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Spagna, vince la sinistra di Sánchez: ora la sfida è governare da soli. Ridimensionata l’estrema destra di Vox

29 Aprile 2019 5 min lettura

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Spagna, vince la sinistra di Sánchez: ora la sfida è governare da soli. Ridimensionata l’estrema destra di Vox

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Le elezioni spagnole celebrate ieri hanno visto contrapporsi due blocchi politici ben definiti di destra e sinistra. Da una parte, la destra conservatrice del Partido Popular (PP), la destra liberista di Ciudadanos e l'estrema destra di Vox; dall'altra, la sinistra socialista del PSOE e la sinistra di Unidas Podemos (nella quale confluiscono anche Izquierda Unida e il partito ecologista EQUO).

Uno scontro che anche nei suoi risultati conferma un dato di cui avevamo già preso nota nel 2015, ossia la scomparsa definitiva del bipartitismo spagnolo che per decenni ha visto contrapporsi socialisti e popolari, ma allo stesso tempo una riaffermazione del bipolarismo classico destra-sinistra. Una polarizzazione ideologica che è stata evidente nei temi della campagna elettorale: immigrazione, femminismo, aborto, tasse e welfare, pluralismo statale, etc.

Grafico: Cadena Ser | Dati: Ministero degli Interni spagnolo

Dopo 11 anni la sinistra vince di nuovo le elezioni in Spagna. Il leader della formazione socialista Pedro Sánchez è riuscito a riportare il PSOE alla vittoria con un 28,7% dei voti, che gli varranno 123 seggi al Congresso e la maggioranza assoluta al Senato (quest'ultimo è indispensabile per riformare la legge elettorale e la Costituzione, ma in termini di governabilità non è determinante dato che la Spagna non è un bicameralismo perfetto come l'Italia). Unidas Podemos, il grande alleato del PSOE in questo scontro elettorale, ha preso il 14,3%, che corrisponde a 42 seggi. Assieme, il blocco di sinistra ha 165 deputati.

È andata male invece al blocco delle destre, che sommano solamente 147 deputati, ma porta a casa un ottimo risultato Ciudadanos, che si avvicina al sorpasso storico sul PP, il vero sconfitto alle urne. La novità di queste elezioni è stata Vox, un partito di estrema destra nato nel 2013 da una costola del PP, che è riuscito a imporre i suoi temi durante tutta la campagna elettorale (unità nazionale, lotta all'immigrazione, abolizione delle leggi di violenza di genere, smantellamento dello stato sociale, etc.). Nelle elezioni del 2016 aveva preso solamente lo 0,2%, oggi porta a casa un 10,26%. Entra in Parlamento, ma decisamente ridimensionato sia in termini di peso politico che rispetto ai sondaggi, che in alcuni casi erano arrivati addirittura a posizionarlo come secondo partito e con 70 seggi. La formazione di estrema destra dovrà accontentarsi di 24 seggi in questa legislatura. Il suo risultato non va però sottovalutato, soprattutto in vista delle Europee e delle amministrative di maggio. L'elettorato di Vox proviene principalmente dal Partido Popular, che si è smembrato con l'arrivo prima di Ciudadanos e poi di Vox e che sembra destinato a indebolirsi ulteriormente al prossimo appuntamento con le urne. Per il Partido Popular è una sconfitta storica, il peggior risultato di sempre.

Ora facciamo i conti: la maggioranza assoluta del Congresso spagnolo è di 176 seggi. Non è necessaria per governare, perché il governo può essere investito durante la seconda votazione alla camera anche solo con la "maggioranza semplice" (i voti positivi devono superare quelli negativi). Per cui, considerando come cosa fatta l'alleanza PSOE-Podemos, il governo di Pedro Sánchez per concretizzarsi ha bisogno dell'astensione di 11 deputati durante il voto di investitura.

Se Sánchez non vuole dipendere un'altra volta dagli indipendentisti catalani, che hanno affossato la sua legge di bilancio pochi mesi fa portando il paese a elezioni anticipate, dovrà fare affidamento sull'astensione dei baschi del PNV, che sembrerebbero aperti a una negoziazione focalizzata sugli interessi economici dei Paesi Baschi (si parla quindi della prossima legge di bilancio). A questo punto, la sinistra avrebbe bisogno solo di pochi voti di astensione tra i partiti minoritari, per andare al governo senza dover scendere a patti con l'indipendentismo.

Sembra da escludere invece un accordo tra PSOE e Ciudadanos, per via della distanza politica sulle tematiche chiave della campagna elettorale. La formazione liberista negli ultimi due anni si è contraddistinta per il suo discorso politico nazionalista e ha improntato tutto il suo messaggio elettorale sulla contrapposizione tra un blocco di destra "costituzionale" e il PSOE "incostituzionale" del "golpista" Pedro Sánchez che "occupa illegalmente" il governo.

Nelle prossime ore sapremo come andranno le negoziazioni. Sánchez ha dichiarato che il PSOE proverà a governare in solitario. Alcuni analisti spagnoli, però, ritengono che un governo a due PSOE-Podemos rafforzerebbe la sinistra spagnola.

Quali sono i prossimi passi previsti dalla Costituzione spagnola

La fine dello scrutinio da inizio a un percorso politico descritto nell’articolo 99 della Costituzione spagnola.

Il primo passo del processo è la costituzione delle due camere del Parlamento. La legge stabilisce che questa sessione debba realizzarsi entro 25 giorni dalle elezioni. Quel giorno i parlamentari eletti giureranno per il loro incarico e sceglieranno gli organi di governo di ambe camere: il presidente, i vicepresidenti e i segretari.

Il passo successivo è l’investitura del presidente del governo. Dopo essersi consultato con i rappresentanti designati dei principali gruppi politici, il Re propone il candidato che si sommette alla prima sessione di investitura. Né la Costituzione, né il regolamento del Congresso stabiliscono che il Re debba proporre il candidato della lista più votata, però così è stato in ogni elezione dalla Transizione a oggi.

Il candidato proposto dal Re espone il suo programma politico senza limite di tempo e chiede la fiducia del Congresso. Il regolamento della camera stabilisce che il candidato potrà prendere la parola ogni volta che ne fa richiesta, mentre i rappresentanti degli altri gruppi politici possono intervenire per 30 minuti. Il candidato è eletto solamente se ottiene la maggioranza assoluta della camera: cioè se raccoglie 176 voti a favore. Se il candidato proposto dal Re non viene eletto, si sommette a una seconda votazione 48 ore dopo. In questa seconda votazione non è richiesta la maggioranza assoluta per essere eletto presidente. Basterà ottenere più voti a favore che contrari. L'astensione è quindi il fattore determinante.

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Che cosa succede se il candidato proposto dal Re non è eletto neanche nella seconda votazione? Il processo inizia da capo. L’articolo 99 della Costituzione stabilisce che “si presenteranno successive proposte nella forma prevista negli appartati precedenti”. Cioè il Re celebrerà un nuovo giro di consultazioni e presenterà una nuova proposta.

Il Re non è obbligato a proporre un deputato come candidato alla presidenza del governo, né un candidato delle liste elettorali. La legge stabilisce solamente i seguenti requisiti per l’aspirante presidente: avere passaporto spagnolo, essere maggiore d’età e non essere inabilitato da una sentenza definitiva per l’esercizio di un incarico pubblico. Detto questo, fino a ora il protagonista della sessione d’investitura è sempre stato il leader della lista più votata.

(Foto: AP / El País)

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