Tra le molte incertezze che rimangono su COVID-19 vi è il modo in cui il sistema immunitario umano risponde alle infezioni e ciò che ciò significa per la diffusione della malattia. Finora i dati disponibili sull'immunità a SARS-CoV-2 sono pochi e non sono state condotte ricerche per studiare l'immunità agli altri coronavirus, la SARS e la MERS. Tuttavia, le misurazioni degli anticorpi nel sangue delle persone sopravvissute a tali infezioni suggeriscono che queste difese persistano per qualche tempo: due anni per la SARS, secondo uno studio, e quasi tre anni per la MERS, secondo un altro. Queste ricerche potrebbero però dare delle indicazioni per capire cosa potrebbe accadere con i pazienti COVID-19. Per ora, è ragionevole supporre che solo una minoranza della popolazione mondiale sia immune alla SARS-CoV-2, anche nelle aree colpite duramente. Come potrebbe evolversi questo quadro provvisorio con l'arrivo di dati migliori? Le prime analisi – spiega l'epidemiologo dell'Università di Harvard Marc Lipsitch – suggeriscono che potrebbero presentarsi due scenari opposti: le persone contagiate sono molto di più dei casi diagnosticati e l'immunità di gregge verso SARS-CoV-2 potrebbe aumentare più rapidamente di quanto suggeriscano le cifre comunemente riportate. Oppure, le persone che hanno mostrato sintomi lievi o sono state asintomatiche non hanno sviluppato anticorpi tali da costituire una protezione: sarà importante studiare le risposte immunitarie delle persone con casi asintomatici di infezione da SARS-CoV-2 per determinare se i sintomi e la loro gravità predicono se una persona diventa immune. Potremo capire in che direzione stiamo andando nel momento in cui avremo un grande numero di test sierologici o esami del sangue per anticorpi che siano però affidabili. Molto dipenderà da quanto siano sensibili e specifici i vari test. [Leggi l'articolo sul New York Times]