I ritardi della Cina nel fornire informazioni sul coronavirus e le reazioni dell’OMS. La nuova inchiesta di AP
14 min letturaI tentativi di ricostruire cosa è accaduto nelle prime settimane di diffusione del nuovo coronavirus in Cina, cosa sapevano le autorità cinesi e quanto tempo è intercorso prima che le informazioni in loro possesso sulla propagazione di una nuova malattia, trasmessa da uomo a uomo, e sul genoma del virus venissero condivise con gli altri paesi e diventassero di dominio pubblico, cosa ha fatto l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e quanto tempestivi sono stati i suoi interventi per evitare che l'epidemia si propagasse in tutto il mondo, si arricchiscono di un nuovo capitolo.
Associated Press ha pubblicato una nuova inchiesta [ndr, il 17 aprile aveva rivelato che la Cina aveva nascosto per sei giorni la potenziale gravità dell'epidemia da nuovo coronavirus in corso a Wuhan], basata su registrazioni e documenti riservati, che ripercorre le tappe che hanno portato l'OMS a dichiarare il 30 gennaio 2020 lo stato d'emergenza globale, a poco più di un mese di distanza da quando, il 27 dicembre 2019, un laboratorio cinese aveva individuato per la prima volta una parte della sequenza genomica del nuovo coronavirus. Un mese caratterizzato da ritardi importanti da parte della Cina (a un certo punto persino il Centro per il controllo delle malattie della Cina – CDC – si è chiesto come mai le autorità tardassero a divulgare il genoma), da imputare ai severi controlli da parte delle autorità e alle rivalità interne al sistema sanitario pubblico cinese, e dalla grande frustrazione dei funzionari dell'OMS di fronte alla difficoltà di ottenere le informazioni necessarie per contrastare il nuovo coronavirus.
Secondo la ricostruzione di AP, se è vero che la Cina era riuscita a sequenziare tempestivamente il genoma del virus (il 3 gennaio già tre laboratori diversi erano stati in grado di farlo), c'è voluta una settimana prima che la sequenza genomica fosse diffusa e altre due affinché le autorità cinesi condividessero con l'OMS i dati dettagliati sui pazienti e sui loro sintomi in un momento in cui probabilmente sarebbe stato possibile rallentare l'epidemia in maniera significativa. Secondo le analisi del CDC cinese, tra il 2 (il giorno, cioè, in cui è stato sequenziato per la prima volta il genoma del nuovo coronavirus) e il 30 gennaio (quando l'OMS ha annunciato l'emergenza globale), l'epidemia si è diffusa crescendo 100 o 200 volte tanto.
In tutto questo arco di tempo, se da un lato, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha elogiato pubblicamente la Cina per la risposta "immediata" al nuovo coronavirus, dall'altro, i funzionari dell'Organizzazione hanno lavorato sotto traccia per avere più informazioni dalle autorità cinesi. Anzi, le registrazioni delle riunioni a cui ha avuto accesso AP suggeriscono che gli elogi al governo cinese facessero parte di una strategia per un ottenere un maggiore coinvolgimento del governo.
In privato, durante le riunioni della settimana del 6 gennaio, l'OMS si lamentava del fatto che la Cina non stesse condividendo dati sufficienti per poter valutare quanto pericolosa fosse la trasmissibilità del virus tra persone e quali rischi rappresentasse la malattia per il resto del pianeta.
«Ci stiamo muovendo con informazioni minime. Non sono sufficienti per poter fare piani adeguati», diceva durante una di queste riunioni l'epidemiologa americana Maria Van Kerkhove, ora responsabile tecnica dell'OMS per la pandemia. «Siamo attualmente nella fase in cui sì, ci danno le informazioni 15 minuti prima che appaiano su CCTV (la tv pubblica cinese)», diceva in un'altra riunione il dottor Gauden Galea, capo della delegazione dell’OMS in Cina.
Il personale dell'OMS s'interrogava anche su come esercitare pressione sulle autorità cinese senza però irrigidirle, preoccupato dalla possibilità di perdere l'accesso alle informazioni sul virus o di mettere in difficoltà gli scienziati cinesi. Durante altre riunioni tenutesi nella seconda settimana di gennaio, il responsabile per le emergenze dell'OMS, il dottor Michael Ryan, invitava i colleghi a «cambiare marcia» per paura che si ripetesse uno scenario simile all'epidemia di SARS iniziata in Cina nel 2002, che uccise quasi 800 persone in tutto il mondo. «Questo è esattamente lo stesso scenario, con tentativi incessanti di ottenere aggiornamenti dalla Cina su ciò che stava accadendo», ha detto Ryan durante una riunione interna. «Questo non sarebbe accaduto in Congo e non è accaduto in Congo né in altri luoghi», ha aggiunto, riferendosi probabilmente all'epidemia di Ebola iniziata lì nel 2018. «Dobbiamo vedere i dati... È assolutamente importante a questo punto».
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Le registrazioni suggeriscono, dunque, che più che colludere con la Cina, come ha accusato più volte il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, l'OMS avesse difficoltà a ottenere dalle autorità cinesi le informazioni minime e sollecitasse la condivisioni di ulteriori dati nonostante i limiti imposti alla propria autorità. Sebbene il diritto internazionale imponga ai paesi membri di comunicare all'OMS informazioni che potrebbero avere un impatto sulla salute pubblica, l'agenzia delle Nazioni Unite non ha poteri di controllo e non può indagare in modo indipendente sulle epidemie all'interno dei paesi. Deve quindi fare affidamento sulla cooperazione degli Stati membri.
Le nuove informazioni rivelate da AP forniscono elementi importanti che consentono di fare luce su alcune opacità di come è stata gestita la risposta iniziale alla pandemia e, in particolare, mostrano l'inconsistenza delle accuse di Trump all'OMS di non essere stata tempestiva a dare l'allarme, di essere filo-cinese e di aver spinto la disinformazione in Cina, che hanno portato poi gli Stati Uniti a ritirare il finanziamento annuale di 450 milioni di dollari che facevano degli USA il donatore più importante dell'organizzazione. L'inchiesta giornalistica ritrae un'organizzazione costretta a muoversi diplomaticamente per evitare che Cina o Stati Uniti potessero togliere il loro sostegno.
«È ovvio che avremmo potuto salvare più vite ed evitato molte, molte morti se la Cina e l'Organizzazione Mondiale della Sanità avessero agito più velocemente», ha dichiarato ad AP Ali Mokdad, professore all'Institute for Health Metrics and Evaluation dell'Università di Washington, ma se fosse stata più aggressiva nei confronti della Cina, l'OMS avrebbe potuto innescare una situazione molto peggiore: quella di non ottenere alcuna informazione.
Se l'Organizzazione Mondiale della Sanità avesse insistito troppo, avrebbe potuto addirittura essere cacciata dalla Cina, ha aggiunto Adam Kamradt-Scott, professore di sanità globale all'Università di Sydney, specificando però che un ritardo di pochi giorni nel rilascio delle sequenze genetiche può essere decisivo durante un epidemia. L'esperto ha anche osservato che, man mano che la mancanza di trasparenza di Pechino diventa sempre più chiara, la continua difesa della Cina da parte del direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus diventa problematica: «Sicuramente danneggia la credibilità dell'OMS... ha portato a così tante domande sul rapporto tra Cina e OMS. È una storia che forse dovrebbe servire da lezione», secondo Kamradt-Scott.
Questi retroscena arrivano, infatti, in un momento delicato. Gli USA, come detto, hanno ritirato il loro finanziamento annuale e l'OMS ha recentemente approvato un'indagine indipendente su come è stata gestita globalmente la pandemia. Nel frattempo, il presidente cinese Xi Jinping ha promesso di versare 2 miliardi di dollari nei prossimi due anni per combattere il coronavirus e ha affermato che la Cina ha sempre fornito le informazioni all'OMS e al mondo "in modo tempestivo".
L'OMS e i suoi funzionari, citati nell'articolo di Associated Press, si sono rifiutati di rispondere alle domande dei giornalisti senza prima aver accesso all'audio o alle trascrizioni delle riunioni registrate, che l'agenzia di stampa internazionale dice di non poter fornire per proteggere le proprie fonti.
"La nostra leadership e il nostro personale hanno lavorato giorno e notte nel rispetto delle norme e dei regolamenti dell'organizzazione per sostenere e condividere le informazioni con tutti gli Stati membri allo stesso modo e avviare conversazioni schiette con i governi a tutti i livelli", ha commentato ufficialmente l'OMS.
Nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha definito «completamente falsa» la ricostruzione di AP negando che all'inizio dell'emergenza COVID-19 la Cina abbia ritardato volontariamente la condivisione di informazioni fondamentali, tra le quali il genoma del nuovo coronavirus. «Dall'inizio dell'epidemia, abbiamo condiviso costantemente informazioni su SARS-CoV-2 con l'OMS e la comunità internazionale in modo aperto, trasparente e responsabile», aveva dichiarato Liu Mingzhu, funzionario del dipartimento internazionale della Commissione sanitaria nazionale, durante un conferenza stampa lo scorso 15 maggio.
L'inchiesta di Associated Press
La corsa per tracciare la sequenza genomica del nuovo coronavirus è iniziata a fine dicembre, dopo che i medici di Wuhan avevano notato che gruppi di pazienti con febbre e problemi respiratori non stavano migliorando con il trattamento standard contro l'influenza e avevano inviato campioni di test dei pazienti a dei laboratori privati per capire cosa stesse succedendo.
Il 27 dicembre un laboratorio chiamato Vision Medicals riesce a ricostruire gran parte del genoma di un nuovo coronavirus con grandi similitudini con il virus SARS-CoV (ora denominato SARS-CoV-1 per distinguerlo appunto dal nuovo SARS-CoV-2). Queste informazioni furono condivise con i funzionari sanitari di Wuhan e con la Chinese Academy of Medical Sciences.
Tre giorni dopo, il 30 dicembre, i funzionari sanitari di Wuhan iniziano a diffondere avvisi interni in cui parlano di casi di polmonite atipica. La notizia trapela sui social media e arriva alla ricercatrice Shi Zhengli, esperta di coronavirus del Wuhan Institute of Virology, autrice di diverse ricerche sui coronavirus dei pipistrelli e che nel novembre 2017 aveva pubblicato uno studio su alcuni pipistrelli presi in una grotta nella provincia di Yunnan, molto probabilmente dello stesso gruppo di quelli che avevano generato SARS, nel quale faceva notare che altri coronavirus simili alla SARS, scoperti in quella caverna, avevano usato il recettore ACE2 per infettare le cellule e avrebbero potuto "replicarsi in modo efficace nelle cellule primarie delle vie aeree umane".
Il 31 dicembre il direttore del Chinese Center for Disease Control, Gao Fu, invia un team di esperti a Wuhan. Intanto, l'OMS viene a conoscenza per la prima volta dell'esistenza di pazienti affetti da una malattia sconosciuta in Cina tramite una piattaforma open source che condivide informazioni sui focolai. Il giorno dopo l'Organizzazione Mondiale della Sanità chiede ufficialmente informazioni alla Cina, che risponde due giorni dopo (termine massimo consentito dal diritto internazionale) comunicando la presenza di 44 casi e nessun decesso.
Il 2 gennaio, la dottoressa Shi Zhengli riesce a decodificare l'intero genoma del virus, con una velocità impressionante, come riconosciuto anche dalla comunità scientifica. Per SARS ci vollero mesi. Ma è questo momento, spiega AP, che le cose iniziano a diventare problematiche perché la Cina inizia a centellinare le informazioni che comunica.
Il 3 gennaio, la Commissione sanitaria nazionale cinese invia un avviso confidenziale ai laboratori che hanno ricevuto test dei pazienti chiedendo loro di distruggere o inviare campioni del nuovo coronavirus a uno dei quattro istituti designati per custodirli. L'avviso, reso noto per la prima volta da Caixin Media e verificato da AP, proibiva ai laboratori di pubblicare informazioni sul virus senza l'autorizzazione del governo. Questo impedisce a Shi Zhengli di pubblicare la sequenza genomica o di avvisare del potenziale pericolo.
Tra il 3 gennaio e il 5 gennaio, anche il Chinese Center for Disease Control e la Chinese Academy of Medical Sciences riescono a ricostruire in maniera indipendente la sequenza del virus, ma nonostante ben tre laboratori pubblici fossero riusciti a sequenziare il genoma di SARS-CoV-2, i funzionari sanitari cinesi restano in silenzio. Intanto, l'OMS comunica su Twitter le informazioni ricevute dalle autorità cinesi e che sono in corso indagini su un cluster inusuale di polmonite in Wuhan.
Nel frattempo, mentre il governo censura i medici che segnalano casi sospetti, i ricercatori del Centro per il controllo delle malattie cinese (CDC) scoprono che il nuovo coronavirus usa una diversa proteina "spike" per legarsi alle cellule umane. La presenza di questa proteina (che poi si scoprirà essere quella che permette al virus di agganciarsi alle cellule umane e penetrarle per poi replicarsi all'interno del nostro organismo) e l'assenza di nuovi casi registrati a Wuhan fa pensare che il virus non si trasmetta facilmente tra gli umani.
Fu questo – spiega Li Yize, ricercatore, esperto di coronavirus, all'Università della Pennsylvania – un errore madornale. Il team del CDC cinese che ha sequenziato il genoma del virus non aveva specialisti della struttura molecolare dei coronavirus e non si è consultato con scienziati esterni. Sulla base di queste informazioni preliminari, l'OMS comunica che non ci sono prove di una trasmissione significativa del virus tra essere umani e non consiglia nessuna misura specifica sui viaggi da e per la Cina. Come spiega Lawrence Gostin, direttore del Centro di Salute Pubblica e Diritti Umani dell'OMS, in base alla legge internazionale, l'Organizzazione Mondiale della Sanità non può chiedere il divieto di viaggiare che, tra l'altro, può essere controproducente, spingendo i paesi a trattenere informazioni vitali per il timore di essere isolati economicamente.
Sempre il 5 gennaio, anche lo Shanghai Public Clinical Health Center, diretto dal noto virologo Zhang Yongzhen, decodifica la sequenza genomica del virus, condivide le informazioni sulla piattaforma GenBank e avvisa la Commissione sanitaria nazionale che il nuovo virus è simile al SARS e probabilmente contagioso allo stesso modo.
Il 6 gennaio il Chinese Center for Disease Control alza il livello di emergenza di un livello, il personale procede all'isolamento del virus, alla stesura delle linee guida per i test di laboratorio e alla progettazione di un kit per il test. L'agenzia però non ha l'autorità per emettere avvisi pubblici e il livello di emergenza elevato viene tenuto segreto persino a molti membri del personale.
Il 7 gennaio, un altro team presso la Wuhan University decifra la sequenza genetica del nuovo coronavirus e scopre che corrisponde a quella della dottoressa Shi Zhengli pochi giorni prima, che ora è sicura di aver identificato un nuovo coronavirus. Ma il Chinese Center for Disease Control ostacola il lavoro della ricercatrice probabilmente per arrivare per primo alla pubblicazione ufficiale del genoma del virus, spiega Li Yize ad AP. Tuttavia nonostante ben 5 laboratori siano riusciti a ricostruire la sequenza genomica di SARS-CoV-2.
L'8 gennaio il Wall Street Journal pubblica un articolo in cui dice che è stato identificato un nuovo coronavirus in campioni provenienti da pazienti affetti da polmonite a Wuhan, anticipando ogni comunicazione ufficiale. Questa notizia mette in imbarazzo le autorità cinesi e i funzionari della OMS. È in questo momento che l'Organizzazione Mondiale della Sanità inizia a pensare di mettere pressione alla Cina.
Dopo la pubblicazione dell'articolo del Wall Street Journal, la Tv di stato cinese annuncia ufficialmente la scoperta del nuovo coronavirus, ma le autorità cinesi continuano a non condividere il genoma, i test diagnostici, o i dettagli sui pazienti colpiti dal virus, nonostante ci siano casi sospetti in tutta la regione.
L'8 gennaio, gli impiegati dell'aeroporto thailandese trovano e mettono in quarantena una donna da Wuhan con naso che colava, mal di gola e febbre alta.
Il 9 gennaio il team della professoressa Supaporn Wacharapluesadee della Chulalongkorn University ricostruisce parzialmente la sequenza genetica del virus rilevato in una donna proveniente da Wuhan fermata il giorno prima in un aeroporto thailandese con il naso che colava, mal di gola e febbre alta. Supaporn segnala il caso al governo thailandese e cerca sequenze genomiche simili senza successo perché le autorità cinesi non avevano ancora pubblicato nessuna mappa genetica del virus.
L'11 gennaio il team di Zhang Yongzhen, dello Shanghai Public Health Clinical Center, il laboratorio che aveva immediatamente condiviso le informazioni sulla piattaforma GenBank, decide di pubblicare una sequenza del virus sul sito virological.org, usato dai ricercatori per scambiarsi suggerimenti sui patogeni. In seguito a questa iniziativa, il giorno dopo le autorità cinesi chiudono temporaneamente lo Shanghai Public Health Clinical Center, ma la pubblicazione del genoma consente alla professoressa Supaporn di confrontare la sua sequenza con quella di Zhang e di scoprire che corrisponde al 100%, confermando che la paziente thailandese era stata colpita dallo stesso virus trovato a Wuhan. Un altro laboratorio thailandese giunge agli stessi risultati. Contestualmente, la Thailandia informa l'OMS.
È in questi giorni che l'OMS invia una nota di orientamento tecnico, finita in possesso del Guardian in cui avvisava gli USA e altri paesi del rischio trasmissione da uomo a uomo di COVID-19, chiariva che c'era il rischio di contrarre la malattia attraverso goccioline di saliva e superfici contaminate, in base all'esperienza avuta con precedenti epidemie di SARS e MERS, e sollecitava ad adottare precauzioni anche se gli studi cinesi fino ad allora non avevano trovato chiare evidenze di quel tipo di trasmissione del virus.
Sempre il 12 gennaio, a quasi due settimane di distanza da quanto Vision Medicals aveva ricostruito una buona parte del genoma del nuovo coronavirus, i tre laboratori che già entro il 5 gennaio avevano decodificato la mappa genetica del virus, pubblicano le loro sequenze su GISAID, una piattaforma per scienziati per condividere questo tipo di dati. Circa 600 persone si erano contagiate in quella settimana, triplicando la cifra iniziale.
Il 13 gennaio, l'OMS annunciato la presenza di un caso confermato in Thailandia, facendo pressione sui funzionari cinesi.
Il 14 gennaio, in una teleconferenza riservata, il principale funzionario della salute cinese ordina al paese di prepararsi a un'epidemia, definita la "sfida più grave dopo la SARS nel 2003". Lo staff del CDC cinese inizia lo screening, l'isolamento e il test dei casi, scoprendone centinaia in tutto il paese. Nonostante questo le autorità cinesi continuano ad affermare che la possibilità di una trasmissione tra umani è bassa.
La responsabile tecnica dell'OMS per la pandemia, Maria Van Kerkhove, dichiara in una conferenza stampa che "è certamente possibile che vi sia una trasmissione da uomo a uomo limitata". Alcune ore dopo l'OMS twitta che "le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove chiare sulla trasmissione da uomo a uomo". Sarà il tweet cui farà riferimento Trump per accusare l'Organizzazione Mondiale della Sanità di non aver lanciato l'allarme in tempo, per quanto funzionari USA fossero a conoscenza della nota di orientamento e di altre comunicazioni interne dell'OMS.
Un funzionario di alto livello nell'ufficio dell'OMS in Asia, il dottor Liu Yunguo, che ha frequentato la scuola di medicina a Wuhan, vola a Pechino per stabilire contatti diretti e informali con funzionari cinesi. L'ex compagno di classe di Liu, un medico di Wuhan, lo aveva avvertito che i pazienti affetti da polmonite stavano inondando gli ospedali della città, e Liu ha spinto per ulteriori esperti a visitare Wuhan, secondo un esperto di sanità pubblica informato sui fatti.
Il 20 gennaio, il maggiore esperto di malattie infettive del paese, Zhong Nanshan, inviato a Wuhan per indagare sul nuovo coronavirus, dichiara pubblicamente per la prima volta che un nuovo virus si sta diffondendo tra la popolazione, rivela che funzionari locali avevano tentato di insabbiare la gravità del contagio e accusa il sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, di essersi reso responsabile di aver mentito per una settimana pur di non rinunciare al congresso locale del partito e a un rinfresco per 40mila famiglie, chiudendo il mercato locale, minacciando i medici e assicurando che non c'era nessun rischio di contagio. Dopo tre giorni, il presidente cinese Xi Jinping ordina il lockdown a Wuhan e la "pubblicazione tempestiva di informazioni sull'epidemia e il rafforzamento della cooperazione internazionale".
Nonostante tale direttiva, il personale dell'OMS ha ancora difficoltà a ottenere dalla Cina dati sufficienti e dettagliati sui pazienti riguardo all'epidemia in rapida evoluzione. Lo stesso giorno, l'agenzia sanitaria delle Nazioni Unite invia una piccola squadra a Wuhan per due giorni, tra cui Galea, rappresentante dell'OMS in Cina. In una riunione interna, Galea afferma che le loro controparti cinesi "parlano apertamente e coerentemente" della trasmissione da uomo a uomo e che si è discusso se ciò fosse o no dimostrato. La Cina, riferì Galea ai colleghi di Ginevra e Manila, chiedeva aiuto "nel comunicare questo al pubblico, senza causare panico".
Il 22 gennaio, l'OMS convoca un comitato indipendente per stabilire se dichiarare un'emergenza sanitaria globale. Dopo due incontri inconcludenti in cui emerge divisione tra gli esperti, si decide di non farlo, nonostante i funzionari cinesi abbiano ordinato di isolare Wuhan, dando inizio alla più grande quarantena della storia. Il giorno successivo, il capo dell'OMS Tedros Adhanon Ghebreyesus descrive pubblicamente la diffusione del nuovo coronavirus in Cina come "limitata", anche se avverte che "sebbene sia una emergenza in Cina, non vuol dire che non possa diventare una emergenza globale".
Il 28 gennaio, Tedros Adhanom Ghebreyesus e altri massimi esperti, tra cui Michael Ryan, si recano a Pechino per incontrare il presidente Xi e altri alti funzionari cinesi. Al termine degli incontri, l'OMS annuncia che la Cina ha acconsentito di accettare un team internazionale di esperti. In una conferenza stampa del 29 gennaio, il capo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità elogia la Cina, definendo il suo livello di impegno "incredibile".
Il 30 gennaio, l'OMS dichiara l'emergenza sanitaria internazionale.
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