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Ungheria e Serbia: migliaia di cittadini in piazza per difendere la democrazia

7 Gennaio 2019 4 min lettura

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Ungheria e Serbia: migliaia di cittadini in piazza per difendere la democrazia

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È successo ancora. In Ungheria, dopo le manifestazioni e le proteste di dicembre, migliaia di cittadini, sabato scorso sono scesi in piazza a Budapest, sfidando la neve e le temperature gelide, per protestare contro la deriva autoritaria di Viktor Orbán.

A scatenare le proteste la cosiddetta "legge schiavitù", che consente alle aziende di richiedere ai dipendenti di lavorare fino a 400 ore di straordinario l'anno - o l'equivalente di un giorno in più alla settimana, avendo la possibilità di pagare entro tre anni.

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In un contesto di opposizione debole e frammentata, Orbán ha accumulato sempre più potere. Ma la "legge schiavitù" ha avuto la capacità di unire in un unica voce le contestazioni. Almeno 10.000 persone hanno sfilato dalla storica Piazza degli Eroi fino al Palazzo del Parlamento. Le proteste non riguardano solo la legge sul lavoro, ma anche l'indipendenza dei media, dell'università e della magistratura.

Il partito Fidesz di Orbán, che ha un ampio sostegno, ha vinto le elezioni con una valanga di voti lo scorso anno conquistando la maggioranza dei due terzi in parlamento.
Lo scorso settembre il Parlamento europeo ha approvato una mozione che chiede l'avvio della procedura disciplinare in base all'articolo 7 del Trattato di Lisbona, che prevede sanzioni per i paesi che vengono meno ai valori fondanti dell'Unione Europea. L'Ungheria è accusata di aver minato l'indipendenza di istituzioni democratiche, di aver indebolito lo Stato di diritto, aver favorito la discriminazione di minoranze.

Agli inizi di dicembre la Central European University (CEU) ha annunciato che avrebbe lasciato Budapest per Vienna dopo una lunga battaglia con il governo ungherese. È il primo caso di una importante università cacciata da un paese dell'UE.

Ad organizzare le manifestazioni di queste settimane partiti di opposizione, sindacati e gruppi civici. Zoltán Mucsi, alla testa del sindacato delle acciaierie Dunaferr Vasas, ha detto alla Reuters - come riporta il Guardian - che la "legge schiavitù" non è democratica e i sindacati sono pronti allo sciopero generale per il 19 gennaio se il governo non sederà al tavolo delle trattative.

Quando è stato presentato in parlamento, i deputati dell'opposizione hanno tentato invano di bloccare l'approvazione. A quel punto sono scesi in piazza e alcuni di loro si sono accampati nel quartier generale della televisione di stato per quasi 24 ore, chiedendo la possibilità di leggere una lista di richieste in diretta, mentre i manifestanti hanno marciato attraverso Budapest.

Da allora ci sono state diverse manifestazioni pacifiche, anche se ci sono stati alcuni scontri con la polizia che ha usato i gas lacrimogeni. Secondo il governo George Soros, miliardario ungherese-americano, sta finanziando le proteste.

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Soros è spesso bersaglio di attacchi, il suo volto era sui manifesti di una campagna sull'immigrazione, criticata come anti-semita, una questione al centro della propaganda governativa.

Il governo di Orbán - scrive il Guardian - ha preso una piega "nativista", raffigurandosi come combattente contro potenti e "oscure" forze pro-migratorie. I critici fanno notare che centinaia di migliaia di ungheresi sono emigrati in altri paesi e accusano Orbán di fomentare la xenofobia per distrarre l'elettorato da questioni più urgenti, tra cui la corruzione e i problemi economici.

In Serbia, sempre sabato scorso, migliaia di cittadini hanno manifestato, per il quinto weekend di seguito, contro il presidente Aleksandar Vučić e il suo partito progressista serbo (SNS).

Circa 15.000 manifestanti hanno marciato attraverso il centro di Belgrado, dirigendosi verso la sede della presidenza prima di fermarsi davanti agli uffici dell'emittente statale RTS, che è saldamente sotto il controllo di Vučić.

Il presidente viene contestato per le promesse non mantenute, sugli striscioni si potevano leggere scritte come "Noi siamo il popolo", "Fermare il tradimento, difendere la costituzione e sostenere la gente", "Abbasso i ladri".

Le proteste, che sono state organizzate anche nella città meridionale di Kragujevac, sono state scatenate lo scorso novembre da una aggressione al politico dell'opposizione Borko Stefanovic. Gli aggressori sono stati arrestati e in seguito liberati.

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I manifestanti chiedono riforme elettorali, assicurazioni che l'emittente pubblica fornirà più copertura ai gruppi di opposizione e l'impegno di investigare a fondo sugli attacchi ai giornalisti e ai politici dell'opposizione.

Vučić ha annunciato che quest'anno potrebbe indire elezioni anticipate, ma i gruppi e partiti di opposizione pensano che in realtà è pronto a boicottare qualsiasi voto. Il movimento di protesta, nato in modo spontaneo senza affiliazioni politiche ma che ha il sostegno di 30 partiti e organizzazioni di opposizione, ha definito Vučić un autocrate e il suo partito corrotto.
Vučić e il SNS hanno conquistato il parlamento nelle ultime tre elezioni dal 2012. Ha iniziato un mandato di 5 anni come presidente l'anno scorso.

Foto via Twitter DW

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