Il piano segreto di Bolsonaro per colonizzare l’Amazzonia fra centrali idroelettriche, deforestazione e autostrade
7 min letturaUn piano segreto del governo brasiliano per lo sviluppo dell’Amazzonia che, se attuato, potrebbe rappresentare un duro colpo dal punto di vista ambientale e sociale, sulla foresta e sulle comunità locali.
Il progetto si chiama “Barone di Rio Branco” e, stando a quanto scrive The Intercept, che ha avuto accesso a documenti confidenziali e all’audio di un incontro tra gli ideatori del piano avvenuto lo scorso aprile, prevede la realizzazione di una centrale idroelettrica e di un ponte sul Rio delle Amazzoni, l’estensione dell’autostrada BR-163 (che attraversa il Brasile dal Rio Grande do Sul fino allo Stato del Parà, a nord) fino al Suriname, lo spostamento di popolazioni non indigene di altre regioni del Brasile nell’entroterra settentrionale dell’Amazzonia, scarsamente popolato.
Il progetto – guidato da due militari in pensione, l’ex generale Maynard Marques de Santa Rosa, ora Segretario speciale per gli affari strategici, un ente supervisionato dal Segretario della presidenza che si occupa di progetti sulla crescita sociale ed economica del Brasile a lungo termine, e l’ex colonnello Raimundo César Calderaro – punta a ottenere il 50% del PIL brasiliano dall’Amazzonia (attualmente il Prodotto interno lordo generato dall'attività legale in Amazzonia corrisponde all'8,6% di quello di tutto il Brasile). L'obiettivo generale è quello di integrare la regione settentrionale dello Stato di Pará con le zone meridionali più industrializzate e, da lì, con il resto del Brasile. L’area, attraversata da fiumi e di difficile accesso, è attualmente la più impoverita e meno popolata ma, al tempo stesso, la parte della foresta amazzonica meglio conservata.
La discussione del piano è andata avanti quasi in silenzio, tra riunioni lontano dai riflettori e con momenti anche di crisi ai livelli istituzionali più alti. La prima volta che si è parlato del “Rio Branco” è stato lo scorso febbraio quando l’allora Segretario generale alla presidenza Gustavo Bebbiano aveva organizzato un incontro nello Stato di Parà con il ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, il ministro per i Diritti umani Damares Alves e alcuni notabili locali per parlare del progetto. L’incontro era stato organizzato all’oscuro del presidente Jair Bolsonaro che, una volta venuto a conoscenza del piano, ha deciso di bloccare il viaggio provocando una crisi istituzionale culminata nelle dimissioni di Bebbiano. Da quel momento in avanti la conduzione del piano è stata affidata direttamente alla Segreteria speciale che ha avviato una serie di incontri chiusi con leader locali e uomini d’affari dello Stato di Parà.
The Intercept è venuto in possesso esclusivo dell’audio (inviato da una fonte che ha chiesto di rimanere anonima) di uno di questi incontri, organizzato ad aprile dalla Segreteria speciale presso la sede di Federação da Agricultura e Pecuária do Pará, un'associazione agroindustriale nello stato del Pará, durante il quale il progetto è stato illustrato nel dettaglio.
Durante la riunione, il Segretario generale ha spiegato che il governo intende sfruttare fonti ancora inutilizzate, come la “ricchezza mineraria” dell’area, il potenziale idroelettrico e la coltivazione dei campi tramite progetti agricoli nell’altopiano della Guyana tra gli stati di Amazzonia, Amapá, Roraima e Pará. "È praticamente tutto inesplorato. È proprio lì accanto alle ricchezze del Nord”, si legge in alcune diapositive mostrate nel corso dell’incontro di aprile, parzialmente diffuse ad agosto dal sito Open Democracy, da cui si evincono piani e obiettivi dell’intero progetto.
Stando al materiale preso in visione da The Intercept, gli investimenti in Amazzonia sarebbero un modo per stabilire la sovranità del Brasile sul territorio facendolo diventare parte integrante dell’economia brasiliana allontanando così anche la minaccia di una presunta penetrazione della Cina nel paese attraverso i confini settentrionali scarsamente popolati e isolati dal resto dello Stato. Il piano è stato denominato “Barone di Rio Branco”, nome con il quale viene ricordato José Paranhos, famoso diplomatico brasiliano, noto per aver consolidato i confini del paese all'inizio del secolo scorso. Nulla di nuovo rispetto al passato. Così come è stato configurato, il progetto riprende, infatti, il vecchio sogno militare di colonizzare l'Amazzonia, con l'obiettivo dichiarato di sviluppare la regione e proteggere il confine settentrionale del Brasile.
Il vecchio sogno militare: colonizzare l’Amazzonia
L’idea di sfruttare l’Amazzonia per rilanciare l’economia brasiliana è ricorsiva. Nel diciottesimo secolo ci provò la presidenza di Getulio Vargas, poi nel diciannovesimo secolo, dopo il colpo di Stato del 1964, fu la volta del piano di colonizzazione ideato dalla dittatura militare.
Conosciuto come “Operazione Amazon”, il piano di colonizzazione prevedeva di integrare il territorio in Brasile attraverso la costruzione di strade, lo sviluppo di imprese agricole e l’insediamento nella regione di persone provenienti da sud, sud-est e nord-est del paese e dalle coste del foresta.
Il governo militare era convinto che l’occupazione dell’Amazzonia avrebbe consentito di bloccare l’infiltrazione di potenze straniere in Brasile che avrebbero potuto sfruttare lo scarso popolamento degli Stati amazzonici per poter invadere il paese. Secondo la dottrina dell’epoca – spiega a The Intercept João Roberto Martins Filho, professore all'Università Federale di São Carlos, autore di diverse ricerche sulla dittatura – «il Brasile non poteva lasciare spazi vuoti, perché poteva essere una minaccia per la sicurezza nazionale. "Occupare per evitare la resa", era uno degli slogan dell’epoca. L'idea era che fosse necessario incanalare le attività produttive nelle regioni con una minore densità di popolazione, e questa è finita con il diventare una politica statale».
E così fu progetta la realizzazione di un’autostrada che conducesse dalla città di Manaus, sul Rio delle Amazzoni, fino al bordo settentrionale del bacino. «L'autostrada è irreversibile, per l'integrazione pacifica dell'Amazzonia nel paese», dichiarò nel 1975 il colonnello João Tarcísio Cartaxo Arruda, che guidava il battaglione edile, secondo un documento reso disponibile dalla National Truth Commission.
Quella pacificazione avvenne, però, attraverso l’uso della forza con il ricorso a mitragliatrici, granate, dinamite contro la tribù Waimiri-Atroari ed enormi costi ambientali. Secondo la National Truth Commission almeno 8.350 indigeni furono uccisi dal governo militare. In circa 7 anni vennero furono costruite più di 15mila chilometri di strade, triplicando i tassi di deforestazione, e furono inquinate ed esaurite le risorse dall’industria estrattiva.
La minaccia "globalista"
Ieri come oggi, dunque, l’investimento in Amazzonia si renderebbe necessario per proteggere i confini del Brasile dall’invasione straniera in territori scarsamente popolati. Questa volta, stando a quanto dichiarato dal Segretario speciale per gli affari strategici nell’incontro a porte chiuse di aprile, la minaccia si chiama Cina.
Il Brasile – ha dichiarato l’ex generale Maynard Marques de Santa Rosa nel corso dell’incontro – deve agire per garantire la sua sovranità ai confini con il Suriname che sarebbe attualmente al centro di forti investimenti e immigrazione cinese: «Al confine orientale della Siberia oggi, ci sono più cinesi che cosacchi», dice la voce nella registrazione. «La Russia sta affrontando un grave problema di sicurezza nazionale. Dobbiamo svegliarci prima che accada lo stesso problema».
Tuttavia, spiega sempre a The Intercept Mauricio Santoro, professore di Relazioni Internazionali presso l'Università Statale di Rio de Janeiro, il pericolo dell’imminente invasione cinese sembra più una speculazione dei militari per giustificare gli investimenti in Amazzonia che una minaccia reale. Il Suriname, abitato da mezzo milione di persone, ha effettivamente visto un'ondata di immigrazione e investimenti cinesi, ma attualmente non è possibile dire che ci si trova di fronte a una politica cinese di emigrazione di massa in Suriname, ha aggiunto Santoro. «I militari tendono a considerare la presenza di stranieri in Amazzonia, soprattutto quelli provenienti da paesi al di fuori del Sud America, come un problema e una minaccia alla sicurezza nazionale. Ma questo dice di più sulla visione del mondo delle forze armate brasiliane che sugli obiettivi di altre nazioni nella regione».
Oltre alla minaccia cinese, secondo gli ideatori del piano “Rio Branco”, sarebbe in corso una “campagna globalista” per minare la sovranità del Brasile. ONG, ambientalisti, chiesa cattolica e le popolazioni locali (quilombos, le comunità amazzoniche discendenti dagli schiavi fuggiti dalle piantagioni in Africa, e gli indigeni) starebbero lavorando per limitare la "libertà di azione" del governo nella regione.
In particolare, secondo quanto dichiarato da due generali dell'esercito, Eduardo Villas Bôas e Alberto Cardoso, in un altro incontro, ad agosto, sarebbe stato ipotizzato un "grande complotto" per sottrarre la regione amazzonica alla sovranità del Brasile e creare nuovi Stati su base etnica, a cominciare da una nazione Yanomami che unificherebbe aree indigene brasiliane e venezuelane. I militari si dicevano preoccupati per il Sinodo dell’Amazzonia del 6 ottobre in Vaticano, durante il quale 250 vescovi della Chiesa cattolica si incontreranno per 21 giorni per discutere dell'argomento "Amazzonia: nuove strade per la Chiesa e per un'ecologia integrale". Secondo Villas Bôas e Cardoso il Sinodo, l’azione dei media, le pressioni di governi stranieri e Nazioni Unite, l’attivismo di ONG e Consiglio dei Missionari per gli indigeni farebbero parte del grande complotto contro il Brasile.
Il destino del progetto
I tempi di realizzazione del progetto sono ancora incerti. Dopo la presentazione di aprile, ci sono stati diversi incontri nella capitale Brasilia per discutere il piano. “Rio Branco” «è ancora nelle fasi di discussione e maturazione», ha dichiarato un portavoce del Segretariato per gli affari strategici in una nota. Il portavoce ha aggiunto che Bolsonaro avrebbe presto emesso una risoluzione per la creazione di un gruppo di lavoro che integri i diversi ministeri e il governo si aspetta che il progetto incontri le esigenze anche delle comunità locali che vivono in condizioni di povertà.
Che il “Progetto Rio Branco” riesca a raggiungere i suoi obiettivi di maggiore crescita economica e sicurezza nazionale nella regione settentrionale o meno, conclude The Intercept, è forte il rischio che gli effetti possano essere catastrofici come già accaduto in passato: deforestazione, degrado ambientale e distruzione delle comunità locali.
«Siamo piuttosto preoccupati per il modo in cui le cose vengono fatte», ha detto Caetano Scannavino, che gestisce l'ONG Saúde e Alegria, o Salute e felicità, e vive a Santarém, nello Stato di Pará. «Non si tratta di essere contro il piano. È importante vedere come viene realizzato, senza riguardo per le procedure o senza aver consultato le comunità locali».
Foto in anteprima: Carlos Fabal/AFP – via tgcom24