I pediatri di molte zone d’Europa hanno lanciato l’allerta dopo aver registrato un numero relativamente elevato di bambini colpiti da una rara sindrome infiammatoria, chiamata "sindrome di Kawasaki", che si teme possa essere legata al nuovo coronavirus. Gli esperti precisano che solo una piccola minoranza di bambini infettati da SARS-CoV-2 sviluppa la malattia di Kawasaki, meno dell’1%. Questa sindrome infiammatoria infantile, che prende il nome dal suo scopritore, interessa le arterie di piccolo e medio calibro e si presenta in neonati e bambini. La causa è attualmente sconosciuta. Colpisce prevalentemente sotto gli otto anni e i sintomi più comuni sono febbre, congiuntivite, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità come mani e piedi, eruzioni cutanee. La complicanza più temibile è l’infiammazione delle arterie del cuore, che può causare dilatazioni aneurismatiche permanenti delle coronarie. «È un’infiammazione che può interessare le coronarie e può condurre anche all’angina in età pediatrica. Si presenta con febbre alta, non batterica, verosimilmente scatenata da virus che innescano una infiammazione che poi riguarda le arterie», spiega il dottor Matteo Ciuffreda, cardiologo pediatrico all’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. In Italia questa infiammazione delle arterie è considerata malattia rara mentre è più frequente in Estremo Oriente, dove sono presenti cluster, probabilmente per la presenza in loco di alcuni virus endemici di quelle aree, che sembrano attivare la sindrome. Il 21 marzo scorso il dottor Ciuffreda ha diagnosticato per la prima volta la sindrome di Kawasaki a un bambino arrivato in pronto soccorso. Da quel giorno i casi sono diventati 20. «Negli ultimi due mesi - aggiunge Lucio Verdoni, reumatologo pediatra del Papa Giovanni - ci siamo accorti che giungevano al pronto soccorso pediatrico diversi bambini che presentavano questa sindrome. In un mese il numero dei casi ha eguagliato quelli visti nei tre anni precedenti». «Abbiamo avviato una fase di monitoraggio - spiega Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria – e abbiamo cominciato a raccogliere, da qualche settimana, una serie di dati, che indicano la presenza della malattia di Kawasaki in alcune aree del paese, in particolare in Lombardia, Piemonte e Liguria». In Gran Bretagna, Australia e Spagna i pediatri hanno fatto osservazioni simili. Sedici anni fa la sindrome di Kawasaki era stata collegata a un altro coronavirus noto con la sigla NL63, anche se il legame non è mai stato dimostrato. Il professor Jan Jones, docente di Virologia all’Università di Reading, in Gran Bretagna, ha dichiarato che il virus NL63 usa lo stesso recettore del COVID-19 per infettare gli esseri umani, ma allo stesso modo insiste che è troppo presto per trarre conclusioni. Servono nuovi studi. Proprio grazie ai dati raccolti a Bergamo è in via di pubblicazione uno studio su un’importante rivista scientifica. [Leggi l'articolo sul Corriere della Sera]