La primavera araba e la repressione sui blogger
1 min letturaChe la reazione dei regimi alla «primavera araba» passi anche per la repressione della libertà di espressione online è noto. In Siria, per esempio, il blogger Anas Al-Marawi è stato arrestato il 1 luglio. Pochi giorni prima in Bahrein i blogger Abduljalil Al-Singace e Ali Abdulemam erano stati condannati rispettivamente al carcere a vita e a 15 anni.
Ora, tuttavia, abbiamo anche qualche numero per comprendere come e quanto quella repressione abbia sistematicamente colpito i blogger in Medio Oriente e Nord Africa.
Negli ultimi dodici mesi, infatti, il 7% di un campione interpellato dichiara di essere stato arrestato o incarcerato. Tre su dieci sostengono di essere stati «personalmente minacciati» e il 18% afferma che un proprio sito/account ha subito un attacco informatico. Per il 7%, poi, sono stati minacciati amici o familiari.
I dati sono stati raccolti da uno studio dell’università di Harvard intitolato Online Security in the Middle East and North Africa condotto su un campione di 98 blogger (erano stati invitati a partecipare in 580), di cui quasi la metà in età compresa tra i 20 e i 30 anni e un altro quarto tra i 30 e i 40. Oltre il 90%, poi, ha una laurea.
Ecco una tabella che riassume le «conseguenze negative» delle attività online dei blogger interpellati:
Fonte: Online Security in the Middle East and North Africa, p. 7.
Lo studio indaga i modi in cui i blogger hanno cercato di proteggere la propria sicurezza online:
Fonte: Online Security in the Middle East and North Africa, p. 12.
E sottolinea una pericolosa incongruenza:
«Mentre una larga maggioranza degli interpellati indica una forte consapevolezza dei rischi derivanti dalla pubblicazione di materiale sensibile online, e la maggior parte prende delle contromisure per mitigare quei rischi, molto pochi sembrano seguire una rigida serie di pratiche di sicurezza online».
Facilitando, a questo modo, il compito dei regimi.
Fabio Chiusi - Il Nichilista
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