La battaglia contro il ddl Pillon: “Non va emendato, va ritirato”
8 min letturaDa mesi associazioni per i diritti delle donne, centri anti violenza, movimenti, comitati cittadini e organizzazioni per l’infanzia protestano chiedendo il ritiro del disegno di legge 735 sull’affido condiviso dei figli minori e il loro mantenimento proposto dal senatore leghista Simone Pillon. In tutta Italia sono state organizzate manifestazioni e incontri in diverse città, mentre una petizione online lanciata dal network D.i.Re, che raccoglie al suo interno circa 80 centri anti violenza, ha ottenuto oltre 150 mila firme. E anche contro il ddl sull'affido condiviso le donne torneranno in piazza ancora una volta l'8 marzo, in occasione dello sciopero globale.
Il testo del disegno di legge Pillon (qui esaminato in maniera più approfondita, assieme ai rischi che solleva) prevede la mediazione obbligatoria per separazioni e divorzi nel caso in cui ci siano figli minorenni e il principio della “bigenitorialità perfetta”: una divisione a metà del tempo passato con l’uno o l’altro genitore (con un doppio domicilio per il minore) così come dei costi di mantenimento, con la cancellazione del relativo assegno. Inoltre, introduce nell’ordinamento italiano la PAS (la Sindrome da Alienazione Parentale), di cui soffrirebbero i bambini che, nel caso di separazioni, si rifiutano e si dichiarano impauriti di incontrare un genitore perché traviati volontariamente dall’altro – un disturbo che, nonostante venga spesso tirato in ballo nei procedimenti e nella maggior parte dei casi nei confronti delle donne, non trova riconoscimento nel mondo scientifico.
La proposta, secondo i centri anti violenza, qualora venisse approvata metterebbe in serio pericolo donne e minori che si trovano in situazioni di abusi, e renderebbe più difficile e onerosa la separazione, anche in casi di violenza domestica. Linda Laura Sabbadini, statistica ed ex direttrice del dipartimento Politiche sociali e ambientali dell’Istat, l’ha definito su La Stampa un provvedimento che “va respinto in toto”, una “reazione punitiva nei confronti delle donne, della loro libertà crescente, della loro volontà di autodeterminazione che calpesta i figli, piccoli e grandi, svantaggia anche i padri”. Sono cose che le associazioni e movimenti per i diritti delle donne e i centri anti violenza hanno ripetuto più volte negli ultimi mesi.
Il disegno di legge si trova in discussione alla commissione Giustizia del Senato in sede redigente: ciò significa che sarà la commissione a esaminare e a deliberare sui singoli articoli e poi il disegno di legge sarà sottoposto all’Aula solo per la votazione finale, senza che questa possa proporre modifiche. Dallo scorso ottobre la commissione ha iniziato un ciclo di audizioni di centri anti violenza, associazioni, psicologi, legali ed esperti di diritto, la maggior parte delle quali ha messo in luce i problemi e i pericoli del ddl. Questa fase adesso sta volgendo al termine.
A gennaio il sottosegretario con delega alle Pari Opportunità e Giovani Vincenzo Spadafora del Movimento 5 Stelle ha assicurato che «il ddl Pillon sull’affido condiviso, così come è stato formulato, non sarà mai approvato. Questa è una certezza. E a riguardo non solo ho preso posizione io, ma tutto il M5s». La ministra della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, della Lega, ha detto che il ddl è «un testo che deve ancora maturare»: «Ci sono state critiche un po’ eccessive ma è un punto di partenza non di arrivo».
Lo scorso 26 febbraio in Senato le senatrici Emma Bonino di +Europa e Valeria Fedeli del Partito Democratico hanno organizzato una conferenza stampa per chiedere che il disegno di legge Pillon non venga emendato ma direttamente ritirato. All’evento erano state invitate tutte le forze politiche del Parlamento, con esclusione della Lega, con l’obiettivo, ha spiegato Fedeli, di «allargare trasversalmente confronto e fronte spingendo sulla mobilitazione sui territori. La battaglia va fatta in Parlamento e nelle piazze». Bonino ha però ammesso che questa «chiamata alle armi» da parte della politica sia un po’ «tardiva. Dovevamo svegliarci prima».
Con un video sulla sua pagina Facebook il senatore Pillon ha annunciato che le audizioni sono verso la fine, commentando la richiesta di ritiro come un gesto «contro la Costituzione» e «antidemocratico» fatto da persone che «non hanno alcun contatto con la realtà», e quindi «si mettono a strillare».
Le critiche al ddl emerse in questi mesi riguardano però aspetti più che reali. Il Gruppo di Esperte sulla Violenza contro le donne (GREVIO) del Consiglio d’Europa – che sarà in Italia dall’11 al 21 marzo per una visita di controllo – ha scritto nel "Rapporto ombra sull’Attuazione della Convenzione di Istanbul" che il ddl Pillon “non solo non tiene conto della violenza contro donne e minori, ma ne ostacola l’emersione”. Il disegno di legge “porterebbe – se approvato – un grave arretramento per le libertà e i diritti civili di tutte le donne, e in particolare per le donne e i bambini vittime di violenza”.
La segretaria dell’Associazione Magistratura Democratica, Mariarosa Guglielmi, ha fortemente criticato il disegno di legge Pillon, sottolineando il moltiplicarsi di “segnali di un nuovo oscurantismo, di una utopia regressiva che investe interi sistemi di diritti, come il diritto di famiglia”. Il ddl “ridisegna la regolamentazione della crisi familiare in contrasto con il bene supremo da salvaguardare, rappresentato dall'interesse del minore e con il principio personalistico proclamato all'articolo 2 della Costituzione, che assegna alle 'formazioni sociali', come la famiglia, il fine di permettere e di promuovere lo svolgimento della personalità di ciascuno”. Secondo Guglielmi sul disegno di legge, “anche se emendato, si abbatterà la mannaia della Corte costituzionale e della Corte di Strasburgo”. Una critica che il senatore Pillon ha bollato come “un’invasione di campo da parte di Magistratura democratica”.
Nelle sue osservazioni al testo inviate alla commissione Giustizia Linda Laura Sabbadini (ex direttrice del dipartimento Politiche sociali e ambientali dell’Istat) ha sottolineato che “per quanto riguarda i figli il disegno non mette al centro il loro benessere, introducendo regole rigide, uguali per tutte le situazioni”. Ad esempio, “la rigida divisione dei tempi da passare con i genitori, finalizzata all’eliminazione dell’assegno di mantenimento, non migliora le relazioni tra genitori, figli ed ex partner e rende la situazione più conflittuale, oltre che più difficilmente orientabile all’interesse del bambino”. Basti pensare che questa divisione “non considera l’età dei bambini, che non si dà ascolto dell’eventuale rifiuto del bambino di vedere un genitore, che addirittura si ipotizza un allontanamento del bambino in caso di rifiuto a vedere uno dei genitori e che non si tiene conto delle difficoltà per il bambino nel non avere a disposizione una casa principale”.
Ci sono poi i rischi per le donne, che sarebbero, aggiunge Sabbadini, “fortemente penalizzate dal punto di vista economico”, in virtù di una situazione economica “generalmente più svantaggiata rispetto agli uomini: l’indicatore di povertà assoluta è più alto di 4 punti percentuali e quello di rischio di povertà ed esclusione sociale europeo lo è di ben 11 punti”.
Le donne, inoltre, “rischierebbero di più in termini di violenza, a causa dell’obbligatorietà della mediazione familiare. E anche l’introduzione nel disegno di legge di un riferimento all’eventuale violenza da parte del partner non risolverebbe il problema, poiché circa il 90% delle donne non denuncia la violenza, neanche al momento della separazione”. La mediazione, quindi, “non può essere obbligatoria: anche inserendo un comma che elimini l’obbligatorietà in caso di violenza denunciata, la maggioranza delle donne che ha subito violenza ne rimarrebbe esclusa”.
Infine, ricorda Sabbadini, c’è il pericolo della perdita del figlio nel caso in cui questi si rifiuti di vedere il padre: “Non si tiene conto del fatto che il rifiuto, con elevata probabilità, potrebbe nascere da situazioni di violenza contro la madre – visto che il 64% dei bambini che vivono in famiglie dove la donna subisce violenza dal partner assistono alla violenza - piuttosto che dall’influenza negativa della madre sul figlio”.
Anche l'Ordine degli Assistenti Sociali ha assunto una posizione piuttosto netta verso il ddl: "La nostra esperienza professionale prima di ogni altra ragione ci porta a respingere la proposta di legge". Nel documento dell'audizione in Senato, l'Ordine ha ribadito "la soggettività del minore e il suo diritto a essere ascoltato", specialmente quando "manifesti un rifiuto, alienazione, estraneazione. Mettere in correlazione diretta tali atteggiamenti con comportamenti manipolatori e strumentali di un genitore, rilevabili dal giudice, appare un’operazione azzardata. I comportamenti manipolatori e strumentali definiscono una condizione di maltrattamento psicologico del figlio e vanno accertati con l'ausilio dei Servizi e/o dei periti per consentire l'attivazione di misure protettive che non penalizzino ulteriormente il minore".
I rischi per i bambini con l’introduzione nell’ordinamento dell'Alienazione Parentale sono concreti. Sono passati dieci anni esatti dalla morte di Federico Barakat, ucciso a nove anni dal padre il 25 febbraio 2009 durante un “incontro protetto” in una stanza della Asl di San Donato Milanese.
Dopo la separazione, la madre di Federico, Antonella Penati, aveva denunciato 8 volte l’ex marito per stalking e violenze, chiedendo che in attesa del processo quell’uomo fosse tenuto lontano da suo figlio. Nessuno l’aveva ascoltata: gli assistenti sociali l’avevano ritenuta iperprotettiva e alienante, contestandole di voler sottrarre il figlio all’ex partner.
Il bambino aveva paura del padre. Stava male e se n’erano accorti tutti: le maestre, il dottore. «Il suo pediatra aveva esortato l'interruzione degli incontri e così pure lo psicologo infantile che lo seguiva privatamente. E anche il perito di parte del tribunale, nella ctp, un anno prima che morisse. Aveva scritto a chiare lettere di non fare avvicinare al padre il bambino in quanto poteva essere pericoloso per la vita stessa di Federico», ha raccontato la madre in un’intervista.
Ciononostante il tribunale dei minori, su istanza dei servizi sociali, aveva deciso che il bambino e quell’uomo dovessero vedersi in incontri protetti dentro la Asl. In una di quelle occasioni, Federico – che non aveva ancora compiuto 9 anni – è stato ammazzato con 34 coltellate dal padre, che poi si è ucciso. I tre assistenti sociali accusati di concorso omissivo colposo in omicidio doloso perché secondo l'accusa non avrebbero preso le "opportune cautele nella gestione del rapporto padre-minore" sono stati tutti assolti.
Secondo Antonella Penati, «Federico è stato esposto alla morte, ma gli indicatori di rischio c'erano tutti, a volerli e saperli leggere. Inoltre da vittima io sono diventata colpevole». Per la madre del bambino «chi crede in questa follia dell'alienazione genitoriale parte dal presupposto che le madri lancino false accuse per vendicarsi dei loro ex e che manipolino i figli per scopi personali. Questa convinzione impedisce di valutare le situazioni per quello che sono e di riconoscere i fattori di rischio».
Con la sua associazione “Federico nel cuore” la donna è impegnata nell’opposizione al ddl Pillon e ha partecipato alle manifestazioni e agli eventi che si sono susseguiti negli ultimi mesi. «Sono convinta che la maggior parte dei padri italiani siano bravi padri e che quindi rimangono tali anche dopo le separazioni. Per i loro figli la bigenitorialità è già prevista e attuata con le leggi che ci sono», ha spiegato. «Questo disegno tutelerebbe maggiormente solo i padri separati violenti e abusanti – ha aggiunto - È un attacco frontale ai diritti dei bambini, va respinto con forza da tutte le persone per bene (…), un disegno che non solo riporterebbe l'Italia indietro di un secolo, ma che comprometterebbe ancora di più la serenità di tutti i bambini e tutelerebbe ancora di meno quelli vittime di violenza».
Foto in anteprima via dinamopress.it