesMatter per capire che cos'è realmente: un punto di ritrovo per condividere contenuti razzisti e disinformazione di estrema destra. Molti di questi messaggi spesso appartengono a campagne coordinate dalle community online della cosiddetta alt-right americana.

Tre settimane fa, però, è successo qualcosa di imprevisto che ha letteralmente neutralizzato l'hashtag #WhiteLivesMatter. Nei primi giorni di giugno, con l'obiettivo di contrastare i messaggi razzisti condivisi online, i fan della musica pop coreana hanno utilizzato l'etichetta per inondare i social con centinaia di meme, foto e videoclip dei loro cantanti e gruppi preferiti. I discorsi razzisti e offensivi sono passati in secondo piano, per lasciare spazio a questo tipo di contenuti:

Il pop coreano, denominato K-pop, che molti di noi hanno probabilmente conosciuto per la prima volta grazie alla hit del 2012 "Gangnam Style" di Psy, è oggi un genere diffusissimo in tutto il mondo tra ragazzi e ragazze nella fascia 13-25 anni, come spiega Vincenzo Marino su zio, la newsletter si occupa dei consumi culturali e dei trend della generazione Z. Una delle band coreane più famose del momento, i BTS, ha venduto una decina di milioni di dischi. Per comprendere la magnitudine di questo fenomeno, ecco un dato: "i BTS sono finiti primi nella classifica Billboard 200 con ben tre dischi diversi in un solo anno, gli unici a esserci riusciti prima di loro sono stati i Beatles", scrive Marino.

La fanbase dei BTS, e più in generale del K-pop, è enorme. E l'appropriazione dell'hashtag è stata talmente massiva da renderlo trending topic mondiale, per la prima volta non come messaggio razzista ma come azione satirica contro quel tipo di mentalità, come burla nei confronti di chi utilizza i social per diffondere odio e idee legate al suprematismo bianco.

https://twitter.com/minfiresd2/status/1268374465060225029

La partecipazione dei fan del K-pop è stata talmente dirompente che persino i BTS, con 26 milioni di follower su Twitter, hanno pubblicato sul loro profilo ufficiale un messaggio di sostegno al movimento Black Lives Matter che è stato retwittato oltre un milione di volte, con più di due milioni di mi piace.

L'iniziativa di sabotaggio, che sembra essere nata negli Stati Uniti e che è stata ricevuta con entusiasmo soprattutto in Occidente, ha successivamente preso di mira altri hashtag dell'universo dell'estrema destra statunitense come #MAGA ("Make America Great Again", lo slogan di Trump nella campagna del 2016) e #AllLivesMatter.

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Le tattiche impiegate da questa community segnano un potenziale punto di svolta nella guerra informativa online. "Questa generazione e questi gruppi di persone hanno una comprensione più sofisticata del modo in cui l'informazione viene utilizzata per scopi politici", spiega in un articolo pubblicato su Coda Al Baker, giornalista di Logically, una start-up britannica che utilizza l'intelligenza artificiale per fare fact-checking delle notizie. Pochi giorni fa Logically ha pubblicato un report che analizza come la community K-pop sia ricorsa ad azioni proprie della guerriglia informativa per contrastare le campagne online antagoniste al movimento Black Lives Matter.

Le origini di quello che nel report è indicato come "The K-pop Factor" rimandano a un'iniziativa del dipartimento di Polizia di Dallas, che a fine maggio aveva chiesto ai cittadini di condividere con le autorità - attraverso un'app creata con questo scopo chiamata "IWatch" - video di "attività criminali" riprese durante le proteste per l'uccisione di George Floyd da parte della polizia. Ciò che non avevano previsto gli agenti texani è che un gruppo di adolescenti fan del pop coreano potesse disinnescare la loro iniziativa di incitamento alla delazione in meno di 24 ore. Organizzandosi attraverso il social network TikTok, gli amanti del K-pop hanno saturato velocemente l'app con il loro spam: centinaia di "FanCam", ossia brevi spezzoni e montaggi video con le esibizioni dei loro cantanti preferiti. L'app IWatch della Polizia di Dallas, lanciata il 31 maggio 2020, è stata chiusa il 1 giugno 2020. Ufficialmente si tratta di una sospensione "temporanea" per "difficoltà tecniche", ma i fan del K-pop hanno avvisato che se verrà resa nuovamente disponibile non esiteranno ad agire allo stesso modo.

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Il report di Logically rivela come funzionano le azioni coordinate delle community politiche di estrema destra riunite sui siti 4chan e 8kun. Sono campagne volte a ostacolare l'attivismo online di Black Lives Matter, sovvertendo il linguaggio del movimento e banalizzando i loro messaggi. L'alt-right è riuscita a creare una narrazione ostile alle proteste degli afroamericani, ma a un certo punto non è stata più in grado di controllare la conversazione legata ai propri hashtag, che sono caduti nella rete del fenomeno K-pop. A questo punto, l'alt-right ha provato a creare divisioni tra i propri fan del K-pop e altri attivisti, servendosi di profili falsi, attraverso tattiche di caos informativo già utilizzate in passato. Per quanto possa apparire rudimentale, queste strategie consistono nell'uso di profili falsi (e a volte bot) che si spacciano per attivisti di un movimento sociale e pubblicano messaggi contraddittori e controversi che potrebbero gettare ombre sulla causa di quel movimento. La semplicità di questo modus operandi permette di istruire facilmente nuovi sabotatori. Conoscere queste strategie di guerriglia informativa online è essenziale per comprendere e saper identificare le tattiche di manipolazione memetica utilizzate sui social network. Queste dinamiche sono sicuramente chiare alla fanbase dei BTS e alla generazione Z, che si è dimostrata all'altezza dello scontro online.

Recentemente si è parlato dei fan del K-pop in relazione al primo comizio della campagna elettorale del presidente in carica Donald Trump a Tulsa, in Oklahoma, bastione dei repubblicani. Molti utenti TikTok della community K-pop si sono registrati per partecipare all'evento, che avrebbe dovuto ospitare 19 mila persone, senza avere realmente intenzione di presentarsi. Il primo comizio Trump è stato un fallimento. E sebbene sia molto improbabile che la scarsa affluenza di pubblico si debba alla loro trollata (le prenotazioni erano illimitate e non assicuravano il posto, che veniva invece assegnato in ordine di arrivo), l'azione di protesta ha avuto grande visibilità sui media e ha contribuito ad alimentare l'immagine della community K-pop come gruppo di resistenza ai valori e ai messaggi dell'estrema destra.

Anche se queste azioni li hanno fatti apparire come un gruppo unito e coeso attorno a ideali di diversità e tolleranza, questo tipo di iniziative è stato accolto con meno entusiasmo in Corea del Sud. E qualche anno fa molti fan avevano denunciato il razzismo interno alla propria community usando hashtag come #BlackARMYsequality e #BlackARMYsMatter. Il che dimostra la capacità del fandom moderno di fare autocritica e spingere verso un miglioramento.

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Ma c'è anche un altro aspetto molto importante di questo fenomeno: molti artisti pop coreani non si sono espressi sul razzismo e sulle proteste in corso, mentre altri hanno aspettato prima di farlo e la loro reazione è stata influenzata dalla pressione dei propri fan. Questo meccanismo virtuoso ha portato i BTS a prendere prima una posizione chiara con il loro tweet e poi, pochi giorni dopo, a donare un milione di dollari al movimento Black Lives Matter. Dopo questa donazione ne è arrivata un'altra della stessa somma da parte dell'organizzazione di beneficienza "One in an ARMY", creata dagli stessi fan dei BTS.

Come spiega Kaitlyn Tiffany su The Atlantic, analizzando il fenomeno fandom moderno: "Arrivati a questo punto, i fan non hanno davvero bisogno che le celebrità parlino per loro. Le community di fan si sono allenate durante anni per capire come funziona l'attenzione sui social media e come incanalarla verso ciò che per loro è importante. Possono facilmente raggiungere milioni di persone in un giorno, anche se con metodi più complicati rispetto a un grande gruppo pop come i BTS, che ha la possibilità di rivolgersi contemporaneamente a tutti i suoi 26 milioni di follower. E lo sanno. Questa è una presa di coscienza relativamente recente. [...] I fan sono ancora convinti che le celebrità abbiano l'obbligo di sostenere determinate cause, ma in questo momento sono più interessati a veder sorgere un movimento di massa dalla community stessa. E sono ben attrezzati per crearne uno".

Immagine via Shutterstock/The Atlantic

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